MUSSOLINI GRANDE ATTORE

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Camillo Berneri

MUSSOLINI GRANDE ATTORE

Con una introduzione di Fier Carlo Masini

Edizioni dell'Archivio Famiglia Berneri PISTOIA 1983

Comune di Pistoia Assessorato agli Istituti Culturali

Ristampa dell'edizione: Mussolini psicologia di un dittatore (Mi-lano, Azione Comune) 1966, riveduta e accresciuta

Archivio Famiglia Bcrneri Piazza dello Spirito Santo. 2 tel. 0573/35335 51100 - PISTOIA - Italia

Indice

Pag.

9 Prefazione

21 MUSSOLINI GRANDE ATTORH

Premessa 31 I L'cpoca di Mussolini 38 11 II Barnum degli dei 46 ill L'attore-regista 50 IV II tribuno 57 V II mi jo del demiurgo 63 VI Cesare Borgia

69 VII II superuomo

79 Conclusione

85 KASCISMO AUTORITRATTO DI UNA NAZIONE

87 II fascismo, le masse, i capi

96 Considcrazioni inattuali

99 Delia demagogia oratoria, 1

105 Delia demagogia oratoria, 11

108 Delia demagogia oratoria. 111

111 II grande costruttore

Ringrazio la Casa edit rice «Azione Comurte* che ha consen-tito la ristampa di questo libro, pubblkato in prima edizione, oggi esaurita, nel 1966, col titolo «Mussolini; psicologia di un dittatore».

Ho largamente rimaneggiato ed aggiomato la prefazione ed ho inserilo tre nuovi scritti di Catnillo Berneri in aggiunta a tre gid pubblicati, sotto il titolo complessivo «Fascismo, autoritratto di una nazione».

II testo del saggio di Berneri e la traduzione di un daftilo-scritto scritto in lingua francese conservato presso I'Archivio Farniglia Bemeri di Pistoia, piu ampio del testo pubblicato nel 1934 in Spagna. Ringrazio Aurelio Chessa per avermi proposto la ristampa ed il Comune di Pistoia per averla resa possibile.

II curat ore

PREFAZIONE

Per capire bene il fenomeno Mussolini bisogna tener conto di due fatti ehe segnarono il primo do-poguerra.

Primo fatto: la politicizzazione forzata di grandi masse, ftno allora estranee alia vita politica. La mo-bilitazione generate, la militarizzazione, la propaganda di guerra avevano legato queste masse alia politica della classe dirigentc e dello Stato (da qui il com-battentismo) o le avevano, per reazione, sospinte nei partiti di opposizione e nei movimenti di protesta che avversavano la guerra e lo Stato. in entrambi i casi 1'ingrcsso di nuovo popolo, soprattutto contadi-no, nella politica, senza alcuna preparazione democratic^ (salvo che per il proletariato urbano organiz-zato e, nelle campagne, per alcune contrade dove era forte e radicata la tradizione associativa di socialisti e cattolici) comportava un inevitabile turbamcnto sociale. Questo turbamento o scompenso sarebbe stato senz altro riassorbito nei corso di alcuni anni, non appena fossero state superate le condizioni di anormalita economico-sociale-morale conseguenti al conflitto, ma, per intanto, in quegli anni le masse ir-rompenti nella politica si trovavano disarmate davan-ti alle arti dei demagoghi e dei demolatri, facile pre-de dellc loro malie e dei loro miti.

Secondo fatto: Pintroduzione nella vita politica e civile di nuovi mezzi tecnici di comunicazione che, a somiglianza di armi segrete impiegatc per la prima volta su un fronte di guerra, travolgono reparti tec-nicamente e psicologicamente indifesi. I nuovi mezzi sono il cinema, la radio, la stampa soprattutto illu-strata, comprensibile, grazie alle immagini, anche agli analfabeti. Non si misura spesso, a distanza di tempo, lo sconvolgimento che questi nuovi mezzi audiovisivi determinarono nella politica contcmpora-nea. Gli uditori da poche centinaia di persone, di-ventarono decine di migliaia, milioni e decine di mi-lioni. Le nazioni si trasformarono in sterminate pla-tee e in congressi permanenti. La partecipazione si accrebbe ma il suo livello si abbassd.

Fra questi cambiamenti decisivo e l'effetto ine-briante provocato in folle sprowedute dalle qualita istrioniche, o vocali o mimiche delPuomo politico: qualita che costituiscono la chiave del suo successo rapido ed impetuoso. Nasce il divismo nel cinema, nello sport, nclle impresc aviatoric, nella politica. La fama di un tenore d'opera o di un principe del foro (due spettacoli assai popolari nell'anteguerra) e ora oscurata da nuovi idoli. II successo e popolarita e vi-ceversa. Le piazze, le spiagge, gli stadi, i circuiti di-ventano i nuovi teatri. La politica e un fatto spctta-colare. La radio ingigantisce la voce, il cinema 1'im-magine, la stampa le notizie (appaiono i titoli cubita-li, le edizioni straordinarie, talvolta fino a notte inol-trata, gli altoparlanti in piazza). Alle sagrc campa-gnole dell'anteguerra succedono le adunate: con i treni e i camions le folic vengono convogliate verso nuovi «campi di Marte», dove il Capo arriva scen-dendo dal cielo con il suo aereo personale. Nasce la propaganda, cui occorrono registi, attori, architetti, coreografi, sceneggiatori, costumisti, illusionisti, im-bonitori, urlatori. Tutto dev'essere titanico, dal supe-ruomo dclla filosofja al superman del fumetto.

Eccoli dunque Mussolini, Hitler, Stalin c tutti gli altri: ingranditi nelle foto murali e sugli schermi, moltiplicati per mille, per centomila dai documentari cinematografici c dalla stampa illustrata, portati dalla radio nei piu remoti villaggi della montagna e della campagna. Lo stupore per le prodigiose invenzioni tecnichc si trasforma in ammirazione per coloro che le usano per primi, in uno scenario al tempo stesso esaltante e letificante.

* # *

Camillo Berneri, un intellettuale anarchico esule a Parigi vide questo fenomeno all'inizio degli anni trenta; vide soprattutto il ruolo che in questo sfondo etnico-sociale Mussolini esercitava ed avrebbe eserci-tato per il futuro: qucllo di un «grande attore». Egli fu il primo a studiare il dittatore italiano sotto questo profilo, coglicre qucsta struttura primaria della sua personality.

11 suo saggio venne pubblicato in Spagna solo nel 1934: Camillo Berneri, Mussolini gran actor. Version castellana de M.F. y T. Valencia Collecion Mariana, 1934 (Imprcsos Costa, Nueva de la Rambla 45, Barcelona): in quella Spagna, in quclla Barcelona dunque dove I'autore andrii a trovare una morte eroica anche se amara, colpito a tradimcnto da agen-ti dello stalinismo durante la rivoluzione (1937).

11 lavoro di Berneri, antifascista militante, tcmu-to, sorvegliato e perseguitato come uno dei piu peri-colosi avversari di Mussolini (1), ha a mio awiso, due meriti: quello di prendere Mussolini sul serio e non a ridere, di riconoscerlo come «un grande uomo politico», ma al tempo stesso di partire da questo ri-

(I) Scriveva Berneri nel lebbraio 1937 alia sua compagna: «I lo letto oggi una circolare riservata di Mussolini nella quale mi segnala alle autori-la consolari come il dirigente del (errorismo antifascista in Italia. £ roba vecchia, ma spiega l'accanimento che per molti anni hanno avulo nei miei riguardi». (C. Bi-rnf.ri. Pensieri e baitagiie. Parigi, A cura del Comitato Camillo Berneri, 1938. p. 258).

conoscimento per una analisi psicologica del perso-naggio. Al centro di questa analisi, alia quale Berneri era preparato da seri studi in psicologia e dal per-manente interesse per questi problemi (2), e'e l'in-tuizione del «grande attore», che poi ha dato il titolo al saggio.

Berneri che cita molte testimonianze a conforto della sua lesi, non poteva eonoscerne due conosciute solo suecessivamentc: quella contenuta in un rappor-to deirispettore Giovanni Gasti in data 4 settembre 1919 ehe cosi fotografava in alcuni cenni fisiopatoli-gici il futuro dittatore: «Drastieo nei giudizi (nei quali traspariva, tra I'altro, la ricerca dell'effetto sul-I'ascoltatore) stupef'acente nella capacita e quasi nei gusto {ultra ricerca d'effetto, eredo) di eapovolgerli, subitaneo e intemperante nelle passioni (ma di breve durata), enfatico, recitatore innato» (3); I'altro di Luigi Pirandello ehe, abbastanza esperto di queste cose e per giunta ammiratore di .Mussolini, confidava ad Orio Vergani: «Ha eostruito di se stesso un per-sonaggio, un poeo a somiglianza propria, un poeo a somiglianza di cio ehe gli italiani volevano che egli fosse, fc, in un certo senso, 1'attore del proprio per-sonaggio» (4).

Nelle due testimonianze troviamo il concorso dei fattori che contribuirono a formare il «grande atto-re»: le qualita native, quelle del «potente energume-no» come lo defini Georges Sorel in una lettera a Missiroli o deir«atleta-gioeolicrc» come lo conobbc

(2) Per I'inieressc di Berneri verso la psicologia e la psicanalisi rinvio a! mio scritlo Berneri I rend e Leonardo, in appendiee a C. Berneri. Le Leonard de S. Freud. Pistoia, Edizioni Archivio Famiglia Berneri. 1981.

(3) Renzo Dk Fei.ice, Mussolini il rivotuzionario 1881-1920. Torino, Einaudi. 1965. pp. 754-37.

(4) Orio Vergani, Ciano. Una lutiga confessione. Milano, l.ongane-si. 1974. p. 40.

e lo amd 1'anarchica Leda Rafanelli, e Pambiente, da quello giovanile saturo di romagnolismo a quello so-cialista dove fece il suo apprcndistato (5), a quello della politica italiana dove i commedianti erano nu-merosi e la tcatralita assai diffusa.

Che gli italiani lo volessero cosi, un Colleoni mo-derno, un duce appunto. sia pure da parata, a complement del loro gregarismo e a compenso delle lo-ro frustrazioni, non mi pare dubbio. Dietro quella qualifica ducesca o ducale non c'era un principio eti-co-politico ma piuttosto una risonanza storica, rina-scimentale e risorgimentale assieme, il Duca Valentino c il Duce dei Mille rivisti da Machiavelli e da Carducci.

Era atteso come un Messia politico, il «figlio del fabbro» vendicatore delle sconfitte militari, da Lissa ad Adua, guaritore delle piaghe nazionali, dalla mafia alia malaria, castigamatti per i cattivi italiani. La letteratura se I'era covato per trent'anni prima che egli uscisse dal guscio e se I'era prefigurato proprio cosi come apparve, anche fisicamente.

Marinetti che, piu di una volta, orecchiando il sindacalismo rivoluzionario, aveva affidato al prole-tariato la parte di protagonista del suo turbinoso mondo di forza + vclocita + distruzione, annuncia-va in Mafarka il futurista «prossima 1'ora in cui uo-mini dalle tempie larghe e dal mento d'acciaio figlie-ranno prodigiosamente... dei giganti dai gesti infalli-bili...» (1910).

E prima di lui D'Annunzio, rapprescntando in Maia 1 adunata degli operai in rivolta, invocava per la folia plebea «un eroe / forse ti verra che ferrare / sapra dei suoi duri pensicri / la rapidita dei tuoi atti /

(5) Mussolini, direuore dell'/tvan/t.', a Ezio Rjboldi, itupito nel ve-dcr gonliata sul giornale la notizia di un suo modesto comizio. disse: «ln politica bastano ire centcsimi di merce e novantaseite di tamburo». K. Riboldi. Vicende socialise. TrerWanni di sioria italiana rtei ricordi di un deputato nmssimalista. Milano. Azione Comune. 1964, p. 42.

comc si inchiodano i ferri / all'ugnc dcgli acri corsie-ri/di la dagli antichi ricatti» (1903).

Una donna, Ada Negri, sul finire del secolo, lo aveva visto in una brumosa mattina milancse: «...Era possente. II volto / pallido di pensiero / no-bilmente s'ergea con atto ficro / sul bronzeo collo da ogni fren disciolto / collo di tauro, petto di selvaggio, / sguardo e parola ardita... / sonante il passo, come un vincitore / s'avanzo nella luce / e a me disse il mio cuor: / Non forse e un duce?...» (1895).

Venne ed occupo tutta la scena. Gli intellettuali annoiati di liberta, le folle assetate di ^ervitu, i gio-vani carichi di violenza e di awcntura, i borghesi grandi ansiosi di ordine e quelli piccoli di protezio-ne, lo applaudirono. Lui, che aveva studiato sui trat-tati dello psicologo Gustave Le Bon Parte di conqui-stare le folle, e che, se non avesse fatto il politico, avrebbe voluto, per sua stessa confessione, fare Pat-tore (6), mise in scena «il piu vasto e durevole spet-tacolo mai visto, di cui cgli era lo sceneggiatore, il regista e il protagonista eroico» (7). Per questa mes-sa in scena aveva attinto insegne, simboli e robe va-rie nei magazzini di tutti i partiti politici: le camicie rosse dei garibaldini ritinte col nero degli arditi, i fa-sci dei socialisti c dei repubblicani contaminati con l'ascia romana, la maiuscola N napoleonica modifica-ta nella sua m corsiva a tre zampe.

«Ma lo spettacolo sarebbe stato nulla senza il suo primo attore. Assunse molte parti, o piuttosto una parte mutevole, sfaccettata, dai molt) volti... Era

(6j Questo confidd a Margherita Sarfatti, dopo I'insuccesso eletlora-le del 1919. M. Sarfatti, Dux. Milano. Mondadori, 1932. p. 229.

17) Luigi Bar21ni in Epoca del 21 marzo 1965. Barzini riferisce an-che questa testimonianza personalc: «Portava un berretto da yachtsman, il colletto aperto alia Robespierre, una giacca noceiola a doppio petto da uomo d'alfari. calzoni militari grigioverdi al ginocchio. e stivali neri. Sem-brava un personaggio da circo equestre. tra uno spettacolo e l'altro».

costretto a rinnovare ii suo spettacolo continuamen-te. Solo mantenendo il suo pubblico intcrcssato, elct-trizzato, interdetto, spaventato e divertito, egli sa-rebbe riuscito a far dimenticare agli italiani il sacrifi-cio della libcrta c la squallida miseria dclla grande maggioranza» (8).

C'c da domandarsi se molti dci suoi exploits diplomatic! o militari come l'uscita dalla Socieia delle Nazioni e l'occupazione dell'Albania, la proclama-zionc dell'Impero c I'intervento in Spagna siano da imputare piu che ad una coerente ragione di opportunity ad un intcnzionalc effetto spcttacolare.

« Mediocre come politico, come attore un genio» lo giudico un avversario, il conte Carlo Sforza. «Ve-ramente un grande attore» lo ricordera Tambasciato-re sovietico Eugenio Rubinin, che lo aveva conosciu-to nel 1925, quando era segretario d'ambasciata a Roma (9). AI giornalista inglese A.L. Rowse che lo ascolto in Piazza Venezia nel 1937 apparve sgradc-vole nel fisico e nel tono rauco della voce, ma mira-bile nel gesto delle mani. «C'era qualchc cosa dell'i-strione in lui, qualche cosa deH'istrioneria della sua gentc» (10). «Eminenti le sue qualita di commedian-te, scrisse il giornalista americano }ohn Gunther. Nessun politico moderno, ad eccezione forse di Trotzky, c un attore tanto bravo». A Emil Ludwig che gli chiedeva se si sentisse piu profeta o piu arti-sta, rispose senza esitazione «artista».

I suoi discorsi, talvolta trasformati in dialoghi con la folia, non erano improvvisati anche se come tali apparivano. Vcnivano scritti, costruiti e studiati

t8) Luici Bakzim. ibid.

19) Pikro Ostellino, Mussolini e i bolscevichi (intervisla con Eugenio Rubinin) in II Corriere della Sera dcll'8 i'cbbraio 1974.

(10) II giudizio e riferito da I. Kikkpairick. Sturia di Mussolini. Mi-lano, Longanesi, 1970.

in anticipo con attenta cura, forse provati nei tono della voce e nei gesto, come si conviene ad un attore profcssionalmente esigente. Costituivano sempre il momento magico e solcnne delle manifestazioni. Giuseppe Prezzolini ha studiato il lessico di questi discorsi e ha riscontrato neil'oratoria di Mussolini forti elementi di novita e di originalita in relazionc alia (radizione retorica italiana (11). In questo Mussolini era anche l'autore dei copioni che egli avrebbc recitato. Giunlo al potere aveva ideato tre drammi storici — Campo di maggio, Villafranca, Cesare — poi affidati all'esecuzione di Gioacchino Forza-no (12).

Autore, attore, ma soprattutto regista. «Lo spet-tacolo piu costoso che il mondo abbia visto. La regia era quasi impeccabile nei suo genere: stupende para-te militari, riviste navali, saggi ginnici, fantasie di ca-valieri arabi... contro lo splendido scenario della na-tura italiana e delle antiche citta gloriosc» (13).

Si sa che vigilo personalmente sui preparativi che, in occasione di Hitler, trasformarono Firenze in una citta - giardino, su scenari di fiori e di lauri, di festoni e di bandiere che ne valorizzavano ma anche ne alteravano la pietrificata bellezza. Con la stessa cura sovrintese ai disegni delle uniformi in cui avrebbe costrctto milioni di italiani dai Figli della Lupa agli Accademici ditalia. Dopo la semplice ca-micia nera dei primordi, si cbbero almeno tre ver-sioni di uniformi (cosl poco uniformi da costituire un variatissimo guardaroba), con grande lavoro e

(11) Giuseppe Pke7.zoi.ini, Mussolini oratore owero eloquenza e ca-risrtia riportato in Lmilio Gentile, Mussolini e La Voce. I'ircnzc. Sansoni, 197b. pp. 213-226.

(12) Gm \< cm no Forzano, Mussolini autore dramrnalico (Campo di magfiio — Villafranca — Cesare). f irenze. Barbera, 1954.

(13) Luigi Bar/.ini, ibid.

profitto delle sartorie di regime: quelle degli anni venti, ancora primitive e un po' scomposte, quelle stile Decennale, piu elaborate e militarizzate, quelle infine deH'Impero, fastose ed orpellate d'ori e d'ar-genti. Per i suoi «Moschettieri», la guardia del cor-po, fece discgnarc da un figurinista russo, una spa-gnolesca divisa nera, con simboli di morte. Quando, imitando i nazisti decise di introdurre il «passo ro-mano di parata» se ne stava delle ore ad osservare dalla finestra le esercitazioni dei reparti che, con suo sgomento, faticavano non poco ad apprendcre il nuovo rituale (14).

Intorno a se non tollcrava che comparse (15). 11 film «Fascista» di Nico Naldini costruito con spez-zoni di cinegiornale d'cpoca, ce ne ha offerta alcuni anni fa la riprova visiva. Nelle grandi adunate, quando spentasi la voce stridula di Starace per il «saluto al Duce», Lui prendeva la parola, la folia poteva e doveva misurare 1'abisso fra il protagonista e il suo prcsentatorc, ridotto al ruolo di un uscicre di pretu-ra. La stessa cosa accadeva con Muti, uomo di piu massiccia taglia, ma di trasparente vacuita. Dopo l'e-sperimento Farinacci, scelse deliberatamente quali segretari del P.N.F., figure scialbe, sbiadite facce di famuli, da Turati a Scorza.

Nel film di Naldini, probabilmente con la sapien-te complicita deU'operatore, fa semprc bella figura. E disinvolto, padrone della scena, balli con le massaie o saluti il Re e il Fiihrer tedesco. Conosce bene il

(14) Galeazzo Ciano, Diario. 1937-1943. A cura di Rcnzo Dc Felice. Milano. Rizzoli, 1980.

(15) Quinto Navarra. il suo maggiordomo, racconta che una volta si scopri che a Cinccitta un tale somigliava a Mussolini come un fratello gemello e che voleva fare I'attore. Un rapido aulorevole intervento, raffor-zalo da lauto premio. lo convinse a cambiar slrada. « Mussolini, comnien-ta Navarra, non voleva concorrenii» (Q. Navarra. Memorie del camerire-re di Mussolini. Milano. Longanesi. 1972).

suo mestiere. La Iucc ccntralizzantc del potere e il forte complesso di superiority lo aiutano. A suo con-fronto il Conte Ciano fa la figura del parvenu, indaf-farato e goffo.

Amava recitare, travestirsi, mascherarsi. Recitava sempre, anche con i piu immediati collaborator^ non solo in piazza ma anche in ufficio. Solo a casa Donna Rachclc lo costringeva a deporre la maschera. Giuseppe Bottai scrive nel suo Diario che « Mussolini contadino, soldato, sportivo, minatore, operaio, uo-mo di mondo ccc. sono altrettante rcincarnazioni da attore... e sempre un Mussolini da ribalta. b il gran «generico» di cui da Zacconi in poi, dicono gli esperli s'e persa sul teatro la razza» (16).

L'interpretazione, la chiave di lettura proposta da Camillo Berneri. anarchico e antifascista, nel 1934, e confermata da Giuseppe Bottai il gerarca che visse intensamente e in parte criticamcnte, al massimo li-vello, I'esperienza del fascismo.

Bottai, in un altro passo del suo diario, fa un nome per identificare certi atteggiamenti di Mussolini: quello di Guglielmo II. In effetti fra il cesarismo del Kaiser e il ducismo del Ducc si colgono alcune rassomiglianze: Pimpulsivita, Pincontinenza della pa-rola, la megalomania imperiale. Mussolini copio dal frasario di Guglielmo alcune delle sue piu altisonanti parole d'ordine: L'avvenire dell'ltalia e sul mare (piu goffamente il Kaiser aveva detto «L'avvenire della Germania e sull'acqua»), Noi tireremo diritto, Molti nemici molto onore. Copio anche i gcsti, come quello di agitare la spada delPIslam, ripetendo a Tripoli nel 1937 1'esibizione gugliclmina del 1898 a Ge-rusalemme, con i medesimi magri risultati. 11 Kaiser aveva prenotato nel '14 un appartamento ai Champs Elisees per assistere alia sfilata delle sue truppe vit-

(16) Giuseppe Borr.\i. Diario. 19>>IV44. A cura di Giordano Bruno Guerri. Milano. Riz7.oli, 1982. p. 2IS.

toriose e il Duce nel '42 si era portato in Libia un cavallo bianco per entrare in Alessandria d'Egitto da vincitore. II Kaiser non arrivo mai a Parigi e il cavallo bianco di Mussolini torno a casa senza essersi dis-setato nel Nilo.

La differenza storica fra i due personaggi fu semmai oggettiva. Dietro il Kaiser ed i suoi malde-stri collaborator! e'er a la Gcrmania, la potenza indu-striale e militare di un lbrte Impero, dietro Mussolini e'era I'ltalia con i suoi limiti e i suoi ritardi che Lui aveva 1'abilita (c in questo fu di una grandezza napo-leonica) di mascherare con i discorsi e le finzioni da grande attore.

E attore — questa volta involontario — fu fino in fondo, fino alia fuga disperata, fino alia morte ed ol-tre: una vicenda italiana cominciata in una famiglia di socialisti romagnoli e finita su una piazza milanese fra gli ultimi fuochi e le ultime grida di una tragedia moderna.

Pier Carlo Masini

PREMESSA

Un italiano antifascista che fosse invitato da uno straniero ad esprimere con sincerita e con serenity la sua opinione sul valore della personality politica di Mussolini, si troverebbe spesso in imbarazzo. Se egii nega al « duce » una personality eccezionale, abbassa il suo paese al rango delle nazioni balca-niche, ne fa una specie di Messico europeo; se rico-nosce che Mussolini 6 un grande uomo politico, le critiche mosse, d'altra parte, al suo metodo di go-verno e al fascismo possono correre il pericolo di scivolare come l'acqua sul marmo, per poco che lo straniero curioso simpatizzi con la « maniera forte », quando la creda necessaria.

Nei paesi dove la democrazia parlamentare e il libe-ralismo all'insegna « les affaires sont les affaires » rendono assai difficile, a causa di alchimie ministerial!, logomachie accademiche, lungaggini e com-plicazioni burocratiche, la vita amministrativa della nazione e ne rovinano, con gli espedienti e la corru-zione, la vita politica, esiste una simpatia per il fa-" scisrpo italiano, simpatia sommaria e con molte ri-serve, ma viva e diffusa. La nostra e un'epoca delle dittature: Pilsudski in Polonia, Stalin in Russia, Horty in Ungheria, Kemal in Turchia... Ed e d'ieri la dittatura di Primo de Rivera. In Germania, Hitler

guadagna terreno. A un Mussolini omeopatico non si puo paragonare un qualsiasi Tardieu che molti francesi della media ed anche della piccola borghe-sia si augurano?

L'antifascista italiano, cosciente di questa ondata di simpatia che il dittatore di Roma si & creata in certi strati dell'opinione pubblica straniera formata come si sa dalla « grande stampa », deve esagerare; e costretto a disarcionare il mito e a coprirlo di fango, cioe non solo a deprezzarlo fino a ridurre la personality di Mussolini ad una sonante nullita, ma anche a presentarlo come un mostro di malvagita politi-ca. Questo qualche volta & un artifizio propagandisti-co, ma piu spesso e una tendenza istintiva, uno spontaneo eccesso per spirito di contrasto. In questo ultimo caso colui che parla & meravigliato della realty del fenomeno che deve interpretare e descri-vere. Questa dittatura gli sembra assurda e impossible in un paese non inferiore ai piu civili; e per sfuggire a questo intimo imbarazzo e tratto o a ca-ricare le tinte del ritratto morale di Mussolini e del movimento fascista, o a incolpare i dirigenti dei diversi movimenti politici e sindacali sconfitti, rim-proverando loro di non aver saputo « fare come Mussolini ». Infatti e una reazione costante dei vinti quel-la di indicare la causa della vittoria del nemico nella sua slealta o nella sua crudeltk e, nei momenti di maggiore scoramento, di credere alia viltk e alia stupidita dei propri generali. Tutto un assieme di preoccupazioni, di passioni, di pregiudizi, d'incom-prensioni, d'interessi hanno accumulato sulla figura di Mussolini tante alterazioni da deformarla in modi diversi, talvolta opposti.

Cos* il biografo onesto deve lavorare con l'accetta in questa foresta vergine di aneddoti cosi ingegnosa-mente inventati che sembrano veri o cosi mostruo-samente veri che sembrano falsi, oppure cosi gros-solanamente esagerati che sembrano falsi anche se sostanzialmente veri. Quel biografo come potrebbe orientarsi se non fissando bene e tenendo costante-mente prescnti ie Iinee fondamentali, il profilo per cosi dire, della psicologia di Mussolini? Questo libro piu psfcologico che storico-politico, tcnta di risponderc alia domanda: Mussolini c un grande uomo politico? E risponde di si. Ma aggiun-ge e spiega che per essere un grande uomo politico, e necessario essere un grande attore. La tesi non e originale: il nostro personaggio e gi& stato giudicato grande attore da parecchie personality del mondo Jetterario, scientifico e politico. Se H. G. Wells ha visto in Mussolini un « volgare attore popolare » il professor G. Salvemini, lo storico del fascismo ita-liano, lo ha definito «un commediante meraviglioso» e il suo migliore biografo antifascista, Alceste De Ambris, disse di Mussolini: « Come istrione e vera-mente un genio ». Si potrebbero raccogliere molti giudizi simili a quelli citati, ma quest! giudizi non farebbero che delineare la figura di Mussolini, men-tre c necessario dipingerla, situarla in una atmo-sfera: la psicosi di un popolo.

Non pretendo di aver fatto un'opera letterariamen-te brillante e storicamente completa, ma spero di aver fatto un libro utile. Oso credere che i lettori non italiani troveranno in queste pagine un po' di luce per l'intclligenza del fenomeno fascista-musso-liniano.

Cio, a mio parere, non pud che contribuire a svilup-pare il disgusto verso il regime della dittatura, quale ne sia il colore e quale sia il cielo sotto il quale esso corrompe ed opprime.

Mussolini e un grande uomo politico perche e un grande attore. Si pu6 essere uomo politico senza essere attore? Penso di no. La politica non e una attivitk pienamente compresa e descritta dalla ci-nica definizione di Talleyrand (« Un certo modo di agitare il popolo prima dcll'uso »). La base della for-tuna dell'uomo politico che arriva al potere, nei quadro di un partito o di un regime, fu, e e sara sempre quella del tribuno, del giornalista, del tat-tico.

L'uomo politico non e il pensatore-scrittore politico. Quest'ultimo o e 1'utopista, di cui si puo ripetere cio che Luciano diceva di Platone: egli e il solo abitante della sua citta, o e 1'interprete della storia (Gobineau) o & l'apostolo-profeta (Mazzini) o e il poeta (Carlyle, Victor Hugo). L'arbitrio delle costru-zioni ideali dell'utopista e giustificato dalla funzione del mito; 1'interpretazione delle vicende umane e feconda come canone metodologico; l'apostolato del profeta puo contribuire a creare situazioni storiche di grande importanza e ci da figure esemplari di « maestri di vita ». Le idealizzazioni storiografichc esaltano il valore estetico ed etico dcgli sforzi dell'uomo emendando la fredda e unilaterale interpre-tazione materialistica. Ma 1'utopista non sara mai uomo politico, nei senso che egli non sar& mai un vincitore nella realta contcmporanea. Potra creare una setta, scatenare una agitazione, lasciare disce-poli devoti e appassionati, ma il suo destino e di scrivere nella penombra di una prigione, come Cam-panella, di bruciare su un rogo come Bruno, di vi-verc una logorante esistenza di Iotte continue, durante la quale il successo ha brevissima durata ed e seguito da una rapida caduta. L'utopista accende delle stelle nei cielo della dignita umana, ma naviga in un mare senza porti. La sua natura psichica e quella del mistico, la sua ingenuity & quella del poeta autentico; egli e fuori del tempo, volto verso un passato remotissimo e spento o fissalo ad un impossible avvenire. L'utopista puo approdarc alia citta storica, ma non puo conquistarla. In ogni tempo, Firenze uccide Savonarola.

L'apostolo-poeta e Mazzini che e il poeta della sua Utopia, che vive nella Iotta politica come la su-perstizione vuole che la salamandra viva nei fuoco. Egli sta nei presente col ricordo del piu bel passato e con il sogno del migliore awenire. Questi ricordi e questi sogni gli danno ali candide per non cadcre nei compromesso, per scacciare il demonio delle se-duzioni, delle vanita e delle ambizioni personali. La voce dell'apostolo-poeta e sempre giusta perche essa e sempre sincera. Ma il suo destino e lo siesso del-I'utopista. Vorra passare dai Doveri delVuomo alia Repubblica romana, ma sara la disfatta. Mazzini, l'instancabile ragno delle cospirazioni e delle spedi-zioni, vive per quasi tutta la vita in esilio e muo-re sotto un falso nome, nascosto nell'Italia unifica-ta sotto la monarchia piemontese. Ma la sua voce e ancora una colonna di fuoco: la si e udita fin nel-le Indie e ora ci ritorna dall'Oriente. Che cosa ci ha invece detto Cavour? Quasi niente. Che cosa ci ha detto Bismarck? Quasi niente. L'apostolo-pro-feta b una vivente Bibbia finche vive, un Cristo che continua a predicare dopo morto. I suoi errori so-no un nonnulla, poiche verita etcrne li coprono con i loro raggi. L'apostoloprofeta scrive pagine che non muoiono. Va al di la del suo tempo, parla a tutti gli uomini della terra. E' vincitore perche e stato vinto. Non e 1'uomo politico ma e l'uomo della polis: l'uomo che vive ed e pronto a morire per essa. Non e Alcibiade ma Socrate. Egli lavora nei presente, ma pensa aH'awenire; vede i cittadini ma non dimcntica l'uomo; e il tribuno ma non il reto-re; puo essere uomo di Stato, ma alia caduta della Repubblica, andr&, come andava Mazzini per le vie di Roma nei 1849, a cercare la morte. L'interprete della storia e destinato a ingannarsi nelle sue profezie, come l'utopista. De Gobineau, scrivendo a Tocqueville, gli prediceva: « Il taglio dell'istmo di Suez sara funesto all'Occidente, poi-ch£ tutti i vantaggi andranno alia Grecia, Marsiglia e Bordeaux saranno rovinate, l'lnghilterra si rovi-nera finanziariamente e commercialmente nelle Indie, a vantaggio degli Indiani che diventeranno ric-chi ». Nel 1851, a Berna, predira l'immincnte fine della Svizzera davanti all'Austria. In quello stesso anno un viaggio in Piemonte gli far& sperare nella abdicazione di Vittorio Emanuelc II a favore del duca di Genova e nel ritorno della casa di Savoia all'alleanza con l'Austria perche la nuova politica commerciale di Cavour avrebbe rovinato l'industria locale a vantaggio di Genova e dell'Inghilterra. A suo parcre tutto il problema era di sapere se sareb-be stata l'lnghilterra o l'Austria a dominare l'ltalia, e vedeva la Russia aiutare l'Austria a costruirsi una potenza piu grande di quella sognata da Carlo V. E si potrebbe continuare se non bastasse tutto que-sto a dimostrare che Gobineau era « presbite », come dice Romain Rolland. Tocqueville, meno genia-le di Gobineau, vedeva con maggior chiarezza nel presente e nel futuro, e per questo non faceva trop-po spesso profezie. Tocqueville comprendeva che la politica e storia, cioe un assieme di vicende dominate da leggi che non si conoscono, ammettendo la concczione deterministica, o costituite da una catena di casi che hanno infinite possibility di deter-minazione.

La mcntalita politica si mostra impotente a preve-dere. Cavour, nel 1859, non poteva credere all'Ita-lia unita. Quando si vede George Sorel scrivere in una nota all'cdizione del 1912 delle sue Reflexions sur la violence: « L'ipotesi di una grande guerra europea sembra al momento poco verosimilc », cid non stupisce, poiche molti ministri degli esteri sa-ranno colti completamente di sorpresa dallo scop-pio della prima guerra mondiale e molti « grandi uomini » politici degli Imperi Centrali e dell'Intesa dimostreranno durante il corso della guerra di non aver capito niente di ci6 che stava per succedere. E non parliamo poi della suprema stupidita della pace di Versailles.

Tutta la storia e 1& a dimostrare che gli uomini po-litici non fanno migliori previsioni — quando non ne fanno peggiori — degli uomini comuni. E' assai raro che i fatti diano loro ragione. Awiene quasi sempre che essi si adattino, con molta abilita, a fatti mai immaginati, per dimostrare al pubblico d'essere stati i dominatori della situazione. Degli uomini politici si puo dire cio che Renan di-ceva dei « grandi uomini » della Rivoiuzione fran-cese: « Quegli uomini non furono grandi, furono solo gli operai di una grande ora ». L'uomo politico e legato al momento storico in cui vive. La gloria di Napoleone e inconcepibile senza la Rivoiuzione fran-cese: la grandezza di Kant, di Goethe e di Beethoven e al di sopra e al di fuori delle vicende dell'e-poca napoleonica.

La fortuna di Napoleone dipese essenzialmente dal suo opportunismo e dal caso. Lui stcsso non ha det-to di csscre la creatura delle circostanze? E per lui vale anche l'affermazione di Thiers, che era buon giudice in materia: « Gli uomini di principio sono dispensati dal riuscire ». Per caso Napoleone fu no-minato dalla Convenzione comandante in capo del presidio di Parigi e marcio contro i Giacobini, fra i quali un tempo aveva militato, cid che gli permise di sfondare. E' anche grazie al suo « occhio d'aqui-la » che Bonaparte ha potuto diventare Napoleone. Inviato a comandare l'armata d'ltalia, domina i ge-nerali, mal disposti verso di lui, fin dal primo in-contro. Sul suo .s'avoir jaire con i soldati, gli uffi-ciali, i ministri vi sono molte pagine dei suoi con-temporanei. Quanti dei suoi atteggiamenti, dei suoi gesti, dei suoi sguardi hanno avuto importanza nel-la sua personality storical Un fatto lo dimostra: egli e uno dei personaggi della storia che e stato piu facile portare sulla scena. Talma, che lo conob-be semplice ufficiale e lo frequento assiduamente quando era generale, console e imperatore, ha la-sciato scritto nelle sue memorie che, avendolo os-servato in circostanze speciali ed assai importanti.

la sua mimica cd i suoi acccnti gli scrvivano di le-zione. E aggiunge di aver visto il vero volto di colui che si considerava come fantastico e fuori misura nella storia. A Emerson non e sfuggita questa pre-minente natura di attore in Napoleone, e, secondo questo profondo scrittore, Bonaparte fu un eroe volgare, cioe l'eroe dell'« uomo della strada » che, in sc, trovava le qualita e gli impulsi degli altri uo-mini della strada.

L'immensa popolarita e il segno della grandezza politica: segno che awicina 1'uomo politico all'at-tore tragico e comico, alia danzatrice, al grande banchiere. L'uomo politico e un mostro che puo riuscire ad imporsi grazie ad una sola quality la eloquenza o la verve giornalistica o il coraggio ecc... Leopardi, il poeta-filosofo, si pose il problema della reale grandezza degli eroi e concluse che essi si elevarono « principalmente in virtu dell'ecccsso di alcune delle loro qualita sulle altrc ». In effetti, men-tre il genio non e riducibile a tipi inferiori, Yeroe puo avvicinarsi a questi: il pirata potcva dire a Alessandro il Grande: « Tu fai in grande cio che io faccio in piccolo ». II venditore amhulante delle fie-re non occupa un posto molio lontano da quello del grande parlamentare. Il sordo Beethoven resta Beethoven, Lloyd George afono e fottuto. L'uomo politico dunque e un virtuoso: e l'eroe del successo, Yuomo del giorno, Yuotno pubblico. La sua fama e come una tromba. Egli sta, nella... gloria, fra il sorri-so di Maurice Chevalier e i pugni di Carpentier. II li-bro tipico dell'uomo politico e l'autobiografia, il genere letterario dei grandi imbroglioni e delle bal-lerine. Si e detto che i grandi uomini sono « i so-stantivi nella grammatica dell'umanita »: penso che si possa dire che gli uomini politici non ne siano che gli aggettivi.

Dopo quanto ho detto, si vedr& che riconoscere in Mussolini la... grandezza politica non e, da parte mia, un complimento.

Capitolo primo L'EPOCA DI MUSSOLINI

Sono numerosi i giornalisti stranicri che accostano Mussolini a Cola di Rienzo e a Masaniello. Candida ignoranza o sottile ironia?

II primo e l'uomo che convocava ad audiendum verbum gli imperatori e i piu potenti principi, si attribuiva il titolo di «Augusto» e dava un enorme valore a un bagno fatto nella vasca di Co-stantino. Pretendeva di essere figlio di Arrigo VII: in conclusione, un megalomane e quasi un folle. Anche il secondo fu un megalomane e un mezzo pazzo. E' vero che Petrarca scriveva ai Romani in-vitandoli a venerare Cola come « un raro dono di Dio », e che Masaniello fu popolare in tutta l'Euro-pa e venne salutato come novello Bruto da molti suoi contemporanei. Ma cio dimostra solo la facility con cui, in date epoche, si formano dei miti e delle antropolatrie.

Lo stesso Risorgimento & stato dominato da alcuni attori: Garibaldi, Pio IX, Vittorio Emanuele II han-no goduto di una immensa popolarita, non cono-sciuta da Pisacane, da Rosmini, da Cavour. Garibaldi ha dovuto una gran parte del suo presti-gio alia sua bellezza fisica, al fascino del suo sguar-do, ai suoi pittoreschi modi di vestire. Pio IX si avvantaggiava degli sfarzi e del fasto spettacolare della corte romana. Vittorio Emanuele II era anche lui un tipo pittoresco con dei baffi cnormi e con il suo elmo armato di smisurate piume. Uno scrittore tosc^no, Renato Fucini, che nel 1877 visito Napoli, scriveva di quella plebe:

« II Re non c nelle buone grazie di costoro, perche sotto il suo regno i viveri sono rincarati; ma se Vittorio Emanuele attraversasse i quartieri bassi della citta adornato di penne di pappagallo, di campanelli o di gemme di Murano, come il capo di una tribu selvaggia, si prosterebbcro ad adorarlo. Non per questo tutta l'ammirazione che potessero conce-pire per un tal presunto corifeo, varrebbe a sradicare dalle Ioro convinzioni che Governo vuol dire opprcssione, auto-rit&, arbitrio; amministrazione, ladroneria » (R. Fucini, A/a-poll a occhio nudo. Firenze, Le Monnier, 1878, p. 36).

Il popolo italiano, in efTetti, anche nei suoi strati piu miserabili e piu ingenui, non manca di un po' di spirito critico, e se ha momenti di facile e infantile entusiasmo per tutto cio che colpisce la sua irama-ginazione e soddisfa la sua predilezione per le cose vistose, non cessa di osservare e non e sprovvisto d'ironia.

Prima della guerra, non mancavano in Italia idoli della folia che erano dei pulcinella, awenturieri e volgari opportunists Ma la loro influenza era limi-tata a una regione, a una citta. Nessun demagogo godeva di una influenza nazionalc. Se si svolgevano cerimonie spettacolari, esse non avevano la frequen-za e la messa in scena di quelle del dopogucrra e nessun uomo politico, neppure fra i piu sfrontati, avrebbe mai sognato di farsi dedicare dei monu-menti, da vivo, come ha fatto Mussolini. Se si orga-nizzavano manifestazioni in onore di un uomo politico, era per farlo uscire di prigione, per salutare un difficile successo elettorale, per ottenere la revi-sione di una condanna ritenuta ingiusta, per festeg-giare la vittoria di uno sciopero diretto dal festeg-giato, ecc... Se le donne del popolo si abbandona-vano talvolta a manifestazioni esagerate, come quel-la di stendere con le loro mantiglie un tappeto per il vincitore o quella di ofFrirgli i bambini da abbrac-ciare, queste manifestazioni non erano che deriva-zioni di costumi locali o del culto cattolico. Dopo la guerra, al contrario, erano studenti, impie-gati, borghesi c perfino nobili che si davano ad una vera frenesia di cerimonie, una piu spettacolare del-l'altra.

L'impresa di Fiume dcttc la sccna mistica, il sim-bolismo, la liturgia si potrebbe dire, che doveva di-ventare una delle forze emotive del movimento fa-scista.

L'epoca di Mussolini e 1'epoca di D'Annunzio. Ec-cola descritta da Pietro Nenni, gia direttore del quotidiano Avanti! nel suo libro Six arts de guerre civile en Italie (Paris, 1929):

« Assistei a Fiume, nel scttembre 1920, alle feste dell'anni-versario della marcia. Si aveva l'impressione di vivere alia corte di un principc del Rinascimento, colto e magnifico. D'Annunzio si alzava all'alba. Era il primo a giungere alio appuntamento fissato ogni mattina ai suoi soldati ed era piu che una passeggiata una corsa folle lungo la riva del mare o sulle colline circostanti. Alia tappa, il «comandante» parlava a quegli uomini il solito linguaggio immaginifico e violento. E la riunione terminava ogni volta con lo stesso cerimoniale:

— A chi l'ltalia?

— A noi!

— Che fanno i nostri nemici?

— Schifo!

Subito dopo D'Annunzio si dedicava agli affari « di Stato ». Riceveva molta gente, moltiplicava messaggi c ambascerie, teneva rapporti con i Croati, gli Ungheresi, persino con i bolscevichi che sembra lo tenessero in grande considerazio-ne. Collaborava a numerosi giornali.

Ma il progetto che, in quel momento, occupava il suo spi-rito awenturoso, era una marcia su Roma. A questo scopo non aveva esitato a sollecitare l'appoggio o quanto meno la neutrality dei socialist), senza peraltro ottenerla. Quale pegno del suo interesse per la classe operaia, aveva pub-blicato una Carta del Lavoro, vero codice di uno Stato cor-porativo. Sognava di sbarcare a Rimini o a Ravenna, di rifare la strada di Cesare, di giungere a Roma, sciogliere il parlamento e proclamare la dittatura dei patrioti.

— Che cosa faremo dei deputati, gridava ai suoi soldati.

— Salsiccie.

— No, ci avvelenerebbero.

— Allora li sculaccercmo, in piazza Colonna!

— Cosi, va bene...

Ma dove le sue quality di attore di alto stile raggiungevano la perfezionc era nei « comizi dialogati». Quasi ogni sera, convocava i suoi legionari ad una specie di grande rapporto. Esponeva e commentava i fatti del giorno.

Che eloquenza! Che tagliente ironia! E quale veemenza contro i negoziatori di Versailles, da Clemenceau a Wilson. Erano quelli certamente i brani piu belli dell'oratoria dan-nunziana che, d'altra parte, manca, com'e noto, di vera emozione.

Quando I'esposizione del comandante era finita, cominciava un pittoresco dialogo. Gli si ponevano deJle domande. Si sollecitava la sua opinione su questo o su quell'argomento. Alia fine lasciava l'arengo dopo aver scambiato il saluto alia voce che piu tardi il fascismo doveva riprenderc:

— Per Gabriele D'Annunzio

— Eia, eia, alala!

— Per il popolo di Fiume!

— Eia, eia, alala!

— Qual'e il nostro motto?

— Me ne frego, rispondevano gli arditi alzando il pugnale, mentre il profilo metistofelico di D'Annunzio si illuminava di un malizioso sorriso ».

D'Annunzio era un istrionc come Mussolini. La sua villa sul lago, a Gardone, museo-convento-alcova dove il Iusso piu sfrenato si mcscolava ai sim-boli della poverta francescana, fu il suo teatro. Vi erano donne dai facili costumi in abito di suore francescane e legionari viveurs, anch'essi in vcste di terziari. Vi si vedeva una statua di S. Francesco rappresentato con un'enorme spada al fianco ed anche un quadro rafligurante D'Annunzio com-pletamente nudo, con la corona di poeta in testa e il monocolo, inginocchiato davanti a S. Francesco che gli apre le braccia.

La « cella monacale » aveva il sofiitto in oro battu-to; dappertutto era scritto Silentium e si sparavano cannonatc. Lc ccrimonie mistico-eroiche si alterna-no a scene sardanapalesche. L'Imaginifico non ha paura del ridicolo. Ecco, per coloro che non seguo-no la stampa italiana, il resoconto di una cerimo-nia a Gardone. La riprendo dal Corriere della sera del 25 maggio 1926. Si tratta dell'inaugurazione del vessillo del gruppo sportivo dcgli impiegati della Banca Popolare di Milano.

D'Annunzio appare al Vittoriale, sul ponte, alia prua della nave Puglia, che inalza il suo albero maestro in mezzo al verde delle colline. E' vestito da gene-rale dell'aviazione. Su una montagna, sul ponte di una nave, in divisa d'aviatore: cc la terra, il mare e il cielo.

Si toglie il bcrretto e parla. Comincia a piovere e si grida dal pubblico: « Tenete in testa il berret-to! ». L'oratore risponde: « II 'comandante non ri-ceve ordini »; lancia il suo berretto fra la folia e aggiunge ridendo: « Mi dispiace che non sia qual-cosa di piu solido ». Uno dei presenti, il sindaco di Crema, domanda la parola e annuncia che un piccolo gruppo di legionari cremaschi si e unito al grosso del pellegrinaggio sportivo e che porta in dono alcune preziose monete dell'epoca di Barba-rossa. II poeta risponde: « Non sono un numisma-tico ma le accetto come un obolo e fo osservare che anche la Banca Popolare doveva portarmi, e dovr& farlo, il buono da cinquanta centesimi che cssa stampo, sessanta anni fa, al tempo della crisi finan-ziaria ». Nessuno ha pensato a questo dono. E il poeta riprende a parlare qualificandosi « uomo di finanza »: « II ligliuol prodigo, di cui io sono il discendente, e il piu perfetto uomo di finanza. Si dice, miei cari compagni economi, che il Comandante ha le mani bucate... Ecco il segno che mi appa-renta a S. Francesco che aveva, anche lui, le mani bucate dalle stigmate. Attraverso le mie stigmate passera anche quel buono di cinquanta centesimi che voi non mi avete portato ». Terminato il discor-so, abbracciato il labaro, D'Annunzio ordina di ti-rare sette colpi di cannone. Poi discende dalla pro-ra, abbraccia alcuni legionari cremaschi e promet-te di andare a Crema, incognito « con la parrucca, una barba finta e un paio di occhiali d'oro da gio-vane pianista ». Dopo aver parlato dell'efficacia del digiuno sul cervello, si ritira. E questa non e stata una delle cerimonie piu stu-pefacenti.

Le buffonate di D'Annunzio sono un segno dell'epo-ca. Ma ancora piu significativa mi sembra l'avven-tura di Edgarde La Plante, comparsa cinematogra-fica americana, che riusci ncl 1924 a Farsi passare per un principe pellirossa e a divenire un perso-naggio ufficiale del fascismo.

Come i vermi che formicolano su un cadavere con-sentono di stabilirne il grado di decomposizione, co-si la spccic di awenturieri che riescono ad imporsi in un dato momento storico illuminano lo stadio di decadimento di una nazione. La figura ed il ruo-

10 di Rasputin sono stati giustamente studiati an-cor piu di Nicola II e dei suoi ministri.

La Plante non era che il capo di una troupe di pellirossa da circo, un presentatore-Barnum della ca-sa cinematografica « Paramount », un ballcrino e cantante dei teatri di varieta. Alcoolizzato, bigamo e omosessuale, non era fornito di alcuna cultura. Era un volgare scroccone. Conosciute a Nizza due contesse tedesche, madre e figlia, divenne loro ami-co: cosi comincio a spillar loro denaro. A Grado, a Porto Rose, a Trieste debuttd facendosi passare per un grande capo indiano vejiuto in Europa per ri-vendicare i diritti della sua razza. I suoi primi success!, nei Casino e negli stabilimcnti balncari, gli suggeriscono 1'idca di fare un giro trionfale attra-verso tutta l'ltalia. La prima tappa fu Venezia, ove venne accolto con una grande manifestazione popo-lare. Scese all'IIotcl Danieli: i giornalisti accorse-ro per intervistarlo, presentandolo poi, con artico-

11 stupidamente apologetici, come un autentico principe indiano. Invitato a ricevimenti ufliciali, comincio a circonclarsi di segretarie e di una specie di guardia pcrsonale composta da giovani fascisti. Or-mai sicuro di se, si gctto nei lav ventura.

II 21 luglio 1924 e proclamato a Fiume fascista ad honorem. Un generale della milizia fascista gli dona, a Trieste, la sua foto con questa dedica: « A Sua Altezza il Principe Chief Elk Tananna Ray, fa-scista nell'anima e gregario dcvoto ». Il vescovo del-l'lstria gli fa dono di un prezioso anello; ad Anco-na e accolto ossequiosamente dalle autorita; a Bari riceve una seconda tessera ad honor em; nei paesi delle Puglie il suo arrivo e salutato dalle campane delle chiese; a Roma e ricevuto da Mussolini; a Milano i moschettieri di Mussolini lo nominano mo-schetticre onorario; a Torino parla alia celcbrazio-ne del secondo anniversario della marcia su Roma; dovunque gli e conferita la qualifica di membro onorario di numcrose associazioni di ex-combattenti e dovunque distribuisce denaro a piene mani. Quando stava per sedersi a teatro, nel palco rcale, dovet-te ripartire per la Svizzera con la sua collezione di foto con dedica, di doni, di tessere ad honorem, di lettere d'ammirazione. Arrestato, venne condannato per truffa e fu I'ltalia ad essere giudicata. Uno dei mcmbri del tribunale osservo: « Neppure D'Annun-zio venne esaltato a tal punto » e una donna di spi-rito scrisse all'accusato: « In questo mondo e di questi tempi solo cervelli come il vostro fanno car-riera. Che guaio aver voluto attribuirsi un titolo che non vi spetta! Se avestc scelto la carriera poli-tica, sareste ora un grande capo... ». In effetti, pantografando questo cpisodio di crona-ca, noi abbiamo la storia di quel periodo: 1'ora del pasto politico dei nuovi arrivati. E si pud, senza esa-gerazione, affermare che quasi tutti i « ras » fascist! sono dei... principi indiani. Basta leggere il ca-pitolo che c loro dcdicato in La Terreur fasciste (Paris, 1929) del professor Salvemini, per convincer-sene.

Capitoi.o sf.condo IL BARNUM DEGLI DEI

Per Ianciare La Plante ci voile la stampa quotidia-na. Questa e la vera creatrice delle grandezze poli-tiche. Non e un caso che il giornale sia stato istituito dagli imperatori romani. E si sa che Napoleone si occupava del Moniteur al pari dell'artiglieria: « Una grande fama, diceva, e un grande rumore ». Mussolini e dello stesso parere. Ha scritto: « Dete-sto coloro che mi prendono a argomento dei loro scritti», ma cio si legge nella prefazione a Dux di Margherita Sarfatti, il libro piu ammirativo che sia stato scritto su di lui. E siccome le apologie de-gli altri non gli bastano, ha scritto cgli stesso la sua vita, intreccio delle menzogne piu sfacciate e dei piu grotteschi auto-incensamenti. Mussolini ha sempre curato la propria reclame. Nel 1903 e nel 1904, espulso dal cantone di Berna e da quello di Ginevra, e.minacciato d'estradizione per aver falsificato la data del passaporto, pubbli-co numerosi articoli su Le Peuple di Ginevra sulle sue avventure, dipingendo a foschi colori la sua si-tuazione di perseguitato. Direttore del giornale so-cialista rivoluzionario La lotta di classe di Forli eb-be sempre cura di mettere in rilievo la sua attivita di agitatore. Cosi fece quando giunse alia direzione del quotidiano socialista Avanti!. Il Popolo d'Italia fu ancora di piu il suo giornale personale, e sulle sue colonne veniva esaltato come il « duce ». A par-tire dalla fondazione dei Fasci, nel 1919, fino ad oggi una gran parte dell'attivita del partito fasci-sta e stata assorbita dalla piu continua e frenetica esaltazione della personality del « duce», rappre-sentato come un condottiero senza macchia e sen-za paura, come un geniale costruttore, come il piu grande uomo di Stato che mai il mondo abbia visto.

In un libro (Dolores Mingozzi, Mussolini visto dai ragazzi, con pref. di Augusto Turati, San Casciano Val di Pesa, Societa Editrice Toscana, 1929) una maestra ha raccolto i giudizi degli alunni e delle alunne della scuola elementare su Mussolini: giudizi nei quali vediamo riflessa la letteratura apolo-getica che lo storico e lo psicologo di domani stu-dieranno come il prodotto di una vera psicosi col-lettiva. Come ha fatto Mussolini a conquistare il potere? Risposta di un alunno: « Studiava sempre: divenne capo del fascio e poi dei ministri. Studiava sempre, e divenne Duce ». Un altro vede in lui un miracolo di lavoro: « Lavora sempre e non dor-me mai, o quasi. Chiude gli occhi ogni dieci minuti, poi si desta, si da una bella lavata, e torna subito a lavorare che e fresco come una rosa ». Un terzo lo ritiene molto coraggioso « tanto & vero che, due ore dopo l'attentato di Bologna, ando a suonare il mandolino con la sua famiglia ».

Come abbiamo visto, le scuole sono fra i maggio-ri semenzai di mussolinismo. I maestri hanno quasi ogni giorno l'occasione, imposta, di parlare del duce. Basta consultare il « diario » di una alunna romana nel 1927-28:

12 ottobre. Battaglia del grano (la maestra spiega agli alunni lo sforzo intrapreso da Mussolini, a mezzo di concorsi e di prcmi, per produrre tanto grano quanto basti ai bisogni). 14 ottobre. Visita alia « Mostra del grano ». 21 ottobre. Commemorazione di Crispi (e inevitable un parallelo fra Crispi e Mussolini).

26 ottobre. Tutti gli alunni scrivono una frase di gratitudine al Duce; la migliore gli c inviata.

27 ottobre. Vigilia dell'anniversario della Marcia su Roma, su cui la maestra intrattiene gli alunni (e im-possibile non parlare del Duce).

19 febbraio. Giornata del riso (impossibile non par-larc di Mussolini che ha proclamato il riso alimen-to nazionale).

26 marzo. Anniversario della fondazione dei Fasci di combattimento.

15 aprile. Giornata del Pane (altra iniziativa del Du-ce).

Alle pareti di tutte le scuole si legge il proclama: « Mussolini ai bambini d'ltalia ». Sui banchi si tro-va il « Quaderno nazionale »: sulla copertina fa bel-Ia figura il ritratto di Mussolini, che adorna anche le aule. L'inaugurazione di questo ritratto 6 una del-le piu importanti cerimonie scolastiche. Ecco in proposito le istruzioni dellc autorit&: « Gli alunni saranno tutti radunati nella palestra c i direttori, avendo al fianco la bandiera della scuola, presen-teranno 1'efligie del Duce e parleranno della grande opera che egli ha compiuto per la nostra patria, liberandola per una nuova grandezza romana. Di-ranno che con Lui e grazie a Lui e cominciata una nuova storia, in cui 1'ltalia, veramente e fortemen-te unificata negli spiriti e nei cuori dei suoi figli, torna ad essere la maestra del mondo in saggezza e in civilta; diranno che dopo 1'cfiigie del sovrano, simbolo augusto della Patria, il ritratto di Benito Mussolini sar& il simbolo della nuova fioritura della Patria.

Che il discorso sia breve e sentito... Finita la distribuzione dei ritratti, i gruppi sfile-ranno davanti alia bandiera c al ritratto del Presi-dente del Consiglio ».

In tutte le scuole si distribuisce gratuitamente La vita di Mussolini di Giorgio Pini e si raccomanda ai maestri di Ieggere e di spiegare in classe lunghi passaggi della biografia del Duce di Margherita Sar-fatti.

Alcune scuole possiedono il fonografo che serve a fare intendere la voce del padrone. (Vedi il bel libro di Helene Tuzet, L'education du peuple italien selon les fascistes et selon liti-rneme. Paris, 1931).

Questo culto di Mussolini nelle scuole prende le forme piu grottesche. Basta, per averne una idea, leggere questa preghiera che si e fatta imparare agli alunni delle scuole italiane in Tunisia e che si pud leggere sulla Tribuna di Roma del 25 luglio 1927:

« lo credo nel sommo Duee — creatore delle Camicie Nere.

- E in Gesu Cristo suo unico protettore - II nostro Sal-vatore fu concepito - da buona maestra e da laborioso fabbro - Fu prode soldato, ebbe dei nemici - Discese a Roma; il terzo giorno - ristabili lo Stato. Sail all'alto ufficio

- Siede alia destra del nostro SovranoDi la ha da venire a giudicare il bolscevismo - Credo nelle savie leggi - La Comunione dei cittadini - La remissione delle pene - La resurrezione dell'Italia, la forza eterna, cosi sia ».

Si potrebbe raccogliere una massa di simili document per fame un volume che farebbe impallidire il ricordo dei Faraoni e degli Imperatori romani. Mi limito ad alcuni saggi. Ecco una circolare invia-ta dal deputato Scorza (i'organizzatore dell'aggres-sione che e costata la vita al filosofo Giovanni A-mendola, e attualmente capo delle organizzazioni fasciste degli studenti delle scuole secondarie e delle Universita) dopo le cerimonie che hanno avuto luogo per 1'anniversario della marcia su Roma, nel-l'ottobre 1931:

« Ricordo a tutti — Universitari, Giovani Fascisti e Coman-danti — la piu rigida osservan/.a delle mie disposizioni date con l'ordine 49 del 10 marzo 1931.

In diverse manifestazioni di questi giorni, si sono uditi Universitari e Giovani Fascisti invocare ritmicamente il nome di questo o quel gcrarca e cantare delle strofe esaltanti illustri sconosciuti. I Giovani Fascisti e gli Universitari non devono scandirc che un solo nome: quello del Duce. Non devono cantarc inni che non siano fascisti e devono cantare soltanto per Lui.

Oltrepassare questo limite significa non aver ancora raggiun-to questa concczionc unitaria del Fascismo che deve essere alia base della coscienza delle nuove generazioni. Siccome io non ho 1'abitudine di ripetere i miei ordini, av-verto che ho richicsto ed ottenuto da Sua Eccellcnza il Segretario del Partito la facolt& di destituire immediata-mcnte i comandanti di squadre, di centurie e di fasci che si dimostrano incapaci di ottcnere dai loro uomini questa manifestazione di educa/.ione spirituale. Nella Chiesa fa-scista vi sono molti santi, alcuni vescovi, un'armata di fedeli, molti scaccini, ma un solo Capo! Far confusione, significa bestemmiare. I comandanti provinciali trasmette-ranno la presente ai comandanti di squadra. Darmi assicurazione che si e capito ».

Nel novembre 1931, Giuriati, scgretario del partito, disse a Mantova, in un pubblico discorso:

Bisogna credere che Mussolini ha sempre ragione, che non si inganna mai. Voi non dovete chiedere quando dovrete marciare e dove vi si conduce: vi basta sapere che Mussolini e alia testa delle sue legioni e che la strada ch'egli segue conduce aU'Impcro... Mussolini e convinto che una mano infallibile lo guida, e la vittoria sara nostra ».

Mussolini e il papa nero, Mussolini e il Pater che e in coelis et in terra. Non e soltanto l'inviato dalla Provvidenza — comc 1'ha salutato il Papa, ai gior-ni del Concordato — ma egli e anche la sua incar-nazione. Nessuna meraviglia se e vietato nominar-lo col suo cognome.

Una delle manifestazioni di questo culto idolatra e data dail'inflazione delle sue foto, di cui Henri Be-raud, nel suo libro Ce que j'ai vu a Rome (Paris, 1929), ha ben reso l'ossessione:

« Mussolini e dovunque, in nome e in effigie, in gesti e in parole — piu ancora che Kemal in Turchia e piu ancora di Lenin a Mosca.

Apri un giornale qualunque: ecco riprodotto, commentato e celebrato un discorso " genialissimo" del Duce ...Un ne-gozio: ci mostra il grand'uomo inquadrato da fiori e da autograft. Ovunque indirizzate lo sguardo o portate i vostri passi troverete Mussolini, ancora Mussolini, sempre Mussolini. Senza sosta vi si parlera di lui, in termini la cui esal-tazione o prudenza mireranno a confondere lo straniero quale voi siete: caduto di fresco dalle lune democratiche e liberali... Non soltanto i calle e i loro frequentatori, i gior-nali e le loro votrine, le librerie e i loro scomparti, ma anche le mura, le nude mura, i cancelli dei cantieri non cessano di proclamare la sua gloria e il suo nome. Quanto alle cartoline postali e alle foto di propaganda, si puo avere un giudizio grazie a queste mostre in cui si vede il capo del governo in tutti i costumi c in tutte le pose, in redingote, in uniforme, da timoniere, da aviatore, da cavallerizzo, con un tricorno di piume in testa, con stivali a risvolto, pilota di una vettura grande-sport, mentre salta degli ostacoli, o arringa la folia, o trebbia il grano, o rim-bosca la Calabria, o saluta romanamente, o assaggia il ran-cio dei bersaglieri, o doma le belve, o marcia su Roma, o suona il violino...

Dopo sette anni di istantanee e di stereotipie, la profusione di questi ritratti e davvero incredibile. L'immagine del Duce fa parte dell'esistenza: essa domina tutte le circostanzc della vita italiana. Non parlo soltanto degli atti pubblici: parlo della vita quotidiana, della vita della strada. Entrate dal cappellaio, dall'orologiaio, dal droghicre, dal farmacista, dall'esattore: l'immagine del Dittatore, in ca-micia funebre, i la, e col braccio tcso vi osserva, domina il banco, presiede al traffico e attesta il civismo del com-merciante. Andate da un cambiavalute: lo sguardo impe-rioso attraversa gli sportelli, osservando con un tetro pia-cere l'operazione che trasforma il vostro franco democratico in settantacinque centesimi dittatoriali. Sara la stessa cosa alia stazione, in tramway o dal dentista. Ecco delle meda-glie, ecco delle incisioni. Ecco la sua biografia in tutte le lingue. Ecco, sotto vetro, come un pio ex-voto, un vestigio del recente plebiscito: il Duce in uniforme da generale della Milizia, con in testa il fez con l'aquila e il pennacchio bianco, fra due certificati elettorali: 'SI!', e due passi piu in la, dal profumiere, delle saponette col profilo del Sig. Mussolini.

E i cinema! Tutti, daH'umile sala dei sobborghi operai ai 'super' rutilanti d'oro e di tappeti, offrono come attualita le produzioni "Luce": cioe del cinema fascista di Stato. Tre

0 quattro volte per proiezione, il pubblico si alza in piedi come un sol uomo: sullo schermo appare l'ultima uscita del rinnovatore fotogenico e terribile.

Eccolo, in piena luce, che punta sul pubblico uno sguardo potente come desse la caccia nell'ombra a qualche lautore della massoneria o all'ultimo superstite dei partiti dello Aventino... E la folia batte le mani. Se l'ospite di Palazzo Chigi fa sentire la sua voce, e tutta un'altra cosa (perche

1 primi films parlati proiettati in Italia hanno dato la pa-rola a Colui che fa tacere tutti gli altri...).

Andate a teatro: Mussolini accentua il controllo e vi guar-da senza debolezza ne indulgenza. Dovunque andiate, qua-lurtquc cosa facciate, questo sguardo vi seguira; dovunque rocchio del padrone. Mussolini e onnipresente, come un dio. Vi osserva dappertutto e voi lo vedete in tutti i luoghi; sot to tutti gli aspetti, sia negli esterni realisti del film e dcll'istnntunca che sotto la specie decorativ'a del ritralto stilizzato...

Ossessione singolare, che rafTor/a 1'incontro frequente coi suoi sosia. Se ne vedono in gran numero. Perche e inutile dire che la gloria ha assai diffuso il tipo mussoliniano e che ogni fascista provvisto di una fronte scoperta, di una forte mascclla, di scure pupille, si da volentieri arie terribili e lancia occhiate fascinatrici».

Un altro aspctto della reclame fatta a Mussolini e quella delle parate fasciste, organizzate minuziosa-mente con treni speciali, con un viatico largamen-te diffuso, con una vera mobilitazione di gregari. Inutile aggiungere che le immagini fotografiche e cinematografiche divulgano in tutta Italia le prove dcll'attaccamento del paese al Duce. Tutto cio co-sta molto. La visita del Duce a Vcnezia nel giugno 1923 costd al Comune piu di 150.000 lire; quella fatta a Torino nel novembre dello stesso anno, circa 120.000 lire. Ecco la nota delle spese elcncate nella delibera del 14 novembre 1923 del Commis-sario prefettizio, incaricato deH'amministrazione di quest'ultima citta:

Addobbo della citta e del Municipio 52.785 Albcrghi 5.899,80

Banchetto 20.750

Auto 13.096 Targa offerta al Presidente del Consiglio 6.680.60 Addobbo del Monumento ai Caduti 915.15

Fuochi d'artiftcio 11.602 Spese diverse 5.223

Basti pensare che' Mussolini non fa economia di visite per concludere che e un visitatore che costa caro. Se i Comuni italiani sono quasi tutti in stato di fallimento, lo si deve anche a quanto costa loro la reclame fatta al partito fascista e al suo capo. Mussolini in persona e il rcgista di quel teatro di comparsc in cui e stata trasformata 1'Italia. 11 suo giornale e sempre stato pieno di grandi fotografie di manifestazioni fasciste. Quasi tutta l'attivita orga-nizzativa del partito e stata da lui diretta verso una sistematica serie di manifestazioni di potcnza nu-merica.

Gli scenari pittoreschi non mancarfo in Italia e Mussolini ha sempre avuto il senso della sccna e della coreografia. Lo si puo veder ancor meglio osser-vandolo nei suoi piu afFettati atteggiamenti.

Capitolo te-rzo

L'ATTORE - REGISTA

A Palazzo Venezia, il suo studio c molto ampio e severo. II tavolo e disadorno. Un mappamondo di pietra e un busto di Giulio Cesarc dominano 1'am-bicnte c 1'uomo dalle mascelle serrate e la, circon-dato da alti dossiers, sullo sfondo del suo appara-to. La, egli recita ogni giorno la sua commedia. Vi sono alcune piccole modifiche neU'espressione, a seconda dei visitatori. E, sul tavolo, la foto appro-priata con dedica.

Facciamo un passo addietro, nel 1914. Eccolo che troneggia alia redazione del Popolo d'ltalia, il cen-tro del movimento interventista, il suo quartier generate. In un'opera laudativa (Mussolini, Milano, 1922) Arturo Rossato lo descrive cost:

« II 15 novembre 1914 esce il primo numcro del Popolo d'ltalia ...Quando l'uonio si rintana nel suo "cubicolo" di redazione, ...allora sono ordini secchi e precisi:

— Fattorino!...

II fattorino si presenta all'apertura della tana.

— Portatemi il cafFe. Non deve entrare piu nessuno, qui. II primo che entra sparo.

— Un momento — ribatte il fattorino. — lo entrero per portare il caffe.

— Sparo anche a te!...

L'uscio della tana si chiude. Silenzio... Sulla parete, dietro a lui, la gran bandiera nera degli Arditi, adorna del teschio candido e del pugnale; sul tavolo, fra le barricate dei libri e il comizio dei manoscritti, riposa una rivoltella da venti colpi..., un po' piu lontano, sopra un volume di Carducci, un coltello da caccia...; piu in 1&, vicino al calamaio, un'altra piccola rivoltella elegante...; un poco piu lontano ancora, sopra i manoscritti che non si pubblicheranno mai, si riz-zano dei caricatori lucidi, quasi d'oro, che scmbrano zam-pogne simboliche d'un fauno guerresco... Dentro quella armeria formidabile, spiccando quasi spettrale sullo sfondo funebre della bandiera, Mussolini si corica, stride, strepita, si aguzza ed esplode...» (pp. 26-27).

Nei 1918, ccco un ricordo di Settimelli, un futu-rista:

« Italiano puro sangue, era bello a vedersi, il giorno dello armistizio, nelle stanze della redazionc trasformate in for-tezza, mentre impartiva ordini agli arditi, col revolver sul tavolo. C'e in lui un lato pittoresco chc e incantevole. Un italiano che ha perfettamente capito gli italiani

II lato pittoresco Mussolini l'ha sempre curato e lo cura oggi piu che mai. Cecile Sorel, nei luglio 1931, si esprimcva in Comoedia: « Quale grande artista sarebbe stato? » (1). Ma lo e, Signora. Disgraziata-mente la sua scena e una nazione. Un grande gior-nalista americano, Percy Wirmer, che lo ha ben se-guito ed ancor meglio conosciuto, lo ha definito: un maestro della posa!

« Mussolini posa. E' un maestro della posa davanti a uno, a mille, a un milione di spettatori. La sua ability £ straordi-naria e non gli fa mai difetto. I suoi artifizi sono incsau-ribili...

Egli ha curato con attenzione alcune pose per sostituirle al cipiglio minaccioso, che, ancora due anni or sono, figurava in tutti i suoi ritratti. Nei suo nuovo atteggiamento tiene la testa molto indietro e spinge avanti la sua grossa ma-scclla. Chiude il pugno sinistro, appoggiandolo al fianco c si fcrma a gambe divaricate. Cammina lentamente fa-cendo ondulare i fianchi... Impiega la tecnica in uso nei tcatri di posa per fare impressione sui visitatori: talvolta va loro incontro, cordialmente; talvolta li obbliga a tra-versare per tutta la lunghezza il suo immenso studio e li attende dietro il tavolo, immobile e rigido. Si potrebbe trac-ciare una linea fra il suo tavolo e la porta con le indicazioni della probabile qualita dell'accoglienza, entusiastica vicino alia porta, glaciale dietro il tavolo ».

(1) Non abbiamo potuto controllarc sulla rivista citata dall'au-tore questa affermazione della famosa artista francese. Recente-mente II Corriere della Sera (n. del 14 giugno 1965) nei ricordare il novantesimo complcanno della Sorel, riferiva che un giorno essa disse a Mussolini: « Voi ed io siamo dei grandi attori ».

Che Mussolini rcciti la commcdia, si desume da tutti gli stranieri che l'hanno avvicinato. Henri Beraud, nei Petit Parisien (giugno 1928) ne parla cosi:

« Gli occhi neri e secchi, apcrti fino al bianco nei momenti di collera e di passione, e il passo, al tempo stesso deciso e danzante, e i gesti continui, con una mano che modella, accarezza, si agita, si rivolta nell'aria, si alza, si riposa e riprende a muoversi; i lunghi gesti da spadaccino italiano...®. Arrivando nell'appartamento dove Cesira, la governante, stava preparando il tavolo da te, gett6 via cravatta, guanti, cappello e mi disse:

— Ho l'impressione di aver fatto un ntimero per il pub-blico. Voi questo racconterete. Ma si, ma si... Oh! Sono stato giornalista, sapete! Andiamo, mi son meritato il pre-mio?

Prima ch'io potessi rispondere, scoppio in una grassa ri-sata. Che risata! E' proprio sua. Assolutamente silenziosa, scuotc tutto intero il corpo e si prolunga decrescendo con un ondeggiamento quasi infantile della testa e delle braccia, per fcrmarsi secca su un'alzata di spalle, seguita subito da uno sguardo bruno e scrutatore che vi pianta negli occhi ».

Maurice Bedel, nei suo libro fascista Fascisme An VII (Paris, 1929) dedica un capitolo al sorriso di Mussolini (Maurice Chevalier non ne siete gelo-so?) e assicura che questi « quando riceve... stcnde i suoi lincamenti, disserra i denti, si esprime con la piu dolce voce del mondo in un francese leggermen-tc modulato, canterellato, quasi cinguettato » dopo essergli andato incontro con « 1'andatura leggera un po' danzante, Ic braccia aperte, le spalle dondolan-ti ».

Ed ecco che Bedel ci mostra 1'attore in piena azione. Ha parlato del divieto imposto alia stampa di oc-cuparsi dei fatti passionali, soprattutto dei suicidi romantici:

« Mussolini si anima. Ho toccato un argomento che gli e caro. Con alcuni cenni immaginosi, mi descrive il suicidio come lo praticano gfi amanti delusi. Le sue agili mani cor-rono sul tavolo, sembrano disporre i liori attorno alia di-sperata; vedo le tuberose, le fresie, i lilla bianchi, ne sento i profumi mortali; scorgo il flacone del veronal...»

Tanto basta per convincersi che Mussolini e il Ro-dolfo Valentino della politica.

L'impcratore Augusto, racconta Svetonio, vicino a morte, si fece portare uno specchio, vi si rimird e, aggiustandosi i capelli, domando ai parenti che lo circondavano: « Vi sembra che abbia recitato bene la mia parte? ».

Quando Mussolini morir&, sul suo Ietto di morte, rccitera la sua parte fino all'ultimo soffio. Dira, con il piu profondo sospiro: « Avevo ancora tante cose da fare! ».

Capitolo quarto IL TRIBUNO

Henry Beraud ha ragione di dire: « Mussolini e in-contesAabilmente un grande oratore ». Pochi orato-ri hanno praticato con miglior successo il precetto: Ars est celare artem. Mi ricordo di averlo sentito parlare quando era il leader della frazione rivolu-zionaria del partito socialista (1). Vedo ancora i suoi occhi di visionario, le braccia protese in avanti e scosse da un tremito convulso, le sue frasi mar-tellanti. E penso, con melanconia, all'idolatria di cui godeva fra i « giovani ».

Giovanni Zibordi, socialista riformista, scritfendo su\YAvanti!, a proposito del Congresso socialista di Ancona (aprile 1914) si mostrava avvinto dall'elo-qucnza di Mussolini che aveva trionfato sulla de-stra del partito:

« Benito Mussolini, 1'agitatore degli animi, I'oratore-cata-pulta, diverso da tutti gli altri, perch<5, a differenza di molti (e in certo senso si potrebbe dire di tutti) non parla agli uditori, ma parla con se stesso; ad alta voce. Dice forte — in altri termini — quello che sta pensando: non dice quello che convien dire in quel momento, a quel dato fine... o peggio, non dice quello che non pensa, non afTerma forte quello che nega piano, fra se.

Eppoi, 1'eloquenza sua e tutt'una cosa. starei per dire tutt'un pezzo, col suo aspetto. Non e possibile contraffazione in lui, equivoco in altri. I suoi occhi e la sua bocca dicono le stesse parole. Le mani afferrano e stringono il parapetto della tribuna, in perfetto accordo col suo pensiero. Pare che guardi l'assemblea, ma guarda dentro di se. Si pud discu-

(1) L'a. si riferisce probabilmente al discorso tenuto da Mussolini al XIII congresso del partito socialista, svoltosi nel luglio 1912 a Rcggio Emilia, dove Berneri aveva iniziato, quindicenne, la propria attivita politica nelle file della gioventu socialista (cfr. Camilla Berneri alia sciiola di Prainpolini, in appcndice al presentc volume).

terc quel che dice, ma non si puo dubitare della sincerity. II Congresso, il popolo plaude, sorride, si esalta, con tra-sporto immcdiato, fervido, impctuoso, al suo apparire, al suo discorso.

I superficiali possono credere che cio avvenga perche e ori-ginale, perche quel suo furore e gustoso, perche la sua elo-quenza a scatti, lenta o precipite, tutta lampi di pensiero e folgori di parola, ha anche un lato estetico e divertente, per tutti, indipendentemente da quel che dice.

lo penso che, anche a sua insaputa, il pubblico — la parte piu ingenua e primitiva di pubblico — obbedisca a un sen-so piix profondo: all'impressione, alia intuizione sicura, che sotto quella ferocia di uomo del '93 c't una infinita « bont& » socialista: cioe un dolore acuto dell'universo dolore, una volonta ferma di lotta per la giustizia: la capacity di man-dar sulla ghigliottina il fratello, se stesso, se ci6 e necessa-rio all'Idea!

II popolo, noi tutti, rivoluzionari o no, sentiamo che se Benito Mussolini crcder& a un ccrto momento utile la bar-ricata, sar& ii primo a salirla (G. Zibordi, Attorno al Congresso. Tipi ed episodi in Avanti! del I maggio 1914).

I suoi occhi e le sue mani: ecco cio che ha colpito e affascinato uno dei suoi antagonisti. In una inter-vista di Mussolini allanarchico Armando Borghi si

legge:

« Egli mi squadro con una di quelle levate di palpebre che scoprono tutto il bianco dell'occhio, come a voler abbrac-ciare una fuggente visione lontana, e che danno al suo sguardo e alia sua fisionomia un'aria pensosa di aposto-lo...». (2).

(2) L'intervista di Mussolini apparve nel corpo della corrispon-dcnza di Armando Borghi da Fori! dal titolo La macchia gialla si allarga in Romagna - La scissione proletaria a ForVi - La respon-sabilita del partito repubblicano - Dal nostro inviato speciale, pubblicata su L'Agitatore di Bologna del 9 ottobre 1910. Ripor-tiamo qui di seguito il tcsto completo dell'intervista, che costi-tuisce 1'ultima parte della corrispondenza, dato chc risulta igno-rata d£ tutti i biografi c dagli editori dcU'Opera omnia di Mussolini:

«La ...prowidenza non abbandona alcun mortale: e proprio vero. E il compagno Zanchini fu soccorso a questo punto da una voce che lo salutava da lontano.

Era Benito Mussolini, il direttorc della Lotta di classe, a cui egli imprime tutta la sua vivacita del suo spirito polemico c l'ardi-

In un'intervista pubblicata* sulla rivista Gli oratori del giorno dell'agosto 1928 la poctessa Ada Negri parla del « pallore del viso, gli occhi magnetic!, la

tezza dcllc sue vedute quasi sindacaliste... quasi quasi antiparla-mentari, fino al punto di polemizzare col Gaudenzi con queste parole:

« Con quale faccia tosta ci venite a cantarc che non dovete rim-proverarvi nessuna transazione colla vostra coscicnza, nessuna debolezza di carat t ere voi repubblicano che avete giurato fede al re?

Non avete ripiegato un lembo o tutta la vostra bandiera giuran-do per a)idare al parlamento, fede e lealtci ai Savoia, contro ai quali vorreste combattere? »

Sarcbbe dunque questo il dilemma: in Italia, o monarchici o

antiparJamentari!

Ma torniamo a bomba.

Qualche tua impressione — domandai al Mussolini, che capi subito di che si trattava.

Egli mi squadro con una dl quelle sue levate di palpebre che scoprono tut to il bianco deH'occhio, come a voler abbracciare una fuggente visone lontana, e che danno al suo sguardo e alia sua fisionomia un'aria pensosa di apostolo..,

— E' la fotografia del Ravcnnate, caro Borghi — mi disse — con questo di peggio: che qui vi e maggior pericolo che alia ragione si sostituisca il coltcllo. Qui e'e meno preparazione alio contese civili e vi e un partito rcpubblicano dalle tradizioni piu saldc, almeno nel bigottismo dei suoi seguaci.

— Cosa intendete di fare voi?

— Abbiamo fatto tutto il possibile per evitare la scissione, ma awenuta per opera degli avversari la rottura, siamo disposti a lottare senza pietismi e senza restrizioni.

— Come so no divise le forze?

— Abbiamo 700 coloni noi e circa 2.000 i gialli, che li moltipli-cano per cinque sull'iscrizione, seeondo il metodo gia adottato a Ravenna; di braccianti ne abbiamo 2500 noi e circa un mi-gliaio e mezzo gli altri. Le riostre torze in maggioranza sono ncllalto forlivese, quelle gialle dalla parte che confina col ra-venriate.

— Cc... il Graziadcismo da voi?

— No! da noi il socialismo e un po' piu sublimato che altrovc, e io faccio il possibile perche Talta pressione della mentalita rivoluzionaria si mantenga. Siamo poco parlamentaristi, noi: non e molto che abbiamo rifiutato una conferenza sul sufTragio universale...

— Lo vedo bene; ma poco parlarnentarista e come dire poco sifilitico, caro amico; il resto verra da se, se non intervienc il 6f>6.. delTanarchismo.

La conversazione fini. E io lessi negli occhi grandi di Mussolini una grande virtu di dubbio...

Cirea le circostanze in cui awenne l'intervista cfr. A. Borghi, Mezzo sccolo di anarchia 1898 1945 (Napoli, Edizioni Scicntifiche llaliane, 1956, p.l 11-112).

vocc timbrata » di Mussolini. « Ma soprattutto, ag-giungere bisogna la mano di Mussolini. Egli ha una mano bellissima, medianica, alata quando si pro-tendc: il gcsto c fascinatore. Molte volte io ho sc-guito la mano di Mussolini quando parla e mi e sembrata un faro, il primo faro della sua personality. Nel campo femminile vi e stato qualcosa di simile nelle mani di Eleonora Duse, che magicamen-te gestivano, sparivano e apparivano nell'aria. Ecco, la mano di Mussolini io l'ho qui nclla mente... io la vedo... e essa che potenzia i sutfi successi orato-ri » (3).

La gcsticolazione, gli attcggiamcnti costituiscono gran parte della sua oratoria. Ecco ancora come lo scrittore Ugo Oietti descrive Mussolini oratore:

« Oratore espertissimo, padrone di se, sempre di fronte al pubblico, egli commcnta ogni periodo, ogni battuta, col volto che lc conviene. II gcsto e parco. Spesso egli gestisce solo con la destra, tenendo la mano sinistra in tasca e il braccio sinistro strctto al fianco. Talvolta si pone in tasca tuttc c due lc mani: e il momcnto statuario del riassunto, il finale. Nei rari momcnti in cui questa raccolta figura di oratore si apre e si libera, lc due braccia rotcano altc sulla testa; lc dieci dita si agitano come cercassero nell'aria corde da far vibrare; le parole precipitano a catcratta. Un istante: e Mussolini torna immobile, accigliato, e con due dita si cerca il nodo della cravatta elegante per assicurar-si che non s'e scostato dalla verticale. Questi momenti di gcsticolazione tumultuosa non sono i momenti commoven-ti: sono per lo piu il linale delle dimostrazioni logiche, un modo di rappresentare al pubblico la folia dcgli aleri mille argomenti che egli enumera, accenna, tralascia per brevita, una specie di eccetera mimico eflicacissimo». (Tantalo, Cose viste, in II Corriere della Sera del 18 novembre 1921).

Quando un oratore deve il suo successo all'aspetto fisico, al timbro della voce, al gesto, e gia un attore.

(3) L'intcrvistatorc e Silvestro Sando, un giovane giornalista lascista, suicidatosi pochi giorni dopo l'intervista; pubblicala appunto sotto il titolo L'ultima intervista di Sando. Le poctes-se: Ada Negri.

Ma il grande oratore e veramente altore? Lord Mor-ley ebbe a dire: « Tre cose sono importanti in un discorso: colui che parla, come parla e cio che dice, e quest'ultima cosa e la meno importante delle tre ». Fox affermava addirittura che se un discorso appa-riva molto bello alia lettura, doveva trattarsi di un brutto discorso. Mirabeau e Jaures dimostrano che questo non 6 che un paradosso. Se la grandezza del-I'oratore fosse tutta nei gesti, nella voce, nel giuoco delle sue espressioni, Yars oratoria non sarebbe che una branca dell'arte teatrale.

L'eloquenza di Mussolini e ricca di immagini, e le immagini sono nei discorsi cio che gli aggettivi sono negli scritti. Piu il pensiero e solido e l'espres-sione potente ed immediata, meno aggettivi ed immagini si incontrano nel discorso, che non e altro che prosa parlata. II grande oratore e il Moliere della parola, colui che crea i suoi discorsi e li pro-nuncia con arte, mentre l'oratore comune tesse con bei gesti e belle frasi, c con una sua mimica, un velo ricco di riflessi che pero si ridurra ad uno straccio quando non ci sar& piu il suo tessitore ad agitarlo.

Dell'eloquenza di Mussolini come di quella di Gladstone non restera che un'eco rumorosa. La vera elo-quenza e quella della fonte perenne; quella del tri-buno e una voce che muore appena tace: come quella del cantante.

Mussolini e dunque un grande tribuno. Gustave Le Bon ha detto: « Conoscere I'arte d'impressionare la immaginazione delle folle, significa conoscere I'arte di governare » (4). Cid e vero psicologicamcnte, ma e falso storicamente poiche i grandi tribuni han

(4) Sembra che Mussolini fosse un buon conoscitore degli scritti di Le Bon. In una intervista concessa ai primi del giugno 1926 a La science et la vie di Parigi dichiarava: « Ho letto tutta l'opera di Gustavo Le Bon c non so quante volte abbia riletto la sua Psicologia delle folle. E' un'opera capitale, alia quale ancor oggi spesso ritorno ».

saputo portare le folic all'esaltazionc, condurlc ove essi volevano condurle, ma il potere conquistato con la sola parola e sempre stato un pallone presto sgon-fiatosi sull'abisso.

Nei marzo 1919, Mussolini non aveva alcun pro-gramma da presentare al primo Congresso dei Fa-sci. Arturo Rossato, uno dei suoi luogotencnti in quel tempo, lo dice: « In fondo, nessuno di noi sa-peva cio che bisognava fare ». Ma:'

« Mussolini, con quel suo piglio da Colleoni in arcione ed in elmetto dichiaro che il nuovo partito doveva essere di " combattimento "... Faceva risuonare la parola " combatti-mento " appoggiandoci su la voce ». (Op. cit., pag. 40).

Cosi Mussolini si metteva alia testa del suo piccolo esercito. Ma egli lo conduceva ben presto a rin-negare le proprie origini, il suo programma demo-cratico e pacilista. Lo poneva al soldo della pluto-crazia industriale e agraria. Lo conduceva fino a Roma, per rinnegare cio che restava ancora nella propaganda e nell'azione del liberale, del democra-tico, del pacifista. L'arte di arrivare e dunque l'ar-te di governarc? Se si, Mussolini e un grande ora-tore, un grande uomo politico. Ma allora, bisogna finirla di parlare dcH'cloquenza come di un'arte dc-gna e della politica come di una attivita rispetta-bile.

L'uomo che si vanta di « calpcstarc il cadavere im-putridito della dea liberta », l'uomo che all'atto di insediarsi come Primo Ministro dice ai deputati stupefatti: « Dipcnde da me, Signori, di trasforma-re quest'aula in un bivacco fascista », non ha dato una sola linea personale allc direttive del proprio governo. Non ha fatto durante quasi dieci anni di potere che dei discorsi rimbombanti, al galoppo di sogni grandiosi. Ha inebriato la gioventu d'entusia-smo, senza nutrirla di idee. Ne ha lusingato 1'orgo-glio, senza dirle una parola di chiarezza e di orien-tamcnto: « II fascismo — egli ha detto — e una passione, un dina-mismo, la vita vivente. La gioventu 6 bclla perche ha gli occhi iimpidi in cui si rispecchia il vasto c tumultuoso spettacolo del mondo; e bella perche ha il cuore intrepido che non teme la morte; solo la gioventu -sa morire... In noi e il destino dell'Impero, giovani di tutte le scuole e di tutti i cantieri. Salute a voi, adolescenti che vi alTacciate alia vita con un'anima pura e che illuminerete il mondo ».

Dire simili cose sullo scenario di una piazza ove le pietre parlano di potenza, sotto un cielo in cui vol-teggiano gli aerei, dal balcone ornato di bandiere e di vessilli, dirle con una voce sonora, col volto piu romano possibile, ccco 1'opera principale del Duce. Parole, ancora parole, sempre parole. Dopo aver distrutto migliaia di cooperative e di camcrc del lavoro, parlera cosi agli operai milancsi, il 6 dicernbre 1922:

« Visitando poc'anzi questa bella grande ofticina. io mi sono sentito preso da un profondo senso di commozione; ed ho rivissuto in un attimo i giorni Iontani della mia giovi-nezza. Perche io non scendo da antenati aristocratici e il-lustri; i miei antenati erano contadini che lavoravano la terra, e mio padre era un fabbro che piegava sull'incudine il ferro rovente. Talvolta io, da piccolo, aiutavo mio padre nei suo umile lavoro; ed ora h<3 il compito ben piu aspro e piu duro di piegare lc anime. A vent'anni ho lavorato con le braccia, dico "con le braccia"; ho fatto il manova-le e il muratore, ma cio vi dico non per sollecitare la vo-stra simpatia, ma per dimostrarvi che non sono e non posso essere nemico della gente che lavora. Pero sono ne-mico di coloro che in nome di ideologic false e grotlesche vogliono mortificare gli operai e condurli alia rovina. Voi avrete modo di constatare che piu delle mie parole var-ranno i fatti del mio Governo...». (// Popolo d'ltalia del 17 dicembre 1922).

Gli atti del suo Governo sono stati rivolti a schiac-ciare gli operai e i contadini. Ma Mussolini parla ancora di suo padre fabbro ferraio e posa ancora a ...amico del popolo.

Capitolo ouinto

IL MITO DEL DEMIURGO

Arrivato al potere senza idee chiare, senza una soli-da cultura, con una preparazione politica essenzial-mente giornalistica, Mussolini non era che un per-soiiaggio. Dovette cercare degli autori per recitare la commedia dcll'uomo di Stato. .Fece man bassa su nove portafogli, ma nomino una specie di Consiglio della Corona che fu la Commissione di 18 membri incaricata di stabilire cio che avrcbbe dovuto essere questo Stato fascista, cosa che Mussolini non aveva mai detto, ne pensato. Per il Presidente del Consiglio l'arte di governare era semplicemente un pro-blema di polizia. Riparti gli italiani in tre categorie: « ... Gli indifferenti che restano in casa loro ad at-tendere; coloro che simpatizzano con noi e che pos-sono circolare; e gli italiani che sono nostri nemici e questi non circoleranno ».

Lui, il Duce, non aveva creduto al successo della marcia su Roma. Era restato a Milano, attendendo di vcder finire la parata in una retata generale dei suoi Iuogotenenti. Chiamato a Roma dal re, era stato talmente sorpreso dagli eventi che dovette farsi prestare una camicia bianca per prescntarsi al Qui-rinale.

Arrivato al potere, seppe assumere il suo ruolo ap-parente di deus ex machina. Lascio alia alta buro-crazia civile e miiitare il compito di studiare i pro-blemi e di presentare le soluzioni che gli agenti degli industriali, dei banchieri e degli agrari modificavano a loro piacimento.

Si sa che una schiera di consiglieri lo rifornisce continuamente di progetti, informazioni, chiarimen-ti. Al momcnto utile, Mussolini non ha che da estrar-re da una delle caselle della sua testa il progetto che occorre. La sua universality tecnica non esiste. Egli ha solo una mentalita assimilatrice. Tutti coloro che hanno vissuto al suo fianco sono d'accordo nel dichiarare: « E' l'uomo deH'ultimo consigliere ». Mussolini non fa che prendere su di se la responsabilit^ delle decisioni elaborate dans les coulisses, presentandole come f rut to delle sue lunghe meditazioni e della sua « smisurata volonta », come dice la stampa. Le sue principali occupazioni sono quelle di ricevere i visitatori, di concedere interviste a giornali stranieri, di scrivere articoli, di preparare e di fare discorsi. L'argomento su cui Mussolini non ha timore di ripetersi e quello del suo zelo come « servitore dello Stato ». Nella sua auto-biografia si preoccupa di far rilevare che non va mai a teatro, per poter lavorare alia sera. Che abbia una grande resistenza al lavoro, non ve dubbio, ma egli ha la mania di farsi passare per un lavoratore prodigioso. E ne racconta di grosse! In un discorso del marzo 1929, si e vantato di aver accordato 60.000 udienze e di aver sbrigato 1.887.110 pratiche, dal novembre 1922 al marzo 1929. Si e pensato di fare un calcolo... degonfleur, e si e tro-vato che Mussolini avrebbe dovuto dare in media 26 udienze al giorno e sbrigare quotidianamente 813 pratiche. E' un po' troppo, anche per un individuo che, come si sa, gode delle particolari simpatie del Padre Eterno. Ma puo darsi che la cifra delle udienze sia esatta, poiche il « servitore dello Stato » per-de quattro o cinque ore al giorno per ricevere tutti i poeti orientali, tutti i giornalisti corrotti, tutti i banchieri americani, tutti i fascisti balcanici, tutti gli istitutori australiani, tutti i pittori giapponesi, tutti i boy-scouts del mondo intero ecc. ecc. Se si aggiungono gli articoli, le prefazioni, i trafilctti, i comunicati, le cerimonie, la lettura di Machiavelli, le messe, le lezioni di Padre Tacchi-Venturi, la lettura di centinaia di giornali, le suonate di violino, le cavalcate, le corse in auto, il canottaggio, i voli in

acrco e tutte le alt re innumerevoli attivita del Duce, bisogna concluderc che gli affari di Stato non gli prendono poi tanto tempo.

Un'altra mania di Mussolini e quella di stare sempre bene in salute. Per piu di un anno si e nutrito di biscotti e di latte; un'ulcera duodenale lo inchio-dava frequentemcnte a letto, ma egli ha sempre simulato di crepare di salute. Diffysasi la notizia che. era sofferente, convoc6 a Villa Torlonia i giornalisti ed esegui davanti a loro dei giuochi equestri: « E ora andate a dire che sono malato ». Una gran parte dei suoi sforzi e diretta a sostenere il mito della sua forza instancabile e della sua indi-pendenza creatrice.

XI suo attualismo, nel senso italiano della parola, nasconde 1'impotenza del suo pensicro. Il suo eclet-tismo maschera la sua incapacity di dare linee di tattica e di lavoro al partito e al governo. Egli chia-risce: « La forza del fascismo risiede nel fatto che esso prende da tutti i programmi la parte vitale ». Se fosse vero, il fenomeno fascista presenterebbe una continuity. Vi sarebbe in esso un nucleo coe-rente; invece non ha fatto che vuotarsi via via per riempirsi delle anime piu diverse. Il suo attualismo si & risolto in un opportunismo inconsistente. Mussolini e il Marinetti della politica. Non fa che esal-tare il dinamismo del suo partito, in un volgare e folle pragmatismo.

« Noi suoniamo la lira su tutte le corde: da quella della violcnza a quella della religione, da quella dell'arte a quella della politica. Siamo politici e siamo guerrieri. Facciamo del sindacalismo e facciamo anche delle battaglie nelle piaz-ze e nelle strade. Questo & il fascismo cosl come fu conce-pito e come fu attuato...» (5).

Alia vigilia di prendere il potere, l'uomo di Stato dichiara:

(5) Dal discorso pronunciato a Milano il 4 ottobrc 1922 (11 Popolo d'ltalia dal 5 al 6 ottobre 1922).

« II fascismo e una grande mobilitazione di forze matcriali e morali. Che cosa si propone? Lo diciamo senza falsa mo-destia: governare la nazione. Con quale programma? Col programma neccssario per assicurarc la grandezza morale e materiale del popolo italiano ».

Ma del programma non c'e niente. Cos'e questa gran-dezza morale e materiale di un popolo? Non la de-finiscc. Ed ecco Mussolini che esalta il vuoto dina-mico:

« Noi non crediamo ai programmi dogmatici, a questa specie di rigidi schemi che dovrebbero contenere e mortificare la cangiante, incostante e complessa realty. Ci permettia-mo il lusso di sommare, conciliare, superare in noi queste antitesi in cui restano imprigionati coloro che si fossil iz-zano in un monosillabo di affcrmazionc o di negazione. Ci permettiamo il lusso di essere aristocratici e democratic}, conservatori e progressisti, reazionari c rivoluzionari, lega-litari c illegalisti, secondo le circostanze di tempo, di luo-go e d'ambiente, secondo la storia in cui siamo costretti a vivere e ad agire ».

E' l'impotenza di un pensicro che si esalta nell'at-tualismo senza chiari orizzonti e senza bussola. Nella sua autobiografia, Mussolini dichiara: « Non credo alia pretesa influenza dei libri... Non ho mai legato il mio nome e le mie idee ad una qualsiasi scuola ». Niente di men vero. Tutti i suoi scritti e i suoi discorsi sono li a dimostrare la viva influenza delle sue letture. Nietzsche, Stirner, Marx, Sorel, Herve sono stati il suo nutrimcnto, male assimilato, quando era socialista rivoluzionario. Machiavelli, Hegel, William James sono stati i suoi maestri in seguito. Una prova della sua poverta ideologica e data dai suoi saggi su Klopstock, sulle figure femmi-nili del Guglielmo Tell di Schiller, dalla sua vita di Huss. Nel 1913, nella sua prefazione all'cdizione ita-liana del libro II socialismo rivoluzionario di Albert e Duchesne, tento una sintesi del suo pensiero politico: ne usci una cosa pietosa. Il solo studio di qualche valore che egli abbia dato e stato II Trentino veduto da un socialista. Ha dimostrato sempre di non avere che idee acquisite.

Senza Rocco, senza Federzoni, senza Gentile, senza Rossoni non avrebbe potuto creare « lo Stato integrate ». La Carta del Lavoro non e che un plagio che deforma c altera lo spirito del progetto di Costitu-zione dello Stato libero di Fiume presentato da Ga-brielc D'Annunzio nei 1920 e una imitazione del regime sindacale-statalc dell'URSS. « La rivoluzione del 1922 » che si proclama futurista, fu ricondotta da Mussolini a un imperialismo carico di ricordi della Roma di Augusto, delle vittorie di Scipione e simili vecchi gessi. Paganesimo e cattolicesimo, attaccamento al passato e futurismo, pacifismo e militarismo, sindacalismo e plutocrazia: tutto si mc-scola nella retorica di Mussolini. Egli non e che un genialoide. Il genio e la forza dell'atleta, l'ingegno-sita del genialoide e la forza dell'epilcttico. Il primo e lo splendore, la seconda soltanto il lampo di un breve momento di successo.

Un filosofo italiano, Giovanni Bovio, ha descritto nei suo saggio II genio una figura di « genialoide » che corrispondc troppo bene a quella di Mussolini per non citarlo:

« E' antico quanto la vanita; l'egoarchia gli e congenita, perche non vetle altro che se; il paradosso gli e proprio, perche non puo produrre altro; ma si moltiplica ne' tempi di piu facile concorrenza agli onori e alia fama. Allora rie-sce piu immediatamente funesto nella politica che nelle altre parti della vita. Non e'e altezza di ufficio e di potere a cui non si reputi pari; e non queta se nol tiene. Allora i popoli pagano.

II genio nella direzione dello Stato muta i mezzi e resta saldo nei fine; il genialoide muta mezzi e fine, stimando accidentali tutte le forme di Stato, ed essenziale il suo dominio. Lo si vede quindi andar saltelloni dall'uno all'altro estrcmo, dalla licenza alia violenza, da Voltaire a Gesu, but-tandovi in faccia tutti i paradossi politici, cioe: che la liberta costa ai popoli; che chi non muta si fossilizza; che l'cspansione dello Stato e conquista; che una religione si rialza per decreto di Governo o iniziativa di classe; e via, alia svelta ». (G. Bovio, II getiio. Un capitolo di psicologia, Milano, Treves cd., 1900, pag. 163).

Non e i! profiJo del genialoide Mussolini? Del genialoide, Mussolini ha anche i tratti fisici. Schopenhauer osservava che 1'espressione geniale di una mente consiste nella possibility di scorgerc in ess* una marcata preponderanza alia conoscenza pura. « Al contrario nelle menti comuni l'espressio-ne della volonta e predominante e si vede che la conoscenza non vi opera che sotto l'impulso della volonta ed e determinata sempre da un motivo... ». La fisionomia del Duce e una mescolanza di intelli-genza e di volonta, con marcata preponderanza di quest'ultima. Ugo Oietti (loc. cit.) scriveva a questo proposito:

« Ha due volti in uno: il volto di sopra, dal naso in su; quello di sotto, bocca, mento e mascelle. Non v'e, tra i due, nessun nesso logico; ogni tanto, serrando le mandibole, spin-gendo innanzi il mento, corrugando le ciglia, Mussolini rie-sce a imporre quel nesso ai due suoi mezzi volti, a conci-liarli con uno sforzo di volontk, per un attimo. Gli occhi tondi e vicini, la frontc nuda ed aperta, il naso breve c fre-mente, formano il suo volto mobile e romantico; 1'altro, labbra diritte, mandibole prominenti, mento quadrato, e il suo volto fisso, volontario, diciamo pure classico. Quando alza le sopracciglia, queste arrivano a formargli sul naso un angolo acuto da maschera giapponese. Quando invece le aggrotta, esse si dispongono in una netta linea orizzontale, e gli occhi scompaiono sotto le due arcate buie, e tra quella mezza calvizie e quel mento appare una maschera cupa e ferma che e stata detta addirittura napoleonica. Quale 6 il vero volto di Benito Mussolini? ».

Capitolo sesto

CESARE BORGIA

L'idea, ancora diffusa negli ambienti piu ingcnui dcl-l'opinione pubblica italiana, che Mussolini sia cir-condato da cattivi consiglieri, sarebbe assai comoda per un praticante il classico « delitto di Stato ». Ma il duce l'ha semprc combattuta, perch£ egli vuol ap-parire la vera, unica testa del fascismo. Nel suo di-scorso del 16 febbraio 1923 alia Camera disse: « Non ce niente da discutere in materia di politica interna: quello che accade, accade per mia precisa e diretta volonta dietro miei ordini tassativi, dei quali assu-mo piena e personale responsabilita ». E nel suo discorso del 28 gennaio 1924 al congresso del partito:

« Davanti a questa Assemblea £ altresi necessario sfatare diverse Jeggende attorno alle quali si fantastica, special-mente in provincia...; la favola che consiste nel dipingermi come un buon dittatore che sarebbe tuttavia circondato da cattivi consiglieri, dei quali subirei la misteriosa c nc-fasta influenza. Tutto cio, prima ancora di essere fantastico, 6 idiota. Una ormai lunga esperienza sta a dimostrare che io sono individuo assolutamente refrattario a pressioni di qualsiasi natura. Lc mic decisioni maturano spesso di notte, nella solitudine del mio spirito e nella solitudine della mia vita scarsissimamcnte socievole. Quelli che sarebbero i cattivi consiglieri del buon tiranno sono cinque o sei persone, che vengono da me tutte le mattine, al quotidiano rapporto, per farmi conoscere tutto quanto succede in Italia; dopo di che, se ne vanno. Questo rapporto, salvo casi eccezionali, non dura mai piu di mezz'ora ».

E nella sua autobiografia afferma ancora una volta a proposito dei suoi consiglieri:

« Ho sempre ascoltato col piii grande interesse lc loro parole, i loro suggerimcnti, e talvolta i loro consigli, ma posso affermare questo: ogni volta che si e trattato di prendere una decisione estrema, ho obbedito solo alia voce fcrma della coscienza e della volonta che parlava in me ».

Cesare Rossi disse ai giornalista Carlo Silvestri:

« Questi idioti (intendeva parlare dei capi dell'opposizionc) s'ingannano se essi credono che quando Mussolini prof-ferisce delle minacce, si diletta con frasi retoriche. Se essi sapessero cio che passa talvolta nello spirito di Mussolini, non farcbbero tanto gli spavaldi. Mussolini e assolutamente deciso ad attuare le sue minacce. Se l'opposizione non cessa il sabotaggio, bisognera far aprire il fuoco dalle squadre. Chiunque lo conosce sa che ogni tanto egli ha bisogno di sangue e che non ascolta sempre i consigli di moderazione ».

Mussolini e dunque un tiranno. Ma ama recitare la sua parte. Non e capace di nascondere i suoi odi, le sue passioni. Ogni volta che sta per ordinare o ha ordinato delle rappresaglie, si rileva un crescendo nella sua virulenza scritta o parlata. E' un passio-nale che non ha il controllo di se stesso. Vcdiamo il tiranno da vicino. Angelica Balabanoff racconta (Europe del 15 dicembre 1928) che Mussolini, quando era direttore deW'Avanti! « aveva l'abi-tudine di conservare, con la massima cura, qualsiasi documento, articolo, corrispondenza ecc. suscettibi-Ie di nuocere un giorno o l'altro, a questo o a quello dei nemici che egli contava nei movimento operaio.

— Perche conservare tutte queste carte? — gli do-mandavo spesso.

— Perche? — ripeteva ridendo, con gli occhi che brillavano di una luce morbosa —. Preparo i miei dossiers; un giorno mi serviranno ».

Che maligno! si pensera. Ed ecco che questo mede-simo uorno scrive di suo pugno e non distrugge articoli che incitano alle violenze, dispacci che ordi-nano persecuzioni, ed altri document! compromet-tenti. Uno dei suoi segretari ne ha fatto un dossier! Mussolini, che e stato definito dal senatore Lucchini sulia sua Rivista di Diritto Penale « un interessantis-simo soggetto criminale », possiede dei criminali tutte le sbadataggini nell'arte di nascondere i misfatti. Vi sono antifascisti che presentano Mussolini come un tiranno davanti al quale anche Machiavelli si farebbe il segno della croce. Lasciamo ai Ponson du Terrail dello scandalo il compito di attribuire a Mussolini le piu perfide e piu complicate macchina-zioni. In realta, Mussolini e un criipinale assai mediocre.

Mi limito ad uno dei suoi delitti piu noti: l'assas-sinio di Matteotti di cui Fouche avrebbe detto cid che disse dell'uccisione del duca d'Enghien: « e peg-gio di un crimine, e un errore ». Quando Matteotti pubblico Un anno di dominazione jascista (Roma, 1924) Mussolini divento folic di rab-bia. Lui, il lettore di Machiavelli, stampo sul Popolo d'ltalia (3 maggio 1924) queste aperte minacce:

« Quanto a Matteotti — volgare mistificatore, assai noto come vile c spregcvole ruffiano — sar& bene che stia in guar-dia, perche se gli dovesse capitare di trovarsi, un giorno o l'altro, con la testa rotta (ma veramente rotta), non avrebbe il diritto di lamentarsenc, dopo tantc ignominic scritte e firmate » (6).

Quando Matteotti contesta alia Camera la validifa delle clezioni gcnerali dell'aprile 1924, nel discorso del 30 maggio, Mussolini, lettore di Machiavelli, se la prende col partito fascista chc lascia mano libera all'opposizione e scrive per II Popolo d'ltalia (I giu-gno) un articolo in cui e detto: « L'on. Matteotti ha tenuto un discorso mostruosamente provocatorio che avrebbe meritato qualche cosa di piu tangibile che l'cpiteto di " masnada" lanciato dall'on. Giun-ta ». II 4 giugno, alia Camera, essendosi Mussolini

(6) Sul n. del Popolo d'ltalia indicato dall'autorc non abbiamo trovato il passo qui citato. Probabilmente si tratta di un errore di data chc comunquc non abbiamo potuto rcttificare.

scagliato contro l'amnistia accordata ai disertori nel 1919, Matteotti gli ricorda che anch'egli la ap-provd. II giorno seguente Mussolini s'infuria nuova-mente contro Matteotti. E il 6 giugno, ccco 1'inci-dente che scoppia alia Camera fra Mussolini e la Estrema Sinistra.

Mussolini: In Russia sono dei magnifici maestri. Non ab-biamo che da imitare qucllo che si fa in Russia (Rumori • Applausi - Scambio di apostrofi fra I'estrema destra e la estrema sinistra). Sono dei magnifici maestri, e noi abbiamo il torto di non imitarli in pieno, perche a quest'ora non sareste piu qui, sarestc al bagno penale! (Applausi - Rumor i).

Gcnnari: Ne veniamo, onorevole Mussolini, c siamo pronti a ritornarci per la nostra fede.

Mussolini: Avreste avuto il piombo nella schiena! (Interru■ zioni). Ma ne abbiamo il coraggio e ve lo dimostreremo! (Applausi - Rumori - Commenti prolungati - Scambio di apostrofi) [Atti parlamentari - Camera dei Deputati - Discus-sioni - Tornata del 6 giugno 1924].

II 10 giugno, Matteotti e rapito ed ucciso. Il 12, si scopre, per caso, il rapimento. Mussolini e — come racconta Cesare Rossi — « completamente disorien-tato e terrorizzato ». Mussolini; in quel giorno, dopo aver ricevuto dal suo segretario il passaporto di Matteotti ed aver conosciuto i particolari dell'assassinio, parla alia Camera e dice:

« Credo che la Camera sia ansiosa di averc notizie sulla sorte dcll'on. Matteotti, scomparso improvvisamentc nel pomeriggio di martcdl scorso in circostanze di tempo e di luogo non ancora bene precisate, ma comunque tali da le-gittimarc l'ipotesi di un delitto che, se compiuto, non po-trebbc non suscitare lo sdegno e la commozione del Gover-no e del Parlamento.

Comunico alia Camera che appena gli organi di polizia fu-rono informati della prolungata assenza dell'on. Matteotti, io stesso impartii ordini tassativi per intensificare le ricer-che a Roma, fuori Roma, in altre citt& ed ai passi di fron-tiera. La polizia, nelle sue rapide indagini, si e gi& messa sulle traccie di elementi sospetti e nulla trascurera per fare la luce sull'awenimento, arrestare i colpevoli ed assicu-rarli alia giustizia.

Mi auguro che l'on. Matteotti possa presto ritornare in Par-lamento » (7).

II 13 giugno continua a recitare la commedia, dicen-do ai deputati:

« Se c'e qualcuno in quest'aula che abbia diritto di essere addolorato e, aggiungerei, esasperato, sono io (Vive appro-vazioni. Voci: « Verissimo! Verissimo! »). Solo un mio nemico che da lunghe notti avesse pensato a qualche cosa di diabolico, poteva effettuare questo delitto che oggi ci percuote di orrore e ci strappa grida di indi-gnazione (8).

La legge avr& il suo corso, la polizia consegner& i colpevoli alI'autorit& giudiziaria... Di piu non si pud chiedere al Go-verno.

Se voi mi date l'autorizzazione di un giudizio sommario, il giudizio sommario sar& compiuto (Impressione); ma sino a quando questo non si pu6 chiedere e non si deve chiedere, bisogna mantenere i nervi a posto... Giustizia sark fatta, deve essere fatta, perch&... il delitto b un delitto di antifascismo e di antinazione. Prima di essere orribile, e di una umiliante bestiality. Non si puo esitare, davanti a casi siffatti, a distinguere nettamente quello che e la politica da quello che e crimine (Approvazioni) [Atti parlamentari -Camera dei Deputati • Discussioni. Tornata del 13 giugno 1924].

(7) Riportiamo il testo del discorso da Atti parlamentari • Camera dei Deputati. Discussioni. Tornata del 12 giugno 1924, no-tando tuttavia che dal resoconto ufficiale manca l'ultima frase che abbiamo ripresa dal testo pubblicato in Matteotti (cd altri), Parla I'opposizione. Milano, Umana, 1924, pag. 43.

(8) Cosi il 3 gennaio 1925 colui che aveva ordinato le aggressio-ni contro Amendola e contro i fascisti dissidenti Misuri e Forni, disse alia Camera: « Ma potetc proprio pensare che nel giorno successivo a quello del Santo Natale... io potessi ordinare una aggressione alle 10 del mattino in via Francesco Crispi, a Roma, dopo il mio discorso di Monterotondo, che b stato il discorso piu pacificatore che io abbia pronunciato in due anni di Governo? {Approvazioni) Risparmiatcmi di pensarmi cosl cretino. (Vivis-simi applausi) E avrei ordito con la stessa intelligenza le ag-gressioni minori di Misuri e di Forni? » (Atti parlamentari. Camera dei Deputati. Discussioni. Tornata del 3 gennaio 1925). [Nota dell'autore].

Dopo la scduta, Mussolini chiedc di vcdere la vedo-va di Matteotti (lo riferisce 11 Ciornale d'It alia del 15 giugno 1924) e le dice: « Signora, vorrei restituir-vi vostro marito vivo ». Dopo questa intervista Mussolini riceve Rossi e gli dice:

« Per il momento non e'e da far nientc. Questi ragazzi han fatto troppe stupidaggini. Ci son gia troppi testimoni. Io sono impotente; De Bono non e buono a nientc. C'c troppo cattivo sangue che ribolle. Tutti coloro che sono indiziati debbono aver pazienza per un poeo. Io devo avere le mani libere per lanciare il contrattacco. L'ora della vendetta vcr-ra piu tardi » (9).

L'uomo terrorizzato, che fu salvato dal disastro da Farinacci, seppe scatcnare la controffcnsiva, trovo la forza per recitare la commedia, per gridare il suo orrore per il delitto. Piu tardi alia, Camera, il 3 gen-naio 1925, egli rivendichera la responsabilita di que-sto crimine di cui Gcrarchia, la rivista da lui fonda-ta, doveva dire nei suo numero del gennaio 1926: « II sequestro Matteotti con le sue conseguenze ap-parteneva moralmente, politicamente, storicamente al fascismo. Inutile e stupida e la ricerca dei colpe-voli e degli ignari, al momento del fatto specifi-co » (10).

Mussolini e Cesare Borgia come istrione. Quando deve recitare, ritrova tutte le sue cnergic. In questa risorsa e il segreto della sua personality. Ma questo punto merita di essere ulteriormente approfondko.

(9) La testimonianza c resa dello stesso Rossi in alcuni appunti inediti utilizzati da G. Salvemini per il volume The Fascist Dictatorship in Italy (London, Jonathan Cape, 1928): opera che il Berneri consulto per il suo lavoro. Gli autograft di questi appunti non si sono piu ritrovati (cfr. G. Salvemini, Scritti sul jascismo. Vol. I. A cura di Roberto Vivarelli. Milano, Feltrinelli, 1961, p. 205).

(10) Nota di Alfredo Felici Tutto VAveniino amdentato nella ru-brica Cronache del mese - Politica interna, in Gcrarchia del gennaio 1926, pag. 63.

Capitolo sett i mo

IL SUPERUOMO

Fra i tributi di ammirazione pagati a Mussolini, cc anche quello della sorella di Nietzsche. La cosa mi ha fatto dubitare della sua compirensione del concetto che del superuomo aveva il suo grande e sfor-tunato fratello. E' lui che ha scritto: « Il pathos del gesto non e un segno di grandezza: chi ha bisogno della posa e un cssere falso. Diffidate degli uomini pittoreschi! ».

Mussolini e un uomo forte? Tra le cose che riferi-scono quanti lo hanno conosciuto da vicino, Angelica Balabanoff, che milito al suo fianco per molti anni, racconta nel saggio apparso in Europe gi& da noi citato:

« Fiaccone com'era, Mussolini aveva l'abitudine di lamen-tarsi continuamente dei fastidi che gli causava la sifilide da cui era affctto e 11 trattamento che doveva subirc: cio che 1'obbligava a recarsi tutti i giorni da uno specialista a ora fissa.

II bisogno patologico di attirare I'attenzione sulla sua persona entrava in qualche modo in questa specie di esibizio-nismo: egli pensava che parlando apertaraente al primo venuto di una malattia che in genere si nasconde, si sa-rebbe reso interessante.

Vedendolo cosi depresso e volendo tagliar corto ai suoi piagnistei, gli consigliai di consultare uno dei nostri com-pagni, rinomato medico, alio scopo di stabilire una sicura diagnosi ed una adeguata terapia. Si afTretto a seguire il mio consiglio facendosi accompagnare presso il medico da un amico comune, che era redattore al nostro giornale. In vita mia, non mi sono mai trovata in presenza di un individuo cosi spaventato e lamentoso come colui che en-tro, poco dopo, nell'uflicio di redazione, col viso livido e disfatto, gli occhi piu truci del solito. Senza dir parola, si accascio su una poltrona, nascose la faccia fra le mani e si mise a singhiozzare. Per quanto io fossi abituata alia sua eccessiva impressionability, provavo un sentimento di grande pieta per questo infelice che implorava il mio aiuto: — Tu non sai quel che mi d capitato, mi disse singhioz-zando. II medico mi ha fatto un prclievo di sangue. Mi ha anestetizzato il dito con l'ctcre. L'odore di etere mi perse-guita, 6 nell'aria. Oh, mi raccomando, non lasciarmi solo, ho paura, sono ossessionato da qucll'odore... E, in effetti, passo un'intcra settimana nel terrore di quella impressione. Quando si awicinava 1'ora in cui gli era stata praticata 1'iniezione, una inquietudine s'impadroniva di lui, non poteva piu lavorare, stava per morire, diceva. Per cal-marlo, facevo andare avanti il pendolo di un'ora. « Sono le cinque l'ora & passata, non pensarci piu...» Si calmava su-bito e si rimetteva al iavoro come se niente fosse successo. In seguito ebbi occasione di intrattenermi con due medici che lo avevano curato e questi due compagni, interpellati in epoche diverse, concordarono nel constatare che mai, durante la loro carriera di medici o di dircttori di clinica, avevano incontrato un essere cosi privo di coraggio. « Vedo migliaia di malati all'anno, disse uno di loro, ma una simile mancanza di forza morale e un esempio unico. Piange per un nonnulla ».

Arturo Vella, Giacinto Menotti-Serrati, Francesco Ciccotti e altri ex-amici di Mussolini parlano, anche essi, della paura che gli mettevano le iniezioni. Ep-pure questo stesso uomo che ha paura di una inie-zione, ha dato prove della sua energia nei duelli. Come si spiega? Si spiega col fatto che nei duelli Mussolini ha un pubblico. II dottor Calvini, che lo euro all'ospedale di Ronchi, ove egli si trovava in seguito a ferite riportate per lo scoppio di un lan-ciabombe, racconta:

Era sempre chiuso in se stesso, triste silenzioso, quasi stra-nito. Ma quando veniva portato in sala operatoria, acqui-stava una vivacity, una vitality singolari. Fissava il bisturi con occhio fermo, e quando la lama incideva la carne, rea-giva alio spasmo scrrando le mascelle con una imprecazione a fior di labbra. Ma, subito dopo, guardandoci sorrideva ».

Angelica BalabanofF racconta ancora:

« Avcndo saputo che aftitavamo nella stessa via, Mussolini mi chiedeva tutte le sere (o meglio tuttc le notti, poiche

VAvanti! usciva solo alle quattro del mattino) di aspettarlo e si mostrava molto contrariato quando non lo facevo. « Mi secca restare solo, mi diceva, non si sa mai! ».

— Ma, di che cosa hai paura?

— Di che cosa ho paura? Di me stesso, della mia ombra, di un cane, di un albero, mi rispondeva, scrollando le spallc ».

Quest'uomo sapeva tuttavia stare a capo di agitazio-ni di piazza. Pietro Nenni (Six ans de guerre civile en Italie, cit.) racconta a proposito della lotta con-tro la spedizione militare in Tripolitania:

« Era 1'ottobrc 1910 c 1'episodio stava per trarrc Mussolini dall'oscura vita di provincia. Noi avcvamo organizzato a Forli la resistenza contro la partcnza delle truppc c rivedo ancora la scena dcll'assalto alia stazionc per divellere le rotaie e impedire al treno di partire. Erano circa le tre del pomeriggio. Una enorme folia, ammassata sulla pubblica piazza, ascoltava i nostri discorsi. Poi un grido usci da mille petti: « Alia stazione! ». E la folia si lancio, cantando, verso la stazione ove sostava un treno militare. Improvvisamente la cavalleria ci attacc6, sciabola in aria. Si rispose con i sassi. Si strappavano le tavole di un recinto per battersi. Mi rivedo, riverso a terra, con una larga ferita alia testa, da cui usciva a rivoli il sangue, una ferita alle spalle, e vicino Mussolini, con una frusta in mano, che esortava i nostri a non cedere ».

Questo stesso uomo fu visto dall'agitatore sindaca-lista Alceste De Ambris, con gli occhi sbarrati e pal-lido come un morto, aggrappato ad un lampione, lontano dalla piazza ove si stava scatenando una carica di cavalleria: « Che fai costi? ». « Mi tengo at-taccato, per non darmela a gambe ». Ho interrogato parecchi operai che han visto Mussolini sulle piazze. Mi hanno dato risposte assolu-tamente contrastanti: « Un uomo di coraggio »>. « Un vile ». In realty Mussolini 6 l'uno e l'altro insieme. Quando & preso dalla preoccupazione di mostrarsi coraggioso, riesce ad esserlo; quando non ha un pub-blico che lo guarda, si lascia dominare dalla sua de-bolezza. Quando fu ferito da Violette Gibson, svenne, ma avendo ripreso coscienza, mostro ostentatamcnte la piu grande serenity. Dopo l'attentato Zamboni, redasse lui stesso il comunicato con cui « la sorri-dente calma del Duce » veniva offerta, per radio, alia ammirazione del mondo (vedi II Giornale d'ltalia del 2 novembre 1926).

Accusato di aver dirctto la manifestazione di cui parla Pietro Nenni, Mussolini, durante 1'istruttoria, tento di scaricare la responsabilita sui suoi compa-gni coimputati e sulla folia, e s'irritava contro i suoi avvocati che non riuscivano a farlo « prosciogliere ». A quanti gli facevano sperare in una amnistia, ri-spondeva che l'amnistia e concessa per le condanne molto gravi e i due o tre anni che egli rischiava erano troppo poco per l'amnistia e troppi perche potesse sopportarli; senza contare che non aveva la scap-patoia di farsi eleggere deputato, per la sua eta. Si mostrava con gli intimi atterrito e ripeteva: « Due o tre di galera, porco di...! ».

Quest'uomo stesso, all'udienza, disse ai giudici, per la platca: « La vostra assoluzione o la vostra con-danna non hanno per me alcuna importanza. La pri-gione e in fondo un regime tollerabile. Un proverbio russo dice chc per essere uomo completo bisogna fare quattro anni di ginnasio, due di universita e due di prigione. Chi ha avuto troppo frequenti rela-zioni con la gente, sente, di tanto in tanto, bisogno di solittfdine ».

Margherita Sarfatti, nel suo libro apologetico Dux (Milano, Mondadori, 1926, p. 66) racconta che una sera Mussolini si avviava ad uscire dai giardini pub-blici di Milano con degli amici, quando presso i can-celli una guardia comincio ad agitare le chiavi e a dire: « Si chiudc, signori, si chiude ». Mussolini seat-to rapido, impallidendo. A chi, ridendo, lo voleva trattenere dai correre verso l'uscita ancor libera, si rivolto incollerito, con l'ansia della belva in trap-pola, della belva che teme l'agguato: « No, no, non posso, io non posso sentirmi chiuso! Queste sbarre, questi cancelli; voi non sapete cosa sia, cosa voglia dire la prigione! SofFoco io! Undici volte in carcere: e una sofferenza che non ci si cava di dosso ». Cio non gli impedisce, uscendo di prigione, verso la stes-sa epoca, di dire agli amici che l'attendevano alia uscita: « Proprio ora la Iiberta! Quando in carcere cominciavo a riposarmi e a distendere un po' i ner-vi! ».

La paura degli attentati, la paura della catastrofe che lo condurrebbe davanti ad un plotone di esecu-zione o all'ergastolo, spinge Mussolini alia reazione. Nel suo discorso del 26 maggio 1927 egli scopriva il legame fra la sua paura e le misure eccezionali:

« Ricordate la grande giornata del 31 ottobre a Bologna... Rjcordate il trascurabilc incidente della sera [l'attentato ZamboniJ ... Fu allora che su questo foglio di carta scritto di mio pugno, a lapis, come vedete, dettai le misure che si dovevano prendere: ritiro e revisione di tutti i passaporti per 1'estero: ordine di far fuoco senza preawiso su chiun-que sia sorpreso in procinto di valicare clandcstinamente la frontiera; soppressione di tutte le associazioni, organiz-zazioni e gruppi antifascist o sospetti di antifascismo; deportazione di tutti coloro che siano sospetti di antifascismo, o che esplichino una qualsiasi attivita controrivolu-zionaria...; crea/.ione di una Polizia 'speciale in tutte le re-gioni; creazioni di uflici di Polizia e di investigazione e di un tribunale speciale... Tutti i giornali di opposizione sono stali soppressi; tutti i partiti antifascist sono stati sciolti; si .e creata la Polizia speciale delle regioni che rende gik segnalati servizi; si sono creati gli uftici politic! di investigazione; si e creato il Tribunale speciale, che funziona egre-giamente e non ha dato luogo ad inconvenienti...». (Atti del Parlamento italiano. Camera aci Deputati. Discitssioni. Tor-nata del 26 maggio 1927).

Tutti coloro che hanno conosciuto da vicino Mussolini1 hanno costatato il suo dualismo psichico: sensi-bilita femminile e crudelta, vilta e coraggio, sincerita e simulazione, ecc... Questo dualismo ha una sola spiegazione: Mussolini e un nevrotico, nel quale si possono notare alcune caratteristiche tipichc della intersessualita.

Figlio di una madre che « impersonava la dolcezza » come dice Pietro Nenni, e alia quale egli rassomiglia in modo straordinario per la fisionomia", egli era, da ragazzo, timido, dolce e brutalc ad un tempo. In una sua autobiografia inedita, Mussolini dice: « lo ero un monello irrequieto e manesco. Piu volte tor-navo a casa con la testa rotta da una sassata. Ma sapevo vendicarmi. Ero un audacissimo ladro cam-pestre...». Nel suo diario di guerra: « Venticinque anni fa io ero un bambino puntiglioso e violento. Alcuni dei miei coetanei recano ancora nella testa i scgni delle mie sassate. Nomade d'istinto io me ne andavo dal mattino alia sera, lungo il fiume, e ru-bavo nidi e frutti. Andavo a messa... Nella chiesa c'erano tante luci... Solo l'odore dell'incenso mi pro-curava un turbamento che qualche volta mi dava istanti di malessere insopportabile ». Alia vigilia del ritorno in collegio litiga con un suo compagno: « gli sferrai un pugno, ma invece di col-pir lui, battei nel muro e mi feci male alle nocche delle dita » (M. Sarfatti, op. cit., p. 34). Nel 1898 un colpo di temperino dato, in un accesso di collera, a uno dei suoi compagni, provoca l'espul-sione dal collegio (D. Russo, Mussolini et le fasci-sme. Paris, 1923, Cap. VIII). M. Sarfatti scrive: « Non poteva ammettere che nessuno fosse piu bravo, o lo sorpassasse in alcuna cosa... Per una parola, per uno sguardo, per nulla, nel collegio si abbandonava alia violenza del pugno, e regnava sui condiscepoli con il terrore » (op. cit., pp. 38-39). Ed essa aggiunge che quando Mussolini ricorda qualcuna delle sue liti di fanciullo « ha ancora una piega orgogliosa e cattiva sulle labbra, ancora gusta il rancore dell'offesa e la vendetta » (op. cit., p. 21).

Si fc detto, giustamente, che « il fanciullo e il padre dell'uomo » (11). Noi vediamo in Mussolini ragazzo

(11) Secondo la dcscrizionc del Dr. Henyer (Les troubles du ca-ractere de Venfant in Journal de tnedecine et chirurgie 10-11 questo desiderio di elevarsi, di esaltare il sentimen-to della sua personality, che costituisce, secondo Adler, « la forza motrice e lo scopo finale » della nevrosi, quando questa nasce dalla repressione del sentimento di inferiority. Le esplosioni di collera rabbiosa erano in Mussolini fanciullo uno dei suoi « mezzi di difesa », una compen'sazione, « cioe una ostentazione di certe propriety e attitudini, dcsti-nate 3d ingannare lo stesso soggetto e quelli che lo circondano sulla sua forza reale, a servire di para-vento alia sua debolezza psichica» (Kretschner). Questo espediente spiega anche le sue stravaganze, le sue esagerazioni, dovute alia continua simulazione di una personality fittizia. Si pensa a lui, leggendo ancora le parole di Kretschner: « L'assenza di va« lore proprio e la ricerca di valore proprio (Storch) determinano un gran numero di elementi disadatti, forzati, esasperati e caricaturali di cui si compone il carattere dell'isterico generico e del psicopatico schi-zoide e anestesico: ricerca di una facciata a effetto, quando i materiali psichici per la costruzione di questa facciata difettano; sforzi incessanti, accaniti, talvolta radicali, talvolta quasi tragici, che il soggetto impone a se stesso per mostrarsi diverso da quello che e in realty ».

Mussolini era sfrontato nel nascondere la sua timi-dezza. Cosi, essendosi recato a Bologna per soste-nere l'esame di insegnante di francese, entr6 nella sala d'esami con la sigaretta in bocca. Richiamato all'ordine dagli esaminatori, gett6 via la sigaretta dicendo: « Ah! Dimenticavo di trovarrai in una ac-cademia ». Commetteva atti di questo genere solo

1922) il pensiero del fanciullo paranoico 6 costantemente diretto alia possibility di avere una superiority sul suo ambiente, Egli b capace di uno sforzo immenso per familiarizzarsi con una materia che gli fe intellettualmente del tutto superiore, solo per «stupire» coloro che lo circondano. Egli acquista una eccezionale conoscenza di una branca del sapere e resta igno-rantc in tutti gli altri campi. [Nota delVautore].

per « far colpo ». Cosi imitava, talvolta, lo stile di Paolo Valera, un giornalista boiilcvarclier, imitatore, a sua volta, di Jules Valles, per meravigliare i suoi let tori. Cosi si vestiva sciattamente pensando che un atteggiamento « gorkiano » era il piu indicato per un agitatore rivoluzionario. Quando andd al Congresso socialista di Ancona, parti da Milano con un completo tutto nuovo e ar-rivo con dei pantaloni bucati e un lacero cappello tutto sporco. Poi torno a Milano col suo abito nuovo. Quando giunse a Trento, i suoi compagni, vedendolo mal messo, gli regalarono un vestito che, all'indo-mani, era irriconoscibile e Mussolini si giustifico di-ccndo che non poteva sopportare gli abiti nuovi. Nel Friuli le ragazze lo chiamavano « il tiranno » poiche gli piaceva darsi aric terribili. Numerosi sono coloro che ricordano le sue declamazioni alia luna e le pas-seggiate nei cimiteri di notte, le sue collere piene di terribili minacce e che restavano puramente verbali. Tutto questo dinamismo teatralc celava la sua debo-lezza morale. Egli aveva bisogno — lo ripeto — di parla re della sua forza, di simulare la fermezza e il coraggio, di csaltarsi e di esaltare gli altri per non avvertire le insuflicienze del suo carattere. Tutta la sua vita rivela inclinazioni estreme che ri-piegano su se stcsse. brevi periodi d'euforia seguiti da periodi di melanconia e di abulia. Durante i diffi-cili momenti passati in Svizzera, le sue reazioni sono date da esplosioni verbali. Parlando di un padrone che lo aveva mortifieato, scriveva ad uno dei suoi arnici: « Cosa dovevo fargli? Ucciderlo. Cosa gli feci? Nulla. Perche? Avevo fame ed ero senza scarpe ». E scrivendo a proposito di una giornata di fame: « Oh! se fosse venuto De Dominicis [era uno scrit-tore di pedagogia] a predicarmi la sua morale, con chc gusto I'avrei scannato! ». Vede passare una cop-pia di vecchi inglesi: « La donna tozza e pelata, ri-fulge d'oro e di gemme... Fuggo bestemmiando. Ah! santa idea I'Anarchia del pensiero e dellazione. Non c un diritto di chi giace, morderc chi lo schiaccia? » (M. Sarfatti, op. cit. pp. 59-60). Durante questo periodo critico di cui parla in A1a vie (Cauditle, 1928), presentandosi come un vagabondo sereno, non comniise che un piccolo furto. Tutta la sua esasperazionc si scarico nell'esaltazione giorna-listica dell'espropriazionc individuate. Tomato in Italia il terribile antimilitarista fu un disciplinato bersagliere, al punto che lascio l'eser-cito col grado di sergente. In Ma Vie Mussolini stes-so racconta che solo per un caso non scelse la car-riera mili(are: cio che- appare un po' strano per un insubordinato quale egli era. Quando era direttore dcW'Avvenire del Lavoratore di Trento e segretario della Camera del Lavoro, scriveva ad uno dei suoi amici (26 febbraio 1909):

« Ho messo degli avvisi nci giornali. ofFrendomi quale in-segnantc privato di lingua francesc. Se ricsco a vivere con questo mezzo rinuncio al segretariato subito. Noterai che il mio articolo e aspro. avvelenato, macabro. Ne pubblichero diversi di questi racconti alia Poe. Uno fra breve, dal titolo Un stticida. Li raccoglicro poi in un volu-metto, che potrebbe intitolarsi Novellc perverse... Tu ben comprendi che io non sono ad'atto lieto della mia posizione attualc. Non invecchiero quale stipendiato del partito socialista auslriaco — oh no — quando sapro strim-pellare il violino, girero il mondo piuttosto che vivere agli ordini dei nuovissimi padroni. Scrivo articoli di quinta colonna sul Populo, socialista, ma di proprieta del dott. Battisti e non e improbabile che mi venga oflferta la reda-zione.

Accetterei. Ouanto al mio avvenire non ho piani fissati. Vivo, come sempre, alia giornaia >». (T. Nanni, Bolscevismo e jascismo a! tunic della critica marxista. Benito Mussolini. Bologna, Cappelli, 1924, p. 152).

Questo stesso uomo faceva 1'apostolo nei comizi e si dava l'aria di fanatico devoto al suo partito. Simulazione? Si e no. Cera in lui un bisogno di sfug-gire al vuoto della vita, di immergersi nel bagno caldo della lotta, di sentirsi qualctnio, di poter com-muoversi per le belle idee che aveva respirato nella prima giovinezza. Al fondo del suo odio per i socialist ci fu per molto tempo la repressione di un senti-mento di nostalgia delle sue lotte. Pietro Nenni racconta che Giovanni Amendola, ogni volta che lo incontrava, gli poneva sempre la stessa domanda: « Lei che 1'ha profondamente conosciuto, crede che egli sia portato airistrionismo delle pa-rate, dei pennacchi, delle decorazioni, delle unifor-mi? ». « L'uomo era disgustato — dice Pietro Nenni — egli vedeva nell'istrionismo di Mussolini un ol-traggio alia dignity umana ». II filosofo era disgustato perchfc egli era forte, sano, virile e non poteva comprender questo bisogno di crearsi una persona-lit& da facciata. In effetti Mussolini associa la sua tendenza all'esibizionismo alia volonta di svolgerc il suo ruolo di duce di una « rivoluzione ». La sua vanity e la sua ambizione, che altro non e che la su-blimazione della prima, si incontrano. Questo bisogno di credersi forte e questa volonta di diventarlo sono quasi interamente risolti nell'illusione di essere un grande uomo e nella volonta di mostrarlo al mon-do. L'attore ha ben compreso il suo personaggio. La maschera e divenuta il suo volto. Comincia ad essere sincero. Non ha piu bisogno di serrare i denti. Puo sorridere. Le mascelle volitive si sono formate.

CONCLUSIONE

Quando si arriva alia conclusione di un libro, ci si accorge che bisognerebbe riscriverlo da capo. Nei mio caso reputo poi necessario un altro libro che potrebbe avere per titolo La psicologia del fascismo. Un emigrato antifascista, il professor Carlo Rosselli nei suo Socialisme liberal (Paris, 1930) ha scritto qucsta grande verita:

« II fascismo si radica ncl sottosuolo italiano, esprime i vizi profondi, le debolezzc latcnti, lc miscrie del nostro popolo, del nostro intero popolo.

Non bisogna credere che Mussolini abbia trionfato solo per forza bruta. Se egli ha trionfato it anche perch£ ha saputo toccare sapicntemente certi tasti ai quaii la psicologia media dcgli itaJiani era straordinariamente scnsibile. In una certa misura il fascismo & stato l'autobiografia di una nazione che rinuncia alia lotta politica, che ha il culto della unanimity, che fuggc l'ercsia, che sogna il trionfo del facile, della fiducia, dell'cntusiasmo. Lottare contro il fascismo non significa dunque lottare solo contro una reazione di classe ferocc e cieca, ma anche contro una certa mentality, una sensibility, contro delle tradizioni che sono patrimonio, pur-troppo inconsapevole, di larghe correnti popolari ».

Quando un avventuriero come Mussolini pu6 giun-gere al potere, vuol dire che il paese non h ne sano ne maturo. Bisogna che gli italiani si sbarazzino di Mussolini, ma bisogna anche che si sbarazzino dei difctti chc hanno pcrmesso la vittoria del fascismo. L'ltalia e il classico paesc degli eroi. In un paese nel quale si e formata una coscicnza collettiva, non si hanno ne dittatori ne attentatori. L'eroe che, come Lucetti, come Schirru, si leva, solo, contro il tiran-no, e l'espressione di un bisogno ideale di un paese depresso; e la compensazione psichica di una de-gradazione collettiva. Tutto il Risorgimento e pieno di azioni individuali, di spedizioni folli d'eroismo, ma anche di numerose e prolungate vilta. Noi abbiamo sempre avuto dittatori, demiurghi ministerial!, grandi agitatori e manipolatori di maggio-ranze parlamcntari. Vindividuality e sempre stata la nota dominante della vita pubblica italiana. Avrei voluto illustrare i rapporti fra Mussolini c l'ltalia in modo ampio e circostanziato, ma, ripeto, vi sarebbe in proposito materia per un sccondo libro.

Mi sono limitato a pochi tocchi, ad alcuni tratti per delinearc il profile.) psichico del « duce ». Questo pro-filo e tipico. Pilsudsky, Stalin, Horty, Primo De Rivera, tutti questi dittatori non hanno nicnte in co-mune con Mussolini. II solo tipo politico che. gli si avvicina di piu e Hitler: ma si tratta di rassomiglian-ze superficiali.

Mussolini e « un italiano del XVI secolo, un condot-ticro » aveva detto George Sorel nel gennaio 1912. Non si ingannava, in fondo. Mel 1914, il 26 novembre YAvanli! riconosceva la forza del suo ex-direttore:

« Moi vedremo presto fo