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LUIGI FABBRI

LE DITTATURE

Contro la liberta' dei popoli

IL MARTELLO" PUBLISHING CO., Inc. 77 East lOth St., New York, N. Y.

(Tradotto da! supplemento de "La Protesta"

dl Buenos Aires).

Mentre il tempo passa, e ci allont&ni&mo da quel periodo tragico délia guerra mondiale, ci rendiamo sempre più conto, con un inflnito sentimento di angustia, del gran dt-sastro che essa guerra fu per l'umanità — non solo e non tanto per la gran perdita dl vite umane e per tanta ricchezza distrutta, ma sopratutto per il regresso morale che ha causato, regresso che sembra pieno di mi-nacce per Tavvenire.

La miseria e la crisi economica che agita-no lo spettro délia famé nel tre quarti del mondo non è nulla in confronto alla deva-stazione prodotta nelle coscienze alla con-fusione arrecata aile idee, e all'oscuramento dei migliori sentiment! umani sostituiti dal risorgere di ogni bassa passione, dallo spi-rito di prepotenza, da una parte, e dal servili-smo dairaltra, e sopratutto dalla soppres-sione dei sentiment! di dignità umana e di liberté. Pare'che da quella immensa carnefl-cina si sia levato un sofflo pestilenziale che avesse avvelenato le fonti stesse délia vita dei popoli, per farli retrocedere verso un passato di tenebre e d'abbiezione che sem-brava sparito per sempre per il lavoro pa-ziente e tenace délia civilizzazione degli ul-timi secoli.

Se non sbaglio il veleno délia "servitù" volontariat come la chiamava La Boetie, si è propagato e diffuso anche fra i nemici degli oppressori e sfruttatori del popolo. Cosî come durante la guerra alcune infermità flsi-che e certe deficienze morali si trasmetteva-no da un campo al campo nemico, oggi 1. spirito di prepotenza e di servilismo passa molto facilmente, sia per spirito di imita-zione o per spirito reazionario, dal campo degli oppressori e dei servi al campo degli oppressi e dei ribelli. Oh quanti fascisti in germe esistono nel campô degli antifasciste molti dei quali non ragionano più, e nell'ira che li acceca non pensano, non sognano al-tro che.... la realizzazione di un fascismo a rovescio, di un'altra tirannia che ricambi op-pressicne con oppressioneî Come se la tirannia e l'oppressione, quantunque in un primo momento si presentano come una comprensi-bile necessità, non signiflcassero dopo e sempre la tirannia dei pochi fortunati convertit! da servi in padroni, e la oppressione delle grandi maggioranze umane che cam-biano semplicemente di giuocoî

I cri mini délia tirannide, specialmente dopo la guerra, sono cosî innumerevoli, enor-ml e insopportabili, che qualsiasi cambia-mento o attenuazione sarebbe un alleviamen-to per tutti coloro che la soffrono. Gli or-rori delle attuali tirannie trasformano la so-cietà présente in un inferno perô non ci privano délia speranza dellà liberazione; questa speranza, al contrario, è turbata e minacciata in noialtri per il timoré e la per-petuazione di tali orrori, quantunque lo sia per sentimento opposto allo spirito di rea-zione e dî rappresaglia, allo stesso tempo del trionfo, nell'avvenire di cui speriamo, per il riposo d'una pace fraterna e sopratutto per la libertà.

Non disconosciamo in alcun modo la furia distruttrice e giustiziera délia rivoluzione, che nella sua tempesta purificatrice traerà seco inevitabili errori e dolori; ciô che ci préoccupa è che questa rivoluzione non fac-cia solamente giustizia delle tirannie mate-riali esistenti nell'atto del suo scatenarsi, senza preoccuparsi delle altre cose che po-trebbero essere in germe nel suo seno; op-pur, per spirito di rivincita o di imitazione, o perché questo sembrerebbe più facile ed utile, essa stessa crei la tirannia di domani. La quale tirannia al principio sarebbe par-ticolarmente violente e feroce contro gli spo-destati dominatori perô dopo flnirebbe ine-luttabilmente per essere cosî lo stesso anche per il popolo tutto che reclamasse la giustizia sociale di cui essa tirannia sarebbe la negazione.

Questo timoré in noi dipende dal fatto che il sentimento di libertà è oggi molto debol-mente sentito fra la masfia degli oppressi, e non mancano quelli che sperano ad una li-berazione dalla présente tirannia attraverso una nuova dittatura.

L'illusione delle dittature provvidenziali, che gli esperimenti delle rivcluzioni dei seco-lo scorso fecero svanire, ha risorto grazie alla pressione formidabile di quella mostruo-sa creatura délia tirannide che è la guerra. E la deviazione bolscevica délia rivoluzione russa contribuî enormemente a rafforzarla con l'influenza corruttrice che esercita ogni esito materiale sulle intelligenze superficiali ed incolte, quantunque taie esito implica la prova délia sua sierilità, dei suo carattere deleterio.

E se non sbaglio è tanto évidente che la dittatura, anche se non adottata dai nemici dichiarati dei popolo, non solo non è un ri-medio per alleviare i mali sociali di cui desideriamo liberarci, ma è un accrescimen-to, una vera esasperazione dei maie contro cui dobbiamo ribellarci! Tutta la storia pas-sata e anche quella che si svolge sotto i rio-stri occhi, come ogni fenomeno sociale dove entrano in conflitto i principii di libertà e di autorità, ci dà la dimostrazione più évidente ....

* * *

La politica, intesa nel senso classico dei-l'"arte di governare", ha sempre considerato la dittatura come un mezzo eccezionale a-dottato dallo Stato in caso di estrema urgen-za — guerra con l'estero, guerra civile, di-sastri straordinari naturali, economici, ecc. — sopra tutto nel proposito di non lasciarsi sfuggire il potere dalle mani, di non cederlo a uomini esteri o interni, di poter trattare 9 maltrattare i sudditi a suo capriccio, senza controllo nè vincoli legali, per non avere a temere imbarazzi nella propria attività di governo.

Il carattere essenziale délia dittatura è l'accentramento di tutti i poteri — politico, militare, civile, amministrativo — in mano di un solo individuo o di un piccolo gruppo al cui arbitrio vien lasciata completamente la direzione e la gestione délia cosa pubbli-ca. La dittatura è molto più del governo a§-soluto; ed è molto di verso, perché è di carattere prevalentemente militare e si esplica con la irresponsabilité propria del militari-smo. Naturalmente, questi caratteri délia dittatura sono più o raeno accentuati, secondo i punti di vista, tempi e circostanze, e anche secondo gli uomini che la esercitano; perô non cessano per questo di essere suoi caratteri essenziali.

Questo eccesso di potere dei governi ditta-toriali determina un carattere subordinato di provvisorietà, non perché ogni dittatura non intende, naturalmente — come succédé con qualsiasi specie di autorité — perpetuare 11 suo potere, ma per ragione di altro genere. Anzitutto un potere eccessivo e senza con-trollo si mina le basi esso stesto, è più su-bordinato aile qualità positive o negative degl'individui che l'incarnano, è molto più soggetto a cadere in errori irreparabili che lo condanna a qualche disastro. In secondo luogo, un potere dittatoriale, nelle mani dl uno o di pochi individu!, è soggetto, coll'an-dare dei tempo, a crearsi molti nemici anche nelle classi e nella casta dominante che

10 stesso hanno nello Stato il proprio baluar-do dl difesa contro gli assalti delle classi in-feriori délia società.

Vi sono interessi di classe o di casta che mal si conciliano con il dominio assoluto di uno solo o di pochi, che hanno necessità proprie come mezzi di guerra in periodi ec-cezionali e transitori. A questo si deve, nella storia — che non è. soltanto una storia di lotta di classe —, la lotta tanto frequente in seno delle classi dominant!, fra una casta e l'altra, fra l'una e l'&ltra categoria. V! sono interessi economici, politici e anche morali delle classi superiori e plutocratiche che possono essere ostacolati dal gruppo che ha

11 potere nelle mani; di qui la necessità per queste classi e caste di far fronte — e questo è l'interesse supremo comune dei doml-natori délia vita sociale, che nel momento critico si sentono tutti unit! —, alla pressio-ne e alla insurrezione sempre latente, sotto, delle classi domlnate e sfrutvate. Per6 quan-do queste sono ben domate, gli interessi po-litici, eonomici e morali contro il potere ec-cessivo sentono la necessità dl difendersi anche contro il potere ecceasivo e arbitra-rio, invasore, antieconomico ed imbarazzan-te dello Stato centralizzato e personale.

In questo consiste gran parte la ragione d'essere délia democrazia statale borghese, la quale non nega lo Stato, ma vuole il potere diviso in più larga scala. Questa democrazia è sorta, e doveva sorgere, al principio che l'industria e il commercio cominciô a svilupparsi, verso il 1200, ad aumentare il numéro dei privilegiati dei potere che costi-tuiscono l'aristocrazia. Questa aristocrazia a sua volta aveva lottato in un passato più remoto contro il potere reale o imperiale per entrare a far parte con esso nel suo privile-gio di dominio. Che nella lotta contro il po* tere reale e aristocratico la borghesia nel 1789 approfittô, per sfruttare, dei malconten-to e dello spirito di rivolta suscitato dalla miseria nella plebe; e che la plebe non approfittô asua volta per reclamare un posto migliore nella vita sociale per elevarsi a di-gnità di popolo, questo era inevitabile. Perô l'insurrezione delle classi borghesi, a parte qualche eccezione individuale, fu una lotta per conquistare il potere più che una lotta per la libertà.

E tanto è vero che le classi ricche, incluse le più democratiche, nel loro programma di governo, sempre che si son visti minacciati nel potere e nella ricchezza da una possibile insurrezione espropriatrice, subito corsero a rinserrarsi nel fotilizio dello Stato, e non disdegnarono di ricorrere, nel momento ec-cezionale, alla creazione di una maggiore op-pressione per tutti, che è la dittatura.

Passato il pericolo, rinasçe nelle classi ric-che più numerose la necessità di liberarsi dei capi eccessivi deirassolutismo, e risorge anche il desiderio — un desiderio naturale fatto di interessi economici, necessità spiritual!, impulsi deirambizione personale, ecc. — di godere al massimo grado del privilegio e del potere, e di liberarsi dai grattacapi il più possibile. Di liberarsi (intendiamoci) come classi dominanti — i milionari non de-vono pagare imposte, fare il soldato, star sottomessi a certe leggi, ecc. —, non per libe-rare le classi sottomesse. Al contrario, nel loro linguaggio la parola libertà acquista sempre più il significato di sfruttare ed op-primere senza limiti il proletariato; e cosï non si tratta di libertà, ma di arbitrarietà, violenza e prepotenza.

Il teorico di questa specie di libertà, Herbert Spencer, il gran teorico deU'individuali-smo borghese, fu cosl aspro ed acuto nella sua critica allo Stato, che alcune sue pagine potrebbero essere sottoscritte dagli anarchi-ci. Pura apparenza!... Si trattava di una falsa libertà, d'una libertà di classe, d'un an-tistatismo comodo, nel senso che potrebbero essere antistatali anche i ladri e gli assas-sini di strada, che non ha nulla a che vedere con la libertà per tutti e in tutto, con l'anti-statismo per la liberazione da ogni dominio e sfruttamento, che sarebbe l'essenza dell'a-narchismo.

E lo stesso Spencer, poi, rettiflcô in senso reazionario le sue critiche allo Stato, giusti-ficando nei suoi ultimi anni la reazione sta-taie contro i lavoratori, il cui movimento di emancipazione lo scandalizzava più che i crimini dello Stato tante volte denunziati da lui nel passato. Egli rappresentava, con le alternative dei suoi pensieri di filosofo e so-ciologo, borghese, le alternative stesse délia classe capitalista fra l'assolutismo e il libe-ralismo; che a volte non sono altra cosa, in mano di questa, che sistemi divers! da po-tersi preferire o no secondo la necessità e le circostanze dello stesso obbiettlvo di do-minazione e sfruttamento.

Le fasi storiche di queste alternative sono quelle che ci fanno considerare che ogni dittatura è instabile e transitoria e lo è mag-giormente quanto più se rigida, assoluta e intollerabile. Se non erro, questo non deve creare illusion!; poichè queste parole, instable, e transitoria, sono intese sempre in modo relativo. La storia non si conta a set-timane o a mesi, e anche ciô che è prowito-rio potrebbe durare sempre eccessivamente, per il nostro imperioso desiderio di liberazione e in relazione con la brevità délia nostra vita individuale.

Quando una parte delle classi dominant! sente la necessità di liberarsi dei lacci ditta-toriali, nello sforzo per romperli, se non puô conseguirli da sola, si serve dei concorso delle classi povere e dominate; sempre perô con la condizionc, confessata o sottintesa, che queste restino al loro posto, vale a dire nella situazione di sudditi sottomessi e di sfruttati. Altrimenti, noî Quanti sotterfugi, allora, quante preoccupazioni, quante insidie, e anche quante tradizioni per servirsi délia forza delle classi povere, perô anche per im-pedire che possano prevalere... e conquista-re un giorno i propri diritti. Basterebbe ri-cordare, nella rivoluzione italiana dei 1821 al 1870, la resiôtenza fraudolenta e l'obliqua lotta dei partiti moderati e conservatori contro il partito rivoluzionario d'azione, per il quale si temeva un'eccesso di future pretese dei popolo minuto, come si chiamava allora il proletariato.

Oggi abbiamo di nuovo l'altro piatto délia bilancia che sale. La borghesia statale e ca-pitalista di molti paesi europei ha tenuto» conto dei proletariato; e anche quella che in realtà non ne tenne conto pensô che non aveva altro mezzo per persuadere il proletariato a sopportare esso, e esso solo, col suo sudore e il suo sangue, col suo lavoro e la sua miseria, gli enormi sacriflci délia guerra, che costringerlo — come in Italia, in Unghe-ria, in Rumania, in Bulgaria, ecc. — con la forza e riflutandogli ogni libertà, anche quel-la di respirare; che sottometterlo, sottomet-tendo anche gran parte dl se medesima, alla più violenta delle dittature.

Ove questo non fu necessario, vale a dire nei paesi che conservono ancora un rgeime più o meno liberale o democratico, la dittatura funziona lo stesso, veraraente: o gli o-perai si sottomettono volontariamente ad un super sfruttamento, o alla disoccupazione, o alla miseria, o lo saranno, in altra parola, sottomesso con la forza; le poche altre libertà politiche anodine, di stampa, di asso-ciazione, di riunione, ecc., le saran tolte; e si lascerà la via libéra, con lo stimolo e aiu-ti in denaro e armi, aile minoranze fasciste che il capitalisrao ha sempre pronti in ogni parte per lanciarli in caso di necessità come cani arrabbiati e famelici aile calcagna del proletariato.

Non si puô oggi negare 11 completo esit© délia reazione dittatoriale e fascista in mol-ti paesi, — certuni vi includono, non senza ragione, la Russia, ove se non sbaglio la dittatura ha un carattere diverso, di cui ci occu-peremo a parte —, e in alcuni casi taie esito giunge a superare, non sempre gradatamen-te, le stesse aspettative di coloro che l'ave-vano richiesto. La vipera, si sa, qualche vol ta morde il ciarlatano.

Perô quest'esito non solo ha ubbriacato 1 veri e propri vincitori; ma ha fatto rialzar la cresta ai capitalisti dei paesi ancora non fascistizzati, i quali oggi si domandano: "E 89 îacessimo aîtrettanto? Se la dittatura è un mezzo per vincere, perché non adottarlo anche noi?" Non mi riferisco qui solamente al fascismo tipico, con le sue immoralità; parlo délia dittatura in generale, come siste-ma di governo; perciô dunque, è la dittatura, o puô essere, un mezzo atto ed efficace per vincere una lotta, una battaglia, una ri-voluzione libératrice ed emancipatrice? Questo è il problema!

Taluni dicono: il fine giustifica I mezzlî Non è questo il momento di discutere dal çunto di vista morale questo immorale afori-smo. Perô è falso lo stesso dal punto di vista materiale, di utilità e di opportunità. Non v'è mezzo cattivo atto a conseguire un buon fine. Se i mezzi cattivi possono servire per ottenere un cattivo fine, per un buon fine si richiedono mezzi buoni. Quelli che adottano mezzi cattivi e dicono che desideranu ottenere un buon fine si ingannano o ci mgannano.

Guardate, per esempio, la chiesa cattolica. Nessuno puô negare che al principio il cri-stianesimo era informato d'una morale su-periore umanitaria, e che il suo obbiettivo era in gran parte nobilissimo. Certamente 1 suoi principi vivono tuttora, perô la chiesa, per ingordigia di potere e di ricchezza dei suoi membri o per la degenerazione delle sue istituzioni, quantunque protestando sempre la bontà dei fine, appena si converti in reli-gione di Stato, cominciô ad impiegare come nezzi la superstizione, la menzogna, la fro-de, la violenza, la tirannia. Nel secolo XVI è sorto, ad iniziativa di uno dei suoi santi, la famosa Compagnia di Gesù, che non ha disdegnato di gridare apertamente, come consegna ai fedeli, che il fine giustifica I mezzi. La conseguenza fu che, dopo diciotto secoli, la chiesa non solo non ha ottenuto il fine liberatore di Cristo, ma al contrario, è giunta a realizzazioni sempre più opposte, di schiavitù, di demoralizzazione, di oppressio-ne e di morte.

Bisogna dire dunque, non che il fine giustifica i mezzi, ma che per ogni fine bisogna adottare mezzi propri. Non si puô, perciô, impiegare mezzi tirannici per un fine di libertà; come per un fine di tirannia i mezzi di libertà non potrebbero servire ad altro che illudere i tondi.

Anche il fascismo al principio parlava di libertà (e alcuni imbecilli lo credettero, i cos! detti fasclttl délia prima ora); ma i mezzi di libertà che impiegava, come la stampa, le riunioni, l'associazione, i con-gressi, eccetera, da soli non avrebbero ser-viti a nulla. Non poche volte, anzi, l'uso di tali mezzi gli fu d'ostacolo. Ciô che sopratutto gli servi fu la violenza contro ogni libertà, la conquista del potere e intanto l'uso e l'a-buso délia suprema autorità ottenuta. S'ac-corse subito, andando al potere, che la libertà più sentita ed elementare che al principio non si curô di sopprimere, costituiva invece un'arma formidabile in mano dei suoi awersari, gli amici délia libertà. Cosî fini per sopprimere completaraente anche le sue ultime vestigia.

* * *

Se si legge attentamente la storia délia lotta délia libertà contro la tirannia, non è difficile scoprire, nel circolo degli avveni-menti, la ripetizione costante di questo fat-to: che Tumanità raggiunse nuove conquiste soltanto quando per ottenerle impiegô mezzi di libertà. Quando, invece, anche i più ar-denti e sinceri fautori délia libertà, impie-garono mezezi tirannici, raggiunsero, contro ogni desiderio ed aspettativa, i più insperati fini di tirannia.

Indubbiamente, come abbiamo già visto, la dittatura — questo mezzo di tirannia per ec-cellenza — puô, in periodo di crisi o di pe* ricolo, servire aile classi e caste privilegiate e dominanti per difendere e rafforzare il privilegio e il dominio minacciati dalla in-surrezione delle classi sottomesse e sfrut-tate. Perô questo è necessario quando il suo fine è quello di opprimere il popolo. Non srevirebbe invece, anzi sarebbe dannoso, se si volesse far servire a beneficio delle classi sfruttate con lo scopo di conquistare la loro emancipazione.

Se non sbaglio, le classi oppresse, qualche volta si lasciano prendere daU'illusione che il potere concentrato in poche mani puô ri-■olvere il problema dei suo benessere e Ii« bertà meglio che un potere divieo fra un numéro maggiore di persone. E oggi appunto questa illusione, è risorta più fortemente a causa délia guerra, per l'esempio corrut-tore dell'autorità militarista, lo spirito di prepotenza e di servilismo da essa svilup-pato, eccetera, mentre con le rivoluzioni del secolo XIX era alquanto svanita. Perô il germe era rimasto, grazie alla secolare edu-cazione autoritaria. Se si risale il corso délia storia, si potrebbe vedere che l'idea délia dittatura è più popolare che aristocratica, nel senso che ha ingannato le masse delle classi inferiori più di quanto non abbia at-tratto le classi e le caste del nobili e dei ricchi.

Questi ultimi, l'abbiamo già detto, ha ri-corso e ricorrono senza scrupoli alla dittatura, quando vi è necessità di essa per di-fendere il loro privilegio di dominio e di ricchezza; perô in fondo non sono molto en-tusiasti délia dittatura, almeno una gran parte, e forse diffldano un pô di essa, certo per il timoré di una formazione d'una nuova classe intorno ad essa che tende a spogliarli dei loro benefici. Il popolo, invece, sempre sfruttato ed oppresso anche in regime più democratico e che "non ha nulla da perdere fuorchè le proprie catene", è portato più facilmente a sperare che un "buon tiran-noM possa mettere a posto le cose, vale a dire un amico o rappresentante suo, inve-stito dell'autorità suprema, possa servirai délia dittatura per detronizzare le classi dominant! a vantaggio delle classi oppresse.

E* un'illusione mille volte dimostrata fal-sa, perché il dittatore popolare, anche se prende sul serio la sua missione e non volta la bandiera alleandosi ai vecchi privilégiât!, prima che arriva ad espropriarli sul serio è costretto per la natura stessa dei suo potere a creare nuovi privilegiati attorno a se, più affamati e prepotenti degli antichi. E il po-polo se ne accorgerà tardi che ha cambiato semplicemente di padrone. Ma, ahimèî la lezione viene presto dimenticata; dopo una generazione o due si ritorna a sperimentare lo stesso errore.

Dai lontani tempi délia Roma di Bruto e dei Coriolano, la storia ci parla dei popolo che, per porre un freno alla caparbietà dei patrizi, voile affidare il governo con poteri dittatoriali a dieci cittadini — i decemviri — incaricati di far leggi equanimi per la repubblica. Perô la leggenda narra cne fu necessario l'atto di disperazione di Virgilio, che per sottrarre la figlia aile maie voglie dei capo dei dittatori, la pugnalô in piena tribuna, chiamando il popolo alla rivolta per porre fine ad un potere che diventava sempre più tirannico e minacciava di durare più dei limite stabilito. Tanto è vero che ogni dittatura è provvisoria non per volontà propria, ma solo in quanto i sudditi sono costretti dalla sua prepotenza a ribellarsi contro di essa per porre fine alla sua esistenza.

Per gli altrî, tutta la storia di Roma nel periodo del trapasso délia repubblica all'im-pero, è la storia di un popolo che si fab-brica sempre nuove catene levando al trionfo i dittatori militari democratici dai quali spera la fine dell'oppressione pluto-cratica; e non ottiene altro che una tirannia più spaventevole e obbrobriosa contro la quale non trova altro rimedio che rifugiarsi nell'ozio e nella apatia pagate con panem et circense. Da Mario a'Giulio Cesare, a Ce-sare Augusto, a Nerone, a traverso gli espe-rimenti dittatoriali del triumvirato, malgrado il lampo del pugnale di Bruto e di qualche aspirazione soffocata nel sangue, non c'è per il popolo romano che la continua ricerca e la speranza del dittatore, del "buon tiranno". Le stupide rane di quel pantano di corrutte-< la ch'era diventata la Roma imperiale, ave-vano chiesto a Jupiter il re democratico che le difendesse dalle grinfie del patriziato e délia plutocrazia; e si videro un giorno alla mercè délia serpe vorace che per secoli a veva dissanguate le une e le altre, vittime di quelle mostruose faccie umane che si chiamarono Tiberio, Nerone, Domiziano, Cornado, eccetera, colla coorte sanguinaria ed insaziabile dei pretoriani requisiti nella feccia délia Suburra e fra i barbari di oltre frontiera.

La storia posteriore non è meno eloquente. I secoli del medio evo sono pieni di questo illusion! e disillusloni dei popoli che cerca* no la salvazione in nuove tirannie e che non si hanno altra cosa che le oppression! più feroci, spogliazioni, tradizioni e guerre, ove la libertà ha sempre risorta per mezzo dei-l'oscura quanto tenace opposizione popolare dal sangue in cui periodicamente veniva sof-focata. Le repubbliche contadine e i comuni liberi che verso il 1000 costituivano un auro-ra tanto promettente di libertà, caddero an-ch'esse per mezzo delle dittature locali, sempre di origine popolare, a cui si affida-vano; e nacquero da esse le Signorie delit-tuose e feroci degli Ezzellino, dei Visconti, dei Medici, dei Bentivoglio, dei Borgia, ecce-tera. La stessa formazione dei grandi statl europei nel secolo XVI si deve in gran parte alla fede che i popoli riponevano, ciechi, ai re e agli imperatori che ottenevano il loro appoggio per sottomettere i feudali, annet-tersi 1 piccoli Stati e distruggere le autonomie locali. E quei popoli raccolsero il frutto con le guerre interminabili, la miseria e la famé più spaventevole che la storia ricordi.

Anche se le dittature conservarono carat-tere popolare e plebeo; anche se sorsero so-pratutto ed esclusivamente dalla forza insur-rezionale dei poveri e dei miseri — come con Cola di Rienzi, Michele di Lando, Masaniello, e qualche altro, — e non difettavano d'una certa importanza simpaticamente rivoluzio-naria, finirono per degenerare e suscitare il disgusto dei popolo che le aveva create, le risa e le burla del potenti, e la morte per coloro che le avevano incarnate.

Le grandi rivoluzioni di popoli che squo-terono l'Europa e rinnovarono il mondo dalla fine del XVIII secolo alla metà del XIX, sen-za dubbio apportarono un gran cambiamento neirinteresse délia libertà. I popoli comin-ciarono ad oprare più seriamente, e non con un semplice e passeggero impulso di un mo-mento, per «e medesimo. Era già molto; e si deve a questo ciô che in quelle rivoluzioni furono cambiamenti profondi, i cui frutti, malgrado le rivincite delle reazioni, non sono del tutto andati dispersi. Ebbene, se si analizza la storia di queste rivoluzioni, si vedrà che anche in esse il lato debole, la ragione délia loro decadenza e fine, fu pre-cisamente perché incorsero nell'errore ma-dornale di cercare il proprio trionfo attra-verso il potere di quei pochi che andavan su, invece di cercarlo a basso nelle masse po-polari.

Ho trattato già questo argomento in Dittatura e Rivoluzione, nel capitolo Insegna-mentl delle rivoluzioni precedentl, e non vorrei ripetermi quî. Non nego in alcun modo il valore enorme di quelle rivoluzioni, né metto in dubbio la bontà delle intenzioni e nemmeno la sincerità rivoluzionaria di tanti suoi condottieri, suoi eroi, suoi martiri. Eesi ebbero il merito indimenticabile di aver sa-puto interpretare l'anima délia moltitudine, di aver intuita Fopportunità e la necessità dell'azione, d'aver organizzata e orientata quest'azione contro i punti più vulnerabili delle forze nemiche, d'aver spiegato un'ener-gia ed uno spirito di sacrifîcio senza con-fronti. Perô, dopo aver visti 11 popolo all'o-pera, e come la libertà délia rivoluzione ele-vava questo popolo e faceva l'opéra sua sempre più creatrlce, in un certo punto caddero nell'errore di spaventarsi, quasi, dei risul-tati délia sua audacia; d'avere, in una pa-rola, paura délia libertà. Credettero in un certo momento frenare la libertà, e siccome questa non si lasciava frenare tanto facil-mente ricorsero al vecchio sistema dei vec-chi tiranni, al pugno di ferro délia dittatura.

E allora, senza volerlo, ponevano fine alla rivoluzione e, con apparenza sempre rivolu-zionaria, iniziavano la reazione. I più sinceri e sfortunati di essi pagarono i propri errori col patibolo; perô quei errori, con tutte le conseguenze appressô più prontamente la controrivoluzione. La quale non annullava, è vero, tutti i frutti e le conquiste délia rivoluzione, perô recideva sempre più i suoi flori più belli e impediva, in ogni modo, che fruttiflcassero quella uguaglianza sociale, dl cui l'aspirazione è la risorsa di ogni rivoluzione.

Cosl la dittatura di Cromwell nel 1833-38 preparô il materlale per la ristaurazione mo-narchica di Carlo II; la dittatura di Robespierre nel 1793 aprï il cammino alla reazione termidoriana, al Direttorio, a Bonaparte;

i pieni poteri del governo provvisorlo fran-cese del 1848 furono la prefazione del pieni poteri di Cavaignac con le stranezze di Giu-gno e del potere assoluto del secondo Bonaparte, con i massacri di Dicembre del 1851. E, sotto forma diversa e in diversa maniera, •i puô dire che tutte le altre rivoluzioni eu-ropee del 1848, compresa quella italiana, e anche le rivolte successive d'Italia, cosî pure la Comune parigina nel 1871, eccetera, furono la dimostrazione sperimentale che il potere è la tomba délia rivoluzione, e quan-to più forte e centralizzato esso è, più forte sarà la caduta e più insopportabile il suo peso.

* * *

Tutto questo l'avevano compreso bene i più intelligent! e i più appassionati rivolu-zionari del secolo XIX, specialmente dal 1848 al 1880. Non solo i scrittori anarchici, il che si comprende, ma anche quelli del socialismo autoritario incluso Marx, e qual-cheduno dei politici rivoluzionari semplice» mente repubblicani e democratici, come Cat-taneo e Ferrari in Italia, Pi e Margall in Spagna, e altri, esaltarono per un certo pe-riodo di tempo i principii di autonomia e vedevano la salvazione délia rivoluzione specialmente nell'iniziativa popolare in con-trasto con l'accentualismo statale.

Blanqui e Mazzini, malgrado renorme sti-ma di cui godevano da parte del proletariato.

per la loro valentia e per il loro spirito di sacrificio, come anche per la loro costanza rivoluzionaria e per il grande amore per il popolo e per tutti gli sfruttati, e anche per il loro ingegno superiore, negli ultimi anni délia loro vita videro come si disertava dalla loro causa e sopra tutto dalla tattica do-vuta alla concezione ostinatamente autorita-ri délia rivoluzione.

Furono molto più ascoltati in Europa Proudhon e Bakunin, i quali avevano estrat-to con maggiore e più ampia chiarezza, dal-lo "studio delle rivoluzioni precedenti e dalle osservazioni personali dei fatti svoltisi sotto loro occhi, l'insegnamento e la conclusione délia concezione libertaria delle rivoluzioni.

Perô questa concezione, che nel secondo periodo di vita délia Prima Internazionale e-ra giunta a raccogliere l'adesione délia mag-gioranza delle sezioni europee, e che attorno al 1880 pareva dovesse essere la guida e lo spirito informatore délia prossima rivoluzione sociale, non continué a mantenere il pri-mato che aveva conquistato per un istante nel proletariato militante e fra la maggio-ranza dei rivoluzionari ; e questo restô pa-trimonio esclusivo degli anarchici di cui forma la base fondamentale délia dottrina e dei movimento.

Troppo lungo sarebbe investigare le ra-gioni storiche, psicologiche e politiche di questa decadenza, di questa regressione. Le tendenze autoritarie dei partito socialista te-desco, un riflesso anche délia preponderanza politica ed economica délia Germania dopo il 1870, tendenze che fecero proprie Marx ed Engels, esercitarono l'abituale influenza per-niciosa dell'esito materiale e numerico. Inol-tre, i testimoni delle passate rivoluzioni an-davano scomparendo e l'Internazionale a ten-denza libertaria poco dopo il 1880 cessô de-finitivamente d'esistere. La tendenza al ml-nor sforzo faceva accettare ai socialisti e a gran parte délia classe lavoratrice la tattica elettorale e legalitaria. Nasceva la seconda Internazionale l'era délia "conqulsta dei pub-plici poteri". L'idea stessa délia rivoluzione, tndipendentemente dal suo orientamento, era stata messa da parte, non perô dagli anar-chici e una piccola minoranza di socialisti.

Come naufragô miseramente la seconda Internazionale allo scoppiar délia guerra nel '14 è risaputo. E quando, a guerra finita, la gran maggioranza del proletariato e dei socialisti riconobbe che solo una rivoluzione violenta avrebbe potuto liberarcl dalla tirannia borghese, la trentenne educazione le-galitaria e autoritaria, la flssazione délia conquista del potere diede il suo risultato logico: si ricercô l'idea délia rivoluzione che era stata abbandonata nel 1880, perô si a-dattô la concezione autoritaria, giacobina e blanquista delle sette socialiste tedesche e francese del 1848. Le esperienze e gli studi di trent'anni, in seno all'Internazionale dal 1880 furono completamente rinnegati, mi-sconosciuti, ignorati. Si ritornava al cornu-nismo dittatoriale dei 1847! Un vero re-gresso nelle idee e, intanto, nei fatti----

I fatti, poi, come spesso succédé, furono più logici delle idee che l'avevano preceduti, e le idee stesse si precisarono per mezzo di essi. Al posto di reagire di fronte a certe con-seguenze nefaste dei fatti, l'accettarono e si accomodarono ad esse. Alludo all'orienta-mento dittatoriale che, per l'impulso energi-co dei bolscevichi, acquistô nel 1918 la rivoluzione russa. Effettivamente la eccessi-va importanza data alla conquista dei potere, errore accreditato dal marxismo social-democratico, portô i bolscevichi alla realiz-zazione deiraccentramento statale più auto-ritario, e per tanto alla dittatura politica e militare, — in parte anche economica, ma nel terreno economico fallirono completa-mente —, e la dittatura li spinse ad eccessi tanto tirannici contro i rivoluzionari e i la-voratori dissident!, che certamente non ave-vano immaginato nè approvato quando, prima délia guerra, i leninisti parlavano di dittatura dei proletariato nel senso più figurato che letterale délia parola dittatura.

Perô i bolscevichi, poco dopo conquistato il potere si trovarono prigionieri dei loro Btesso sistema, spinti dalla logica dei fatti aile ultime conseguenze, col concorso di av-venimenti non cari ad essi, come la guerra, rinvasione dei territorio, le bande reazicma-rie, la cris! economica, il blocco délia famé degli altri Stati, eccetera. La loro mentalità autoritaria e esclusivista, lontano dal susci-tare in essi alcuna preoccupazione per le libertà popolari e proletarie soffocate per le conseguenze délia politica dittatoriale, li por-tarono ad accettare come buone tali conseguenze a teorizzarle, a vedere in esse il cammino che conduce al comunismo. Cosï, mentre in realtà la realizzazione del comunismo si allqntanava come un sogno che svanisce, la libertà del proletariato russo era definitivamente sacrificata.

Una volta ancora la dittatura, quantunque sorta da una delle più grandi e gloriose rivoluzioni délia storia dei popoli, castrô vio-lentemente la rivoluzione pretendendo sal-varla, la deturpô, recise i fiori e i frutti mi-gliori di emancipazione e di uguaglianza sociale, e, cieca, creô essa stessa quella rea-zione e quella controrivoluzione a cui a-vrebbe dovuto sbarrare il passo.

D'altronde nè poteva essere altrimenti se è nella natura stessa dello Stato se è la sua funzione principale opprimere, li'mitare e uc-cider'e la libertà, mentre che per difenderla è assolutamente impotente Come sperare ri-sultati di liberazione e di emancipazione, quî, proprio dalla forma più centralizzata, più autoritaria, più dispotica dello Stato, che è la dittatura?

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Perô lo non sono per nulla d'accordo con i politicanti délia democrazia e dei liberalismo borghese, i quali per attrarre l'acqua al pro-prio mulino fanno d'ogni erba un fascio, met-tono assieme fascismo e bolscevismo e so-stengono che si tratta d'un medesimo feno-meno con nomi diversi.

E* bene precisare, innanzi tutto, che la borghesia liberale e democratica non ha nes-sun diritto da rimproverare al bolscevismo come non ha ragione di scandalizzarsi dei-l'apparizione dei fascismo. E' sua la colpa se il proletariato, una parte almeno, ha perso fiducia dei nome augusto délia libertà che per tanto tempo fu profanato dai partit! delle classi dominanti e sfruttatrici. D'altra parte, è precisamente dalle degenerazioni e pu-trefazioni inevitabili dei regime statale e ca-pitalista che nell'ultimo secolo si chiamô 11* berale e democratico, costituzionale e parlai mentario, da ove è sorto, come un effetto logico di sua causa, il fascismo. Per gli al* tri, da tanto tempo, esaurito già il ciclo delle rivoluzioni politiche e nazionali, il liberalismo e la democrazia non eran più che una sudicia mascheratura délia stessa dittatura: la dittatura plutocratica, degli speculatori bancari — la quale non ha fatto, col fascismo, altro che togliersi la maschera.

Dico questo con tutto il rispetto dovuto a quei democratici e liberali che oggi si illu-dono di combattere efflcacemente il fascismo e la reazione in nome di un passato, già su-perato per sempre, e torno a ripetere che la

dittatura bolscevica in Russia ha un carattere essenzialmente diverso di quello délia controrivoluzione monarchica e capitalista in tutto il resto d'Europa. Questo a parte delle nostre ragioni polemiche contro il bolscevi-smo, che rimangono intatte; ed è tanto me* glio una obbiettiva constatazione di fatto, la fissazione di una verità storica in atto, che sarebbe erroneo, ingiusto e pregiudicante la causa délia libertà voler discriminare o ne-gare per spirito di partito.

Non c'è meglio, che possa indurci ad er-rore quando ci troviamo di fronte a feno-meni vasti e complssi, di identità o somi-glianze episodiche e superflciali di fatti u-guali, ma di origine e natura diverse, delle stesse parole impiegate con un significato lontano ed opposto, eccetera. Resta il fatto che la dittatura è un potere centralizzato e assoluto, e come taie non puô manifestarsi altro che con gli stessi sistemi di coerci- ^ zione e di violenza: e qui sta veramente la somiglianza materiale di tutte le dittature, tanto quelle di origine reazionaria come quelle di origine rivoluzionaria — e questo è il fatto che ci fa dire che ogni dittatura è controrivoluzionaria, perché tutte, qualun-que sia l'origine, hanno come conseguenza la controrivoluzione.

Supponiamo una cosa: che nel 1917, quando scoppiô in febbraio la rivoluzione russa, avessimo potuto prevedere il suo sbocco dit-tatoriale, la sua deviazione statale e borghe-se al medesimo tempo. Non ci saremmo ral-legrati meno per questo forse, anche perché è nella natura umanâ sperare sempre al bene, ed avremmo lo stesso salutato la ri-oluzione come un fatto grandioso di progres-so umano e sociale. Invece, tutti gli altri colpi di mano statali che infestarono l'Euro-pa come una piaga di guerra — non par-liamo délia loro meschina proporzlone e délia bassezza morale, — ci hanno riempito l'anima di angustia e di orrore dal primo istan-te, perché, sopra tutto, abbiamo visto in essi un regresso sociale.

La dittatura bolscevica è in effetto una reazione se la compariamo alla rivoluzione da cui è scaturita, non in comparazione col zarismo. Comunque, non potrà mai riportare la situazione indietro allo stesso punto ove nacque la rivoluzione. Invece, tutte le dittature di origine capitalista, furono soltanto un regresso verso il passato ch'era già stato sorpassato e sepolto da quasi un secolo. Deploriamo la dittatura bolscevica dal punto di vista dei progressi che, senza essa a-vrebbe potuto realizzare la rivoluzione "nel senso anticapitalista e antiborghese; men-tre ciô che ci turba nelle dittature capitaliste è che queste annullano anche le con-quiste proletarie e di libertà che i popoli a-vevano raggiunte nel seno stesso dei regime borghese.

Il regime politico bolscevico è certamente una cosa più piccola délia rivoluzione da cui è nato; perô precisamente per questo, vo-glia o non voglia, è costretto a muoversi nei limiti di un fatto già realizzato. La rivolu-zione ha posto in movimento e dato impulso a milioni di uomini; ed è una disgrazia che la dittatura bolscevica ha potuto frenare taie movimento e sviarlo in senso autoritario. Perô non è possibile pensare che essa stessa non sia tenuta a freno a sua vece, e non in-contri alcun ostacolo aile sue tendenze auto-ritarie in un movimento più grande di essa. L'agitazione delle opposizioni nel suo seno è un'indizio di questo, un'indizio che porta nel paese altre opposizioni più vaste. I regimi dittatoriali borghesi (il fascismo, per esem-pio) son più meschini del bolscevismo russo; perô sono molto più padroni délia situazione, non cozzano contro un movimento più am-pio, e sebbene la reazione capitalista da cui nacquero è più moderata di essi, gli uni e l'altra sono nella stessa vltt antiproletaria e antilibertaria, e per questo essi hanno meno seccature nel proprio seno.

Noialtri naturalmente, confldiamo che il popolo russo riesca a liberarsi daU'oppres* sione délia dittatura e ricominci la sua mar-cia rivoluzionaria verso la libertà e il co-munismo; e siamo certi che gli anarchici russi faranno tutto il possibile acciocchè questo avvenga, e noi siamo e saremo solida-li con essi contro i loro persecutori. Ma noi saluteremo lo stesso con gioia una rivoluzione italiana contro la dittatura fascista, e sia-mo convmti che gli anarchici vi partecipe-rebbero, da qualunque parte venisse l'inizia-tiva, anche se prendesse una piega bolscevica; e questo non solamente perché confidia-mo nel concorso e nell'azïone degli anarchici per frenare le tendenze autoritarie, ma anche perché la rivoluzione per se stessa sa-rebbe sempre un progresso di libertà, mal-grado tutti i possibili sviamenti e degene-razioni.

La reazione termidoriana, per quanto fu infâme, non ha a che vedere con la reazione sanfedista italiana di dopo il 1815: la prima resta sempre da questa parte délia presa délia Bastiglia, la seconda si riallaccia al 1789. La reazione bolscevica non ha retrocesso più in là dei 1914; la reazione fascista invece ha ritornato al 1848 — e più in là.... La differenza è enorme.

Questa differenza appare anche maggior-mente se si considerano altre circostanze di fatto, prima di tutte quelle già dette e che non care nemmeno, ai bolscevichi, han daté l'impulso a questi nei primi tempi più di quanto essi immaginavano per la via dell'as-solutismo: la guerra, le invasioni, la famé, eccetera. Aggiungiamo a questo il fattore et-nico, di una enorme popolazione ancora ar-retrata, abituata alla servitù di molti secoli, e che forse in gran parte molto inclinata a servire.

I politicanti délia democrazia e del libéralisme) fanno il giuoco per confondere nel medesimo anatema gli orrori délia rivoluzione e gli orrori délia reazione. Per quanto possano essere orribili le conseguenze délia prima e quelle délia seconda, i rivoluzionari non devono prestarsi a taie giuoco, — come accade qualche volta, sia per l'ardore délia polemica, sia per l'ira che suscita in noi le notizie delle violenze liberticide che ci vengono dalla Russia.

Questa serenità di giudizio, per difficile che sia negli uomini che vivono nella lotta e non guardano le cose da lontano nel tempo e nello spazio è necessario sopratutto per due ragioni — a parte la ragione suprema di giustizia distributiva: la prima di carattere politico-sociale, la seconda di craattere psi-cologico.

Politicamente è necessario evitare di essere, sia pure incoscientemente, nella polemica e nella lotta contro il bolscevismo, gli alleati délia cosî detta democrazia e dei libéral! borghesi; il che da un lato diminuirebbe le ragioni antibolsceviche dell'anarchismo — e questo è évidente, — e dall'altro potrebbe far pensare che noi anarchici accarezziamo l'idea di un ritorno ai regimi democratici e liberali borghesi, laddove questi furono ab-battuti dai regimi assoluti e dittatoriali. No! Per forte che sia in noi il desiderio di uscirB da una situazione soffocante e intollerabile, e per quanto sia grande il dovere di parteci-pare all'azione che tenti a questo, se fossimo per un semplice ritorno al passato, slgnifl-cherebbe per noi una seconda disfatta. I nostri sforzi devono intanto tendere al senso opposto non per ristabilire il passato, ma per riprendere l'impulso verso un'avvenire di maggior libefrtà e di magglor giustizia.

D'altra parte, psicologicamente, accredita-re l'errore dei democratici e dei liberali, cioè che la dittatura bolscevica e quella fascinta s' equivalgono, porterebbe alla demoraliz-zante conclusione che la rivoluzione russa sia stata inutile o anche nociva; e il timoré che una rivoluzione possa avere un'indirizzo dittatoriale potrebbe essere un buon prete-sto per sconsigliare la rivoluzione negli altri paesi, per astensrsi di partes i par vi. per non desiderarla o per desiderarla con meno ar-dore. E? questo si ridurrebbe ail una propa-ganda ed una manovra praticamente contro-rivoluzionaria.

Invece la rivoluzione va desiderata col massimo ardore, preparata con maggior fede, alutata e partecipare in essa con tutta la energia, sempre e in ogni caso. Questo è l'u-nico modo di contribuire al che trionfl e ren-da il più che possibile secondo le nostre idee libertarie.

Da tutto questo non bisogna arguire che la polemica nostra contro la concezione auto-ritaria e dittatoriale délia rivoluzione perda nna sola delle sue ragioni di essere; nè che In Russia gli anarchici hanno alcun motivo

per attenuare la loro opposlzione al regime; nè che in tutti gli altri paesi cessi il dovere degli anarchici di opporsi ai metodi autori-tari, accentratori, egemonici ed esclusivisti adoperati nel movimento operaio e nella lotta scoiale in genere dai seguacl del bolsce-vismo. E' necessario al contrario, continuare tutto questo, e anche prepararsi, con l'orga-nizzazione e col perfezionare sempre più il nostro programma pratico di rivoluzione, da opporsi (in una prossima rivoluzione) coi fatti al metodo dittatoriale; ad ostacolare la formazione e consolidazione di istituzioni autoritari e tiranniche che sono i veri ucci-sori e becchini délia rivoluzione.

Perd questa polemica, questa opposizione, questa lotta devono condursi in un fronte diverso da quello dei liberali e democratici borghesi, di modo che sia al medesimo tempo possibile la lotta contro auesti e m maniera che non comprometta, nell'ardore délia lotta contro il bolscevismo, la causa stessa délia rivoluzione. E non tutti i mezzi sono buoni ed accettabili, ma soltanto quelli che restano nel terreno libertario rivoluzionario e proletario e che contano solo sulle forze anticapitaliste e antistatalî. Se si esamina-no in effetti gli argomenti che impiegano contro il bolscevismo tutti i suoi avversari borghesi, dai più reazionari ai più democratici risultano sempre falsi o deboll. Soltanto la polemica anarchlca è efficace, perché parte esclusivamente dal punto di vista dell'in-

teresse dei proletariato e délia libertà umana.

E, non insisteremo mai abbastanza, dal nostro punto di vista le dottrine e i metodi dei comunismo autoritario e dittatoriale sono erronei e costituiscono un pericolo gravissi-mo per l'avvenire dei proletariato e per la libertà dei popoli. Il fare il processo aile idee è inutile; dato che, anche ammettendo buone tali idee, le conseguenze sono cattive lo stesso.

Su quello che successe in Russia si possono concedere tutte le atténuant! possibili e im-maginabili, e che ho già accennato più so-pra; perô questo fa risaltare maggiormente che la concezione dittatoriale délia rivoluzione è erronea dalla base, giacchè ha dato cosl cattivi risultati malgrado la rettitudine, il disinteresse, lo spirito di sacriflcio e gli sfor-zi erculei di tanti dei suoi apostoli e militant!. Anche tenendo conto delle circostanze eccezionali, difflcili e tragiche in cui si e-splicô la sua opéra, la mentalità autoritaria che l'ha guidata dal principio il suo esclu-sivismo settarlo e il suo spirito accentratore han pesato non poco sugli avvenimenti e con-tribuirono a sviare la rivoluzione verso la peggiore degenerazione statale.

In ogni modo non crediamo che sia troppo tardi per il popolo russo di iniziare il cam-mino verso la vera emancipazione dalla schiavitù dei salariato (compreso il salariato statale) e verso la vera libertà. Perô se si vuol sostenere che in Russia le cose andaro-no cosl perché non poterono andare diversa-mente dato l'inesperienza del proletariato russo, oggi che l'esperimento si è iniziato, non deve perdersi per il proletariato internazionale e per i rivoluzionari di tutto il mondo. Il grande esperimento russo non deve permettere che le nuove rivoluzioni che la stessa reazione capitalista va preparando in tutti i paesi, cadano ancora una volta nel-l'errore secolare di affidarsi ad altre ditta-ture per preparare cos! al mondo futuro nuove tirannie.

Ne abbiarao bastante di tutte le dittature, e abbasso tutte le tirannie! Venga finalmen-te la rivoluzione délia libertà — che liberi i popoli da tutte le servitù padronali e statali, da tutte le dittature plutocratiche e autocra-tiche, senza crearne altre di nessuna specie nè nutrirle comunque travestite, — e ci apra il cammino, finalmente, alla realizzazione pa-cifica d'una società fraterna fondata, non già sulla violenza, ma nel mutuo accordo volon tario; il cammino alla meta radiosa dell'a narchia.