^'r^AckiSM- "

ÀV VERTE NZA

Gia noll'ahlmo numéro di uStudi Sociali" rh*«a (n. 5 del 31 raaggio 1946) 6*annunciava la poggibile trasformaRione di queata pubblicazionc, ormai solo teoricamente periodica, in una «erie di opufrcoli destinati a compicre la »tc*sa funzione dolla ririMa, ma ton un carattere piu organieo. Fxrco qui U primo opuscolo dc)l* eerie. S© lo potremo di-ffondere in forma normale e non ci man-chcrâ l'appoggio dei lettori, usrcirâ ben presto il *econdo (probabil mente uno studio di IVettlau su Savcrio Mcrlino). SareJ>be no-slra intenzione alteniare i lavori dodicati aire*aro« di problemi attuali, comc il présenté, oon ahri di carattere storico, came quello soprû anmmciato di Nettlao, o variamente calturale. Citraxno, fra i pros*»mi opmcoli* uno «il problenia religioso, dcU'autrice di que*to che apre la *erie. Altri terni che vorremîmo Mudiare siste-matiramcnte In que 6 ta coilezione sono lfa#petto costruUivo délia rivoluzione apagnola e, «u nno gcenario pin vasto, i #ncecseivi sviluppi de! régime capitalisa da una parte e del totalitarisvno pteudo-comurasTa dalTaltra: aoria contemporanea innomma. Gii opuscoli aaranno mandati a tatti coloro che rioevevano la rivkta e Tamminisirazione si continuera a conduire con il aolito metodo. Per ritalia ri prega di dirigera i pagamenti —corne per Tnltisno DOTf.ro di •^StiBdi Sociali* —aU'atOministrazione di "Volonta* di Napoli (Casolla postale 348 — Conto corrente postale 6/19972 — Napoli). Per tutti gli altri paeai aH'indirizzo di Luce Fabferi ~ Casilla de Correo 1» — Montevideo (Uruguay),

La reAuwme di 44Studi Sodalï*.

Qt X \\-<VTO

CHIARIME NTO

Dopo estere stata molto di moda per molti anni, la 44Rivoluzionè" sem bra ora lontana ed il suo mito s>é annebbiato agli occhi délie moltitudini, almeno di quelle che guardano o credono di guardare a sinistra. E9 cosa piuttosto dd passato, che deirawenire; ê cosù che dorme sotto simboli e bandiere. E3 un ricordo che non bitogna ritvegliare ora, 44perché non & il momentoQuesto é il momento délia bomba atomica; é ta pausa fra due guerre. Bisogna rifare le forze stremate e star buoni. E chi ricordi lo &tam-burare vuoto, cosi rivoluzionario, del dopoguerra anterioref é tentato di pensare che, in fondo, non c'é mente da rimpiangere e che, dopo tutto, quel che si perde in e.ntusia*mo, si guadagna in sincérité ed in serieta. Ma é un'illusione.

Malgrado la stanchezza degli uomini e il traviurmento conlinuo di fatti e d'idée in mezzo a cui essi devono orient or si corne possono, viviamo, obiet-tivamente, wi'esperienza rivoluzionaria. I nodi sono arrivait cl peltine, anche se nessuno ê preparato per ecioglierli <o tagliarli, e non c9é nessuna Vrganiz* zazione di Nazioni Unité, che possa farli tornare indietro. Vna nuova guerra non eviterebbe —corne alcuni criminosamente s per an o— una crisi che é gia in atto, ma la renderebbe solo piû difficile e sanguinosa e ucciderebbe le forze di liberté che possono superaria ne/ senso d'un maggior benessere per tutti basato sulla piû ampia autonomia délia persona. Nella rivoluzione che si sta sviluppando, il capitaliemo privâto e lo Stato democraiico vecchio stile sono condannati. La vera loua é fra il socialisme liber o e il capitali* amo di Stato dictatoriale; ona guerra, qualunque ne si a il risultato, favori* rebbe enormemente la seconda soluzione, che implica un ritorno alla schia• vitû cm tutti gli orrori délia miliUxritzazione♦ Infatti, non solo queuta soluzione esiste gia, in atto o in polenta, nei paesi delTuno t delTahro blocco che si stan delineando, ma, di per se stesso, un conflitto armato fra

diversi Slati conduce olVassolutismo♦ che oggi non puo essere se non tota• litario. Gié la guerra appena fini tu, malgrado la sconfitta nazifascista e Ve~ popea partigiana, ci ha fatti fare dei tragici passi su questa strada.

Per salvarci dobhiamo veder chiaro. Non solo dobbiamo acquistar co* scienza délia trasformazione che si sta compiendo nel mondo e in cui, volenti o nolenti, tutti siamo attori (a illustrare questa trasformazione s'é dedicato molto spazio in uSludi Sociali" rivista, e dedicheremo qualche opu-scolo di questa coilezione)9 ma dobbiamo anche capire e for capire ai nostri simili quanto disperatamente necessario sia salvare, nel la crisi, la liberté delVuoniof e quanto questa sua libertd sia inseparabile dal suo pane.

E appunto al problème teorico délia liberté nei momenti di crisi délia storia ed al problema pratico délia sopravvivenza délia liberté nella crisi at• tuale, é dedicato il présente volumetto.

I

CONCETTO DI RIVOLUZlONE

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Prima di parlare dei fatli, bisogna definire le parole. Non é pedanteria: é una necessitâ che si présenta come esigenza impe-riosa ogni volta che i valori comunemente accettati in una deter-minata epoca entrano in crisi e lo sviluppo degli awenimenti mette in luce le contraddizioni latenti, gli aspetti' occulti, le conseguenzc impreviste delle idee e dei programmi d'azione che scmbravano iineari e aemplici in sede teorica. E allora s'impone la rettifica dei vocabolario adoperato, per impedire che l'impre-cisione dei linguaggio generi, nel campo dei fatti, dei malintesi ■pericolosi, cosi gravi a volte da trascinare i popoli, sotto la ban-' diera di parole trite ed ambiguë, verso realtâ complctamcnte opposte agli ideali che quelle parole originariamente rappresen-tavano.

Attraverso i movimenti emancipatori de! secolo XIX, si chiarf minuziosamcntc nei fatti il senso delle espressioni "liberalismo", "nazione" ed affini. Solo poco fa, fra le due guerre, altre parole, ugualmente dinamiche, hanno aperte le ïoro viscere ed han mo-strato il loro contenuto reale e quello potenziale; "capitalismo", "individualismo", "social ismo", "stato", "rivoluzione" han dimo-strato d'essere concetti molto piu complessi di quanto si sarebbe potuto credere nel placido decennio con cui ha avuto inizio que-sto secolo. Pero in questo momento il problema viene straordi-nariamente aggravato dall'uso insidiosamentc abusivo che fa di queste parole la propaganda di governi e partiti. Il malinteso s'é trasformato in una potente arma politica. La menzogna é stata sempre uno strumento di dominio e d'attrazione. Caratte-ristica évidente dei tempo nostro é l'uso, in misura mai vista prima, di quello specialissimo tipo di menzogna che consiste nel falsare il voeabolario, sia attribuendo aile parole significati ch'cssc non hanno, sia tacendo i sensi molteplici e spesso divergent!, che la storia in atto, con il suo potere creatore e chia-rificatore, ha fatto sempre sorgere in moite di loro', imponendo all'osservatore cosciente il dovere elementare di distinguerli e definirli.

La parola la cui definizione é piu urgente in questo mo-mento é: rivoluzione. Non é possibile che il grido che infiamma le moltitudini disercdate continui a trascinarle verso i fini piu opposti; non é possibile che. per esempio, nello stesso momento storico e dentro le stesse frontière, abbiano lo stesso nome il colpo di Slato di Franco e le espropriazioni e collcttivizzazioni dei contadini dell'Aragona.

Rivoluzione é, sopratutto, una trasformazione profonda délia société, e non, come a volte, per comodita, si finge di crcdcrc, un brusco cambiamcnto di govemo. Orbene, che cos'é la societâ? Che cos'é il govemo? Quali sono le loro relazioni reciproche e qual'é la funzione che disiinpegnano rispettivamente nella storia? Domande grandi, a cui biaogna dar qui una risposta sobria, che ci ppssa servire di punto di partenza.

Societâ é Torganizzazionc che si son dati gli uomini, chie-dendo all'unione un aumento delle loro deboli forze nella lotta per Tesistenza in mezzo ad una natura ostile. Aiutandosi l'un l'altro vinsero in parte la paura e si fece loro piu facile com-battere contro la famé. Ancora oggi la famiglia ci présenta il tipo di ques/a spontanea organizzazione primaria. Lo studio del-Torigine dell'autoritâ in seno aile comunitâ primitive trascende i limiti di questo lavoro e s'identifica collo studio delForigine e deile derivazioni dei sentimento rcligioso, con quello delle lotte per il possesso délia terra e, sopratutto, con quello délia dege-nerazione, individuale e collettiva, di quella volonté di potenza che ogni essere vivo porta con se nascendo e che, nelPuomo, ha cessato d'essere una semplice iuanifestazione dell'istinto vitale, per acquistare le piu svariate tonalité politiche, economiche, religiose, filosofiche.

L'autorité nasce dalla forza o dalla sufcgestione irrazionale; a volte da tutte e due insieme. Circostanzialmente puô avere la sua origine nel prestigio personale d'individui cccezionalmente dotati; pero quest'ultimo fenomeno é transitorio. A misura che la suggestione irrazionale perde terreno, il potere cerca una légitimité nel campo délia ragione e si vede obbligato a far concessioni, sopratutto se.la nécessité di evitare conflitti violenti consiglia un equilibrio fra le diverse forze. L'autorité si atténua o si accentua nei diversi periodi storici; pero il suo problema continua sempre ad essere un problema di forza: forza di farsi obbedire da una parte, forza di resistere al potere e di limitarlo dalTaltra. E nessuno puô non riconoscere che ogni vittoria di questa resistenza é stata una vittoria délia civilté. Dalla forza matcriale dei gruppi (caste, classi, o, corne si dice ora in Rus-sia, strati sociali) che hanno in mano il potere, e dalla forza contraria —materiale e morale quest'ulthna, fatta di numéro e d'armi, di spirito d'indipendenza e di giustizia, di competenza organizzativa e tecnica— délia massa dei governati, dipende che un govemo sia piu o meno assoluto, piu o meno democratico.

Non é stato un anarchico a dire che il govemo migliore é quello che governa meno. Pero possiamo prendere questa frase come punto di partenza per studiare il concetto di rivoluzione. E potremmo ampliarla cosi: il govemo meno dannoso é quello che ostacola meno il lavoro costruttivo degli uomini. Di qui che, mentre i manuali che ci fan studiare nelle scuole ci presentano una storia di governi (il racconto cronologico d'imprese militari

e di successioni dinastiche, ora passato di moda, é stato sostituito

%

dallo Studio dell'evoluzione iatituzionale che produce la stessft impréfteione di schean-a vuoto), Croce ci definisca la storia umana crtie "storia délia liberté**» d^finizione la cUi portata oltrepasea senza dubbio le intenzioni del filosofo liberal-conservatore. La storia é creazione continua dejlo spirito umano; e questo créa in quanto é libero. L'autoritâ organizzata costituisce il momento negativo délia storia, la forma che diventa stretta, il limite che mai é fecondo.

Non si vogliono negare qui le eccezioni, che esistono senza dubbio, ma 6olo per confermare la regola, se di regola si puô parlare, quando si tratta di storia. E* vero che un Cârdenas nel Messico o un Batlle nelTUruguay hanno avuto, durante la loro attivitâ politica, uno spirito piû costruttivo ed un programma piû avanzato che la maggioranza dei loro contemporanci mes-sicani od uruguayani. Di Batlle si suol dire che non si dichiaro socia lista, perché il paese non lo avrebbe compreso. La sua opéra era ispirata da concezioni socialiste, non cosi sistcmaticlic, ma piû fécondé e spesso piû libéré di quelle di molti socialisti eu-ropei mandati al potere dai loro elettori marxisti. Utilizzo gli ingrana^gi délia democrazia borghese per nazionalizzare ampi settori deireconomia, con moltissimi anni d'anticipo sul labori-emo inglesè o il socialisuio francese, e cercô anche -d'evitare Fec-cessivo ccntralismo, dando ad ogni settore deireconomia nazio-nalizzata un'autonomia molto larga e quasi l'autogoverno. Non cerco, come molti socialisti, di rafforzare il potere esecutivo, ma di limitare i pericoli del presidenzialismo propugnando un go-verno collegiato che arrivé a stabilirsi in parte e durante un certo tempo.

Sono —ripeto— eccezioni che confenmano la regola. Che ri-mane, infatti, delTopera di Batlle, salvo conquiste importanti ma marginali, come l'insegnamento medio e superiore gratuito? Uno statalismo dogmatico, una burocrazia frondosa e corrotta, moite leggi che non si applicano o si applicano maie, ed un nome dhe é un mito. Ci diranno che ne rimane qualcosa di piû: un amore per la libertâ diffuso fra il popolo ed un rispetto délia personalita umana che fanno dellUruguay (ahneno per ora) una specie di oasi nel mondo contemporaneo. Perô questo non l'ottiene nessun governo; e se Batlle contribul alla formazione di questo spirito pubblico, non fu certamente come Présidente délia Repubbîica o legislatorc, ma come giornalista e, in genere, come persona.

L'opéra, piu recente, di Cârdenas nel Messico, sussiste in parte, perché non fu solo elaborazionc d'una mente nutrita di buone letture, ma frutto tardivo d'una rivoluzione popolare. Pero anch'essa sta soffrendo la corrosione dei tempo.

E quando gli anarchici, per uno di quei paradossi che ab-bondano nella storia, arrivarono per un momento —in Spagna— a posti di governo, la loro opéra non vi fu meno cffimera. E questo, perché ogni. opéra di governo é effimera.

Si distrugge (o dégénéra) facilmente cio ch'é stato creato per legge o per decreto, se quella legge e quel decreto hanno avuto veramente lo scopo di creare e non quello semplicermente formale di riconoscere e coprire col manto giuridico cio ch'é sorto spontaneamente ed extralegalmente; E' difficilissimo, in cambio, sradicare costumi, tradizioni, istituti d'origine popolare, cor» o senza personalitâ giuridica. Un'idea buona é sempre piu "creatrice" che una legge.

Prendiamo la rivoluzione francese: la notte dei 4 agosto non distrusse il reghne feudale, ma registro la sua caduta; il .«uo valore é emotivo e —al massimo— giuridico, non sociologico. La funzione fermentativa, dhe continua a disimpegnare nella storia la rivoluzione francese, non si deve aile successive costituzioni a cui dette origine lo sviluppo degli avvenimenti, né all'opera dittatoriale délia Convenzione, ma aile idee dei pensatori dei secolo XVIII, che. culminano nella "Didhiarazione dei dijritti dei-l*uomo" e alla ribellione di tutto un popolo contro l'assolutieano ed i privilegi feudali, che culmina nella presa délia Bastiglia. Il Direttorio prima, Napoleone poi, poterono trasformare. radical-mente la costituzione ; la Restaurazione. poté negare e distrug-gere quasi tutte le conquiste giuridiche; né gli uni, né Paîtra poterofcio annullare la Rivoluzione, la cui essenza non era nelle leggi, i cui frutti non erano nei governi.

.. Prendiamo un altro esempio: la Spagna alla fine dei secolo XVI. Quali sono i suoi valori creativi, i "comairçeros" délia

Castiglia o il fiammingo Carlo V, Cervantes o Filippo II, ter-rore dei mori e degli ebrei?

La storia "rcale" non é quindi una storia di regimi, d'isti-tuzioni statali e di uomini di governo. Queste escrescenze fanno parte, indubbiamente, délia storia, ma son ben lungi dal costi-tuire il suo nucleo. E una rivoluzione é molto piû d'un colpo di Stato.

La forza materiale di cui dispone qualunque governo ed in assai maggior grado una dittatura, non deve darci una falsa im-pressione di potenza creatrice. Quella forza esiste e coloro che rhanno in mano sono veramente potenti, se il loro scopo si riduce a questo: governare. Hitler riusci veramente a sterminare i suoi awersari, a far tacere l'opposizione, a distruggere gli ebrei, ad aumentare le funzioni dello Stato. Se un partito non ha altro fine rcale che quello di portare i suoi uomini al governo, é na-turale che segua la strada delle urne o quella dei colpo di Stato. Ma se vuole attuare un programma, che non sia quello semplice e vuoto del ^governo forte", bisogna che cerchi altrc vie. I socialisti a! potere non han mai potuto attuare il socialismo; al massimo han .costruito un po* di capitalismo di Stato, che non é se non un mezzo per consolidare il potere politico e fa parte —neU'attuale periodo storico— del processo naturale del suo crescimento. Quel che c'é stato di socialista nella rivoluzione russa é stato attuato dai prhnitivi soviets di opérai, soldati e contadini; e queU'opera é stata annullata piû tardi dal governo sorto npl corso délia rivoluzione. In Spagna s'é potuto studiare di nuovo lo stesso processo e s'é visto, una volta di piû, che il governo serve a controllare una situazione, ad arrestare un'evo-luzione creativa, a soffocare una i rivoluzione, per soddisfare il desiderio di potere d'individui, di gruppi o di classi; non serve a costruire una realtâ nuova.

Il nostro concetto di rivoluzione é quindi diverso da quello dei partiti autoritari; malgrado le leggende in contrario, é meno violento. Ed é gradualista, per quanto non nel senso che danno a questa parola i riformisti legalitari.

il

IL PROBLEMA DELLA VIOLENZA

11 problema délia violenza come strumento di lotta é stato risolto solo apparentemente dagli anarchici; in ogni difficolté pratica che bisogna superarc, risorgc, con caratteri circostanziali, la contraddizione latente, e forse insolubile, fra liberté e violenza. Il limite che sépara la ribellione dall'imposizione, la rivoluzione dalla controrivoluzione é d'una imprecisione inquiétante.

Pero non bisogna spaventarsi delle contraddizioni, né esigerc dalla vita un rigore logico, che appartiene solo al pensiero puro o alla morale teorica. ...

- L'angoscia di quesfantinomia comincia nci Vangeli: offrir l'altra guancia e caccinre i mèrcanti dal tempio sono due atti difficilmente conciliabili da un punto di vista speculativo. E coloro che han voluto sottrarsi alla tortura spirituale di questa contraddizione. come Tolstoi, han chiuso a sé stessi la strada dell'azione. Il ripudio assoluto délia violonza é, nel fondo, una posizione individualisa, in quanto chi l'adotta cerca l'intima tranquillité d'una rigida cocrenza assai piu che il benessere e la liberté degli altri esscri umani. Dice, piii o meno, Eliseo Reclus: "Budda si lascio mangiare dalla tigre per non spargere il sangue délia belva; ma avrebbe ammazzata la tigre, se l'avesse vista minacciare la vita d'una creatura".

Perché bisogna ammazzare la tigre, noi siamo rivoluzionari. O meglio: perché bisogna ammazzare la tigre, siamo disposti ad affrontare la fase violenta, quasi sempre inevitabile, délia rivoluzione. (Quando diciamo la rivoluzione, intendiamo parlare di quella che ora si sta preparando negli uomini e nelle cose, anche se non saré interamente quella che noi vogliamo, la nostra.) Sap-piamo che nell'impiego délia forza materiale si nasconde il mag-gior pericolo dello stabilirsi d'un governo forte, d'una dittatura. Non si puo rinunciare ad adoperare la forza, ma bisogna com-hattere il pericolo ch'essa implica; negli altri e in noi stessi.

Ed ecco qui comc, attraverso un lungo preambolo, siamo arrivati al tema.

III

INSURREZIONE E RIVOLUZIONE

Non é lo stesso, e tutti lo sanno; pero quasi tutti adoperano indifferentemente l'uno o l'altro termine. La colpa l'hanno i giornalisti che, eon la ripetizione quotidiana di frasi fatte, maie applicate per la legge del minimo sforzo, ci vanno abituando insensibilmente all'uso d'un linguaggio vago ed approssimato che finisce con lo sfigurare ed annebbiare la nostra visione delle cose.

Ci puo essere una rivoluzione senza una definita fase insur-rezionale: la cristiana, per esempio.

Ci puo essere un'insurreziorie senza sviluppi rivoluzionari, sia per la mancanza d'ohiettivi chiari e di itmpulsi profondi (la rivolta dei gladiatori néll'antichitâ romana, le "jacqueries", la Fronda, alcune sollevazioni colonial}, alcune sominosse sudame-ricane, etc.), sia per l'esistenza di forze matcriali contrarie piû potcnti (la Comune di Parigi, la Repubblica dei Consigli délia Baviera, etc.), sia per l'interferenza di movimenti piû vasti di carattere non rivoluzionario o controrivoluzionario (i movimenti socialisti in seno aile lotte per Tindipendenza nazionale nell'Eu-ropa del secolo scorso e —for6e ~ nell'India, nell'Indocina, nel-rindonesia e nella Cina di oggi; l'insurrczione antinazista del 1943-45 nel Nord dell'Italia e in Francia, etc.).

Osservando le cose piû da vicino, vedrommo che, in ogni rivoluzione frustrata —cioé troncata nella sua fase insurrezio-nale— i tre fattori negativi menzionati ed altri ancora (in tutto ciô ch'é umano le classificazioni sono sempre incomplète) in-fluirono allo stesso tempo, per quanto in diversa misura. Ed anche nelle rivoluzioni che arrivarono a dar frutto tali fattori negativi dovettero essere combattuti e superati.

L'insurrezione é bcn lontana, quindi, dall'esserc tut ta la rivoluzione; perô ne costituisce un momento generalmente inevi-tabile, ed i rivoluzionari militanti si preoccupano délia sua preparazione. Quando manca questo momento, la rivoluzione stessa puô rimanere come senza radici (Repubblica Spagnola dei 1931) e morire consunta. E, d'altra parte, la paura dell'insur-rezione é sempre un fattore reazionario.

Sarebbe intéressante studiare i movimenti insurrezionali at-traverso la storia; tanto le insurrezioni tipiche (come quelle che dettero origine a una gran parte dei municipi medioevali e come quelle che furono il punto di partenza délia rivoluzione francese e délia rivoluzione russa), quanto quelle apparentomente oc-casionali che scoppiano in risposta ad un attacco reazionario (rivoluzione inglese dei secolo XVII, inizio délia recente rivolu-sione spagnola).

Se potessimo compiere questo studio, evidentemente impos-sibile nei limiti di queste pagine, vedremmo che la sollevazione iniziale quasi mai é diretta alla conquista dei potere. Non solo dobbiamo dire che l'insurrezione rivoluzionaria non é tutta la rivoluzione; ma dobbiamo anche distinguerla nettamente dal semplice colpo di Stato, il cui unico fine é un cambiamento delle persone o dei partiti al governo o, al massimo, una trasforma-zione nella struttura dei governo stesso, quasi sempre in senso reazionario, cioé nel senso d'un rafforzamento dei potere ese-cutivo.

La confusione rimonta al concctto romano (ma non greco) délia storia e délia vita politica, che consiste nel considerare , concentrato nello Stato tutto il lavoro creativo. A questa confusione tra rivoluzione ed insurrczione, tra insurrezione e colpo di Stato si dovette —per esempio— il fallimento dei programma rivoluzionario di Ciulio Cesare. Questi, come molti pseudo - rivoluzionari d'oggi, credette che, per attuare i suoi propositi e specialmente la riforma agraria, fosse sufficente cercare una strada, o megiio, una scorciatoia, per arrivare al potere. E êi vide piu tardi, con Augusto, che poco fosse rimasto dei prtv

gramma grandioso: unicamente il fatto materiale délia dittatura e le trasformazioni che ogni dittatura persistente porta con sé e clie costituiscono quasi sempre, sotto una continuité fonnale di norni e d'etichette, la negazione del primitivo programma rivoluzionario. Non per niente molti ex-partigiani di Pofcnpeo (il rappresentante délia tradizione aristocratica e sénatoriale, il nemico politico di Çesare) si sentivano cosi a loro agio alla corte imperiale, per quanto Augusto si présentasse come il continua-tore del dittatore assassinato, ed essi stessi rappresentassero con discrczione la coimmedia del pentiniento.

La steesa inversione di termini che troviamo passando da Cesare ad Augusto, la torniamo a trovarc quando passiamo da Robespierre a Napoleone, o, nella storia contemporanea, da Le-nin a Stalin. E questo, non perché la storia si ripeta o perché ci sia una rcale somiglianza fra questi tre momenti, ma sem» plicemente perché Tautorita non é creatrice e la dittatura é di per se stessa reazionaria. Modellare la vita reale con decreti é cosi stérile e sterilizzaute, come lo sarebbe il crcare una lingua artificiale con il suo vocabolario e la sua grammatica e preten-dere che la gente l'adoperasse per pensare e per sentire (e cio sia detto con buona pace degli esperantisti)

IV

LA DITTATURA TRANSITORIA

»

Dittatura é governo assoluto (ed originariamente eccezio-nale) di pochi, o —'piu genuinamente— d'una sola persona. La "dittatura" romana sospendeva il potere dualc dei consoli per conccntrare tutte le attribuzioni nel dittatore. Tutto cio che s'é detto per i governi in generale si puo ripetere, con tono anche piû deciso e sicuro, per quelli dittatoriali. Eppure, l'apparente facilita delle trasformazioni operate per mezzo délia forza pub-blica e la confusione tra violenza rivoluzionaria e violenza go-vernativa suscitarono spesso fra le masse il desiderio del Messia, dell'uomo prowidenziale, dei governo forte che spazzi via la putredine (come se una o poche mani bastassero per impugnare simili scope!).

Il fenomeno é istintivo ed é inutile cercargli radici teori-clie: le eue radici sono la pigrizia ed il complesso d'inferiorita delle moltitudini. ÎSé i tiranni greci nell'antich.ita, né un Hitler, né (per cercare l'esempio qui vicino) un Vargas o un Peron ai guadagnarono l'appoggio popolare con determinati siatemi ideo-logici; promisero d'adoperare la forza materiale dei governo per imporre moralitâ e creare benessere. Le masse credettero in loro, per accorgersi poi —troppo tardi— che ogni potere forte s'ap-poggia 8ulla classe tradizionalmente privilegiata, o, se, nel primo impeto, la distrugge, ne créa in un secondo tempo una nuova, con nuovi caratteri c nuove forme di privilegio.

In Grecia, la tirannia é stata una fase infantile délia lotta di classe, i cui ulteriori sviluppi si produssero in seno all'evolu-zione delle forme dcmocratiche. Perô, dopo la morte délia de-mocrazia greca, siamo tornati, sotto quest'aspetto, a quella fase infantile, e ancora stiamo dibattendoci per uscirne. Le ragioni dei regresso sono moite: tra le altre, lo statalismo romano, l'en-trata di nuove ed enormi masse d'uomini nella sfera délia ci-viltâ, e la sparizione délia schiavitu, macchia vergognosa, ma con vantaggi pratici per i non-schiavi, vantaggi che solo ora si stanno riconquistando faticosamente e su un terreno piu degno, per mezzo dei progresso tecnico.

Al marxismo (e, in parte, allo stesso Marx) risale la respon-sabilitâ d'aver rinchiuso il socialismo, giâ maggiorenne, in questa fase infantile, con il mito délia "dittatura dei proletariato", che dovrebbc essere la dittatura transitoria d'una classe per abolire le classi e lo Stato, e s'é invece materializzata in Russia, dove la teoria ha trovata la.sua applicazione, nella dittatura d'un partito —dominato a sua volta da un uomo— per costruire il tuper-stato e perpetuare l'aesolutismo. Come aempre, la dittatura diventa fine a se stessa. Il processo é normale e, se di qualcosa c'é da meravigliarsi, é del fatto che non tutti i socialisti lo vedano, come Bakunin ed al tri giâ lo vcdevano nel secolo scorso.

-Malgrado questa recente e tragica csperienza, la supersti-zione délia dittatura transitoria, come primo stadio necessario d'ogni rivoluzione, continua ad annebbiare, anche oggi, moite delle intelligenze piû chiare, molti degli spiriti piû liberi délia nostra generazione. Hiuscire a far si che questo stadio sia il piû brève possibile é l'aspirazione dei migliori. Sembra una con-cessione allo spirito pratico, un'incoerenza dolorosamente neces-saria e non é che teoria, cattiva teoria, perché non ha le sue radici nella vita reale.

Infatti, non solo non c'é relazione inevitabile fra l'insurre-zione rivoluzionaria e l'instaurazione d'un potere assoluto, ma anzi, quando questo secondo fatto 6i producc, l'impulso insur-rezionale in genere ha giâ persa la sua forza travolgente.

Per distruggere il mito délia dittatura transitoria, imposta dalle necessitâ pratiche nella prima fase délia rivoluzione, come 8olidificazionc immediata délia rivolta iniziale contro il vecchio ordine, basta gettare uno sguardo rapido sulla storia delle rivo-luzioni passate. Trascorsero tre secoli dalla primitiva diffusione del verbo cristiano fino al momento in cui il cristianesimo fu adottato come religione di Stato, cioé come strumento di governo. Furono i tre secoli délia rivoluzione cristiana; la trasfor-mazione délia Chiesa in organismo ufficiale inizia la contro-rivoluzione.

Ne'lle innumerevoli rivoluzioni comunali del Medio Evo contro il feudalesimo, non c'é "dittatura prowisoria", ma ri-vendicazione di sempre maggiori "liberta". E quando il potere assoluto arriva, sia con il consolidamento delle grandi monarchie centralizzate (in Francia, in Inghilterra, piû tardi in Spagna), sia con i signori locali (in Italia), il comune- muore.

Nella rivoluzione inglese del 1648, la dittatura di Croanwell non é il primo atto, ma l'ultimo (1453) e costituisce —malgrado gli splendori d'un a politica imperialista— l'esaurimento délia rivoluzione stessa ed il ponte verso la reataurazione.

Nella rivoluzione francese, la controrivoluzione comincia con Robespierre e non il 9 termidoro; nella rivoluzione russa con Lenin e non con Staljn. In nessuna delle duc l'insurrezione iniziale é dirctta alla presa dei potere e meno ancora all'instau-razioue d'una dittatura. In Russia i contadini avcvano giâ oc-cupate le terre e dapcrtutto eran sorti i soviets autonomi, quando Lenin, dalla Finlandia, studiava per il suo partito i metodi délia presa dei potere. Conseguenze délia dittatura bolscevica furono lo schiacciamento délia Camune di Kronstadt, la sconfitta di Makhno, la distruzione dei soviets (sostituiti da organi dei partito e dello Gtato, senza l'autonomia, per quanto con lo stesso nome, degli organismi primitivi), la Nep... Cominciava il lento e complicato processo délia controrivoluzione con nomenclatura rivoluzionaria. Il capitalismo privato era crollato sotto la spinta délia sollevazione popolare. La dittatura cosidetta dei proleriato non ha creato nessuna realtâ nuova, all'infuori dei fatto brutale dei potere: ha tolto le fabbriche agli opérai, la terra ai contadini, i comuni ai soviets locali, per incorporare tutto nello Stato. * L'assolutismo risorto non aveva piu lo Zar, ma aveva una nuova terribile arma: il controllo totale délia vita economica dei paese. E )e forze rivoluzionarie furono annichilate l'una dopo Faltra, finché é toccato il turno alla tendenza stessa di Lenin. Niente di piu normale. Dopo, il ritmo délia controrivoluzione s'é ac-centuato e sono venute tutte le restaurazioni compatibili con i fatti nuovi, che la rivoluzione, deformata dalla dittatura, aveva lasciati in ereditâ al nuovo regime e che non erano, dei resto che modernizzazioni dell'assolutismo, tipiche dell'attualc corren-te reazionaria mondiale: il capitalismo di Stato, l'industrializza-zione, l'importanza dei tecnici e délia burocrazia di partito, l'incremento e il ringiovanimento délia casta dei funzionari statali, il partito unico, l'identificazionè dello Stato con questo partito... La dittatura ha dato stabilité a tutto cio che per-feziona e rafforza i suoi ingranaggi; il resto dell'ereditâ rivoluzionaria sparisce a poco a poco.

Tutto cio s'é giâ visto altre volte; il fatto nuovo nel fenom.cno ru8so é clato dalla teorizzazione délia dittatura "rivoluzionaria", basata su testi ufficiali di "dialettica" marxista, e l'impiego del linguaggio rivoluzionario da parte délia controrivoluzionc.

L'esempio é stato contagioso e dei movimenti reazionari chc non hanno dietro a se nessuna rivoluzione, imbevuti di vecchia mentalité e difensori di vecchie cose tarlate, non fanno piû i pa-ladini del trono e dell'altare come le parrucche délia Santa Al-leanza, né portano scritte sui loro stendardi le parole "ordine, religione, famiglia", come il Mussolini pre-hitleriano o il vecchio Pétain, ma cantano inni agli "straccioni" c vogliono* essere rivolu-zionari ad ogni costo. E questo, perché il fermento che ha lasciato la rivoluzione russa é quello del 1917; i soviets che infondono terrore ed entusiasmo sono quelli, non questi. E il fatto chc il nome si 6ia conservato, quando la cosa é scomparsa giâ da tanto tempo, ne é una prova. Una cosa é sicura. La rivoluzione é an-teriore alla dittatura e con la dittatura comincia a morire. E' una scmplice constatazione cronologica. L'intcrvallo di tempo e la differenza sostanziale fra le due fasi ci diniostrano ch'essc non sono necessariamente legate.

V

LA RIVOLUZIONE, LA DITTATURA, LA GUERRA

Se la dittatura non é direttamente legata alla rivoluzione, é invecc strettamente vincolata alla guerra, fin dalle sue rcmote origini romane. In tutte le rivoluzioni esaminate, la guerra e-sterna interferisce nel processo rivoluzionario nello stesso senso negativo. E nella Spagna del 1937, nell'Europa del 1944-45, l'influença morbosa délia guerra ha un carattere déterminante. Cio fa si che il giudizio sugli uomini che agirono in quella lunga serie d'avvenimenti rivoluziona'ri non possa essere morale ("do-vrebbero eseersi comportati in questo o in quell'altro modo"), ma obiettivamente storico, basato sullo studio delle conseguenze dei diversi atteggiamenti.

A noi, come rivoluzionari e come anarchici, si presentano due domande inquietanti: E* inevitabile la guerra in un pro-cesso rivoluzionario? E'• impossibile una rivoluzione libertaria in un paese in guerra? Queste domande non possono ricevere una risposta categorica, giacché lo scoppio d'una guerra dipende da moite cosc; in parte (pero in piccola parte) dal modo d'a-girc delle etesse forze rivoluzionarie. D'altronde, non esiste la "rivoluzione", ma esislofao "rivoluzioni", alternate con periodi evolutivi e conquiste e creazioni pacifiche (per quanto moite volte di portata rivoluzionaria).

Dobbiamo disimpegnare la nostra funzionc in questi divers! processi storici, senza pretendere di monopolizzarli e —par-tendo dalla premessa che niente di cio ch'é umano é verameûte inevitabile— cercar di evitare la guerra nella rivoluzione e di salvare la libertâ anche in seno alla guerra. Una rivoluzione in prevalenza libertaria presuppone probabilmente conquiste ante-riori che riducano questi tremendi pcricoli. La storia a volte fa salti e puo percorrere in un mese la strada di secoli, se c'é sufficente preparazione previa (e questi salti sono le rivoluzioni); per questo bisogna osare ed agire come se la meta fosse alla portata délia mano e dell'occhio. Pero non bisogna scorag-giarsi per le sconfitte, né esaurire energie in recriminazioni. Prendiamo la storia spagnola di quegli anni gloriosi che vanno dal 1936 al 1939. II movimento anarchico spagnolo ha dato mol-to, moltissimo, con un'opera fatta d'ombre e di luci come tutto cio ch'é umano. E bisogna studiare quell'ombra e quella luce. Pero, in questo studio, non si deve pretendere l'itnpossibile, né dhncnticare i fattori basici délia complicata situazione in mezzo a cui i libertàri si movevano. I principali erano i soliti due: la rivoluzione e la guerra, il polo positivo ed il polo negativo. Quale poteva eesere il peso dei numéro d'iscritti délia C.N.T., di fronte aile enormi esigenze controrivoluzionarie délia guerra?

VI

LA RIVOLUZIONE SPAGNOLA

E' iipica per lo studio del problema di cui ci occupiamo* per il fatto d'essere il primo fenomeno rivoluzionario con una notevole, e si potrebbe dire prevalcnte, partecipazione libertaria. Se non ha avuto gli sviluppi délia rivoluzione francese o di quella russa, cioe si deve all'interruzione brusca (punto finale o intervallo?) prodotta in lei dalla sconfitta militare. Pero, si riannodi o no il processo rivoluzionario dopo un'eventuale ca-duta del regime franchista, la storia di quei tre anni é in sé abbastanza compléta da non permcttere che si parli di rivoluzione mancata, come lo furono la rcpubblicana spagnola del 1931 o l'italiana antifascista del 1943-45. C'é 6tato tempo e ci sono state energie sufficenti per attuare una trasformazione profonda e per far si che le nuove creazioni vivessero, dessero i loro frutti buoni e cattivi e lasciassero, nelPessere violentamente ara-dicati» un'orma profonda, un vuoto in cui le vecchic cose arti-ficialmente ricostruite, non riescono piû ad incastrarsi. Gli ideali che animarono le giornate di luglio del 1936 non poterono essere soffocati dal molto sangue sparso, perché, nel 1939, non eran piû parole (le parole si possono cancellare dai programmi e dai codici), ma fatti, con radici nella buona terra.

Se gli uomini riescono ad evitare che il totalitarisme pre-valga ed annulli —insieme ad ogni espressione di pensiero indi-pendente— la disinteressata visione délia storia, la riyoluzione spagnola sarâ considerata come la manifestazione piû tipica del tempo nostro e come il superamento del falso, ma angoscioso dilemma che sembro imporre al mondo la rivoluzione russa: socialismo dittatoriale o libertâ capitalista.

Questo dilemima é un colossale malinteso; i fatti degli ul-timi trent'anni l'han dimostrato. Ma, sopratutto, l'ha dimostrato la rivoluzione spagnola. Studiare in questa il problema délia liberté dell'uomo, vuol dire probabilmente studiarlo anche nelle

rivoluzioni delPimniediato futuro, giacché in essa per la priima voita s'é affermata nei fatti J'esigenza fondamentale dei mondo di oggi (per quanto le grandi masse —e non mi riferisco solo, né principalmente, alle'masse proletarie— comincino appena ora a intravederla). Infatti, a partire dalla guerra dei 1914, non si tratta piu solo di lotta di classe; é anche una lotta dei governi, delle caste, dei partiti, per mantenere il controllo sulle molti-tudini dei produttori e dei consumatori contro i tentativi di eraancipazione economico-politica, suscitati dalla diffusione délia cultura e facilitati dai progressi materiali che alleggeriscono la schiavitu dei lavoro salariato. Da allora, questo fattore si so-vrappone alla lotta di classe e la rende, agli occhi délia gente, sommamente confusa.

La rivoluzione spagnola dissipo per un momento quella confusione. Un énorme sforzo di silenzio e di tergiversazione é stato compiuto contro di lei; uno sforzo dhe ci dâ la misura délia potenza di cio che si voleva soffocare. Fu taie il panico tra i potenti délia legge, dei danaro o délia forza, che piu tardi, nella guerra contro l'Italia e la Germania, si considero l'Europa come una Spagna in potenza e i gruppi di ribelli antifascisti furono ritenuti strumenti pericolosi, da utilizzare —quando fosse indispensabile— con parsimonia c con lunghissime molle, per non bruciarsi le dita. Ancor oggi, il governo russo non osa ado-. perare, in Occidente, le parole d'ordine rivoluzionarie che —ben lo sa— lo servirebbero meglio che altrettante bombe atomiche, per paura che risusciti, al calorc delPentusiasmo popolare euro- ' peo, il cadavere insanguinato délia Spagna.

VII

GLI ANARCHICI NELLA RIVOLUZIONE SPAGNOLA

Se paragoniaimo la storia délia Spagna negli anni 1936-39 con quella délia Francia tra il 1789 e il 1795 o con quella délia Russia fra il 1917 e il 1930, constatiamo una somiglianza, che

consiste nella separazione.tra la fase insurrezionale e la cristallix-zazione statale délia rivoluzione, ed una differenza : il fallimento, nella prima, del giacobinismo centralizzatore nel suo tentativo di stabilire sulle forze rivoluzionarie un governo dittatoriale. E1 la prima volta che una rivoluzione degna di questo nome riesce a sottrarsi a questa che sembrava una fatalitâ storica, come la malattia e la morte sono fatalitâ biologiche. La libertâ s'é sal-vata nella rivoluzione spagnola, per morire solo sotto i colpi degli'eserciti internazionali di Franco. E s'é salvata per la furï-zione prépondérante che vi esercitarono gli anarchici. Quest'e-sperienza non la puo cancellar piû nessuno dalla storia.

Le forze libertarie délia C.N.T. e délia F.A.I. si trova-rono il 19 luglio in Catalogna con tutta la regione nelle mani: erano le padrone assolute délia situazione. Le loro file erano molto nutrite anche nelle altre regioni délia Spagna e la loro partecipazionc nello schiacciamiento iniziale del colpo di Stato inilitare èra stata cosi grande, che in nessun posto si sarebbe potuto prescindere da loro per la ricostruzione délia vita sociale. Pcrô in Catalogna le condizioni erano eccezionalmente favorevoli per le forze libertarie, ed appunto qui ed in Àragona l'esperienza da loro compiuta assunse caratteri piû tipici e degni di studio.

Orbene, gli anarchici spagnoli erano animati, non solo dal desiderio di non subire né esercitare autoritâ, ma anche da quello spirito di collaborazione con gli altri, senza di cui quel desiderio non sarebbe che una parola vuota. L'atmosfera di fraternité e tolleranza rivoluzionaria che si stabili in Catalogna, come conse-guenza délia rinuncia degli anarchici a esercitare un potere che —con il criterio dei democratici di governo— sarebbe toccato loro di diritto, é un fatto positivo, di valore inmienso, che compensa in certo modo il valore negativo délia partecipazione po-ateriore délia C.N.T. al governo.

J

VIII

LE DUE COLLABORAZIONI

Bisogna infatti distinguera nettamente due atteggiamenti, che spesso vengono confusi, tanto dai panegiristi, quanto dai critici; mantenere la liberté il 19 luglio 1936 Yoleva dire —per i padroni délia strada e delle fabbriche, che, per la loro forza, non potevano mantenersi aU'opposizione— stabilire una collabo-razione senza mercanteggiamenti con le altre forze antifasciste.

Questo spirito di fraternité popolare e di tolleranza per le altre correnti ha avuto ed avrâ uno straordinario valore costrut-tivo in senso rivoluzionario. L'eseinpio spagnolo dimostra che cosi "si fa" la rivoluzione.

Il collaborazionismo governativo, che comincia con lo scio-glimento dei "Comité de Milicias" e la partecipazione anarchica al governo délia "Generalitat" in Catalogua e culmina con Fin-gresso di quattro ministri délia C.N.T. nel governo centrale, é un'altra cosa. Non é un atto rivoluzionario, né libertario. E' un primo passo verso il sacrificio délia rivoluzione sull'altare délia guerra. Gia allora quella misura pareva destinata (per le defor-mazioni che inevitabilmente doveva produrre ed iniatti produsse) a porta re un colpo gravissimo al mantenimento délia liberté nella rivoluzione, neutralizzando i suoi unici radicali difensori; perô nel momento in cui fu adottata, non aveva il significato che acquistô poi con il tempo.

IX

LA FASE INIZIALE DELLA RIVOLUZIONE

C'é stata una rivoluzione economica (socializzazione in citté, federazione di col'lettivité libéré in campagna), ed una rivoluzione politica, che consistette nel tentativo d'ignorare lo Stato, di svuotarlo delle sue funzioni e délia sua ragion d'essere: tentativo perfettamente riuscito, finché la guerra non impose (e l'impose quasi subito) la necessitâ <li stabilire relazioni con l'estero. La mancanza di ccxmprensione e d'aiuto diretto da parte del prole-tariato mondiale cbbc came conseguenza la necessitâ perentoria di intavolarc con l'estero dei negoziati, che solo erano possibili attraverso un governo costituito.

AlFombra di questa necessitâ si venne ricostruendo lo Stato; e ad ogni passo indietro délia rivoluzione politica si ebbe (com'e naturale) un corrispondente passo indietro délia rivoluzione e-con amie a e una diminuzione délia libertâ. Questa ricostruzione dello Stato rappresenta la controrivoluzione.

Vediamo la parabola degli awenimenti dal punto di vista del nostro tema.

Il primo periodo fu tipicamente insurrezionale, benché l'ini-ziativa appartenesse ai militari e nella lotta, al fianco delle forze popolari, figurassero spesso le uniformi odiose delle guardie ci-vili. L'esercito, appoggiato dall'industria, dalla banca, dalla chiesa era in quel momento il braccio armato del vcro potere, di fronte al quale, né il governo centrale, né quello locale délia Catalogna avrebbero potuto far altro che quello che han fatto tutti i go-verni di fronte alla valanga fascista. Infatti, per avere le armi necessaric contro il colpo di Stato militare (non per difendere il governo, di cui tutti s'erano dhnenticati, ma la libertâ minac-ciata), il popolo dovette prendere d'assalto bastimenti ed armje-rie. Non son forse qucsti i caratteri d'un'insurrezione? La presa d'Atarazanas a Barcellona o quella délia caserma délia Monta-gna a Madrid equivalgono (dato quel che sompre ha rappresen-tato l'esercito in Spagna) alla presa dclla Bastiglia nella rivoluzione francese. Il movimento ha il carattere disinteressato d'ogni insurrezione; é la violenza libératrice, che anche gli anarchici possono accettare. Si commettono abusi e crudeltâ, ccwne in ogni eommovimento profondo d'origine popolare, ma non c'é lixnita-zione sistematica délia libertâ. Si bruciano chiese, biglictti di banca, materassi di case di malaffare; s'uccide e si muore; s'oc-cup^no fabbriche e, con le aittni in mano, si organizzano dal sotto in su, i trasporti ed i rifornimenti... ; é la rivoluzione^ non é ancora la guerra.

Nel campo "leale" non c'erano partiti vitali che foasero idealmente attrezzati per la dittatura, come i giacobini nella Francia rivoluzionaria o i bolscevichi russi nel 1917. Infatti i comunisti lcninisti erano pochi e gli stalinisti (Partito Cornu-r\ista ufficiale) meno ancora: 20.000 nelle elezioni di febbraio di quell'anno.

In Catalogna era in cambio quasi onnipotente e nel resto délia Spagna leale molto forte la corrente —antistatale per défi-nizione— rappresentata dalla C.N.T. e dalla F.A.I.

Il partito comunista spagnolo, che esercitava sui sindacati délia U.G.T. la stessa influenza che gli anarchici avevano sulla C.N.T., era minato giâ dalla malattia che travaglia i partiti socialisti fin dal 1917 (la stessa che ora li sta portando in tutto il mondo a una crisi che décidera forse il loro destino), ma aveva masse sane, con cui era possibile un buon lavoro cotmune.

Il patto C.N.T.-U.G.T., che giâ nel 1934 aveva ricevuto nella rivoluzione delle Asturie (il primîo atto délia tragedia spagnola) il suo battesimo di sangue, costitui una garanzia di liberté, come ogni manifestazione ■ di fraternité alla base. L'esi-stenza di queste masse socialiste, spesso non lungnniranti, ma sincere e capaci, se non sempre di creare, per lo meno di rico-noscere il socialismo nei fatti (e cio si vide nelle collettivita), permise che la rivoluzione nascesse e restasse libéra. Quest'espe-rienza spagnola fa si che si possa ancora sperare che in altri paesi d'Europa in cui il partito socialista é forte e le correnti libertarie abbastanza deboli, la rivoluzione, che semibra star maturando nei fatti, porti a un socialismo senza dittatura e senaa eccessivo intervento statale o susciti per lo meno dei tentativi in questo senso. Taie speranza naturalmente sparirebbe se do-vesshno basarla suiratteggiamento dei dirigenti; ma neppure l'c-sperienza spagnola si basa sulla condotta dei dirigenti.

Certo la situazione senza precedenti in cui si venue a trovare la Spagna leale nel luglio dei 1936 nos si sarebbe imita, & fosse esistito allora un partjito comunista forte. Questo avrebbe imposto la sua dittatura —corne ora, per esempio, in Jugosla-via—, con il vocabolario democratico del momento (culminava allora l'euforia dei Fronti Popolari), o, non potendo farlo, a-vrebbe impedita la politica libertaria di tolleranza reciproca, ob-bligando gli altri ad utilizzare contro di lui i suoi stessi metodi repressivi. La forza délia C.N.T. era mol ta, ma non tanta da non cadere ncirimposizione in un caso simile. Per questo é vitale per tutti che non abbia successo l'infiltrazione stalinista al-l'in-terno delle correnti socialiste europee. Non basta che rumangano immuni gli esigui movimenti libertari.

C'é veramente una differenza fondamentale fra la Spagna d'allora e TEuropa di ora: il problema si poneva nella prima (almeno al principio) nei suoi termini piû chiari; nella seconda régna un enorme malinteso. Ci sono dei paesi, come l'Italia, in cui la parte piû dinamica e veramente socialista delle masse operaie, quella parte con cui gli anarchici considererebbero piû facile collaborare, gravita proprio in buona misura nell'orbita del partilo comunista. Il piû che ventennale isolamcnto ha con-servata, come sotto ghiaccio, la visione delle cose e dei rapporti sociali e politici che il >manganello fascista aveva bandita appa-rentemente dalla vita italiana nel 1923 e 1924. Il gioco delle forze in seno alla resistenza antinazista non é stato taie da smen-tire la tradizione, altrove abbondantemente sorpassata, che col-loca i comunisti alla sinistra dei socialisti. Le paure dei reazio-nari miopi e dei clericali, che combattono gli agenti d'uno Stato reazionario e nazionalista con gli stessi argomenti con cui com-battevano il comunismo délia prima epoca, non fanno che raf-forzare Tequivoco. Quella parte del proletariato europeo che si sente vicina al partito comunista, semplicemente perché lo crede piû disposto delle altre grandi correnti politiche a roanperla col passato per coetruire il sociali^ano, costituisce certamente, insie-me ai settori piû coscienti ed avanzati dei partiti socialisti, agli anarchici, agli spiriti liberi senza partito, la speranza e la possibilité di salvezza dell'Europa. Ma sara prigioniera ed impotente finché non avrâ rotto l'incanto e non avrâ ricuperata la sua li-bertâ spirituale, separandosi da coloro che, giâ fin d'ora, nello stesso campo o in campo awerso a quello dei residui fascisti e dei difcnsori dei vecchio ordine capitalista (cio dipende dalla "tattica" e dalle circostanze) costituiscono la milizia organizzata dell'antisocialismo e dei totalitariemo.

Gli aderenti alla U.G.T. spagnola poterono lavorare alla costruzione dei socialismo nella «misura in cui riuscirono a sfug-gire al controllo crescente dei partito comunista. Ed oggi succe-derebbe la stessa cosa in qualunque paese. L'Europa che ha soffcrto sotto Hitler, si sta ricuperando lentissimamente nel caim-po materiale ed an«or piu lentamente si orienta sul terreno delle realtâ politiche. Neiraspetto spéciale di cui ci stiamo occupando, questo processo di chiarificazione si sta compiendo piu rapida-mente in quella parte dell'Europa che é direttamente dotninata dalla Russia. Ma quando s'arriva a certe constatazioni per espe-rienza propria, é generahnente troppo tard). E d'altra parte c*é sempre pericolo dei processo inverso: c'é pericolo cioé che i delusi dal cosidetto comunismo rivolgano le loro speranze verso il cosidetto nemico occidentale (capitalismo anglo—americano) dei comunismo, came gli sfruttati d'occidente rivolgono le loro speranze verso la Russia. Non si uscirâ dal tragico circolo vizioso, finché Tuomo che lavora si crederâ incapace di fare da sé e continuera ad aspettare che altri costruisca intorno a lui il "suo" mondo, pronto solo a dare il voto o magari la vita —nello stu-pido sacrificio délia guerra— ai pretesi costruttori.

E' questa la lezione di tutta la storia uonana, fin dall'etâ delle caverne. Ma in nessun momento questa lezione é stata cosi chiara, come nella Spagna dei 1936.

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FÀTTORI FAVOREVOLI

Anche prescindendo dalla- gran forza numerica dei libertari spagnoli e dalPampiezza, molto maggiore, délia loro zona d'in-fluenza, ^vari furono i fattori pHe permisero loro di compiere un'opera rivoluzionaria cosi profonda, in un'atmosfera di libertâ: il crollo deirorganizzazione capitalista délia produzione e del consumo, came conseguenza délia sconfitta iniziale dei militari; la necessitâ d'agsicurare la continuitâ délia vita materiale, funzione a cui i sindacati délia C.N.T., abitpati a non aspet-tare niente dagli organismi ufficiali, erano giâ spiritualmente e —in parte— tccnicamentç preparati; la tradizione del popolo spagnolo, eminentemente federalista, che lo fa incline a pren-dere iniziative locali, a prescindere dal governo e a dimenticar-sene (il che ha fatto dire moite volte, ed anche a non pochi marxisti, che gli abitanti délia penisola iberica sono politica-mente immaturi). _ ,

Di tutti questi fattori, che coadiuvarono il 'numcrico, di per sé insufficente, la capacitâ sia pur rudimentale, di creare dalle basi la struttura economica délia societâ, é indubbiamente il piû importante. Quando tutta l'organizzazione crolla per la distru-zione dei -vecchi ingranaggi e l'interruzione delle abitudini ad eBsi inerenti, non é solo e non é tanto il numéro, aiutato dalla forza materiale delle armi, quel che domina la situazione; spesso sono altrettanto o piû importanti la competenza e la rapiditâ con cui si organizzano i trasporti, la distribuzione degli alimcnti basici e le altre attivitâ éssenziali. Quando s'impone la violenza brutale per inezzo délia dittatura (generalmente di professionisti délia politica, cioé d'incompetenti), questa si vede ben presto costretta a piazzare le mitragliatrici contro gli affamati o a ri-correre ai servizi dei vecchi funzionari ed amministratori, che, per forza di gravitâ, riconducono insensibilmente la nuova situazione verso le posizioni superate délia situazione anteriore.

Per evitare questo pericolo e per salvare la libertâ nella rivoluzione (cioé la rivoluzione stessa), é vitale che i rivoluzio-nari siano preparati a risolvere i molteplici e diversi problemi délia vita giornaliera, ricordando Tantichissiano adagio: primum vivere, eec.

S'é detto spesso che Vé stata molta împrowisaziofce nelle fealizzazioni de! 1936. Colo'ro che si dedicarono personalmente a quell'opera di crcazione affannosa, che seguiva il ritmo'feb-brile delle necessitâ e non quello pacato délia meditazione e délia logica, sono ora i prirai ad afferroarlo. I piani preparati parvero a volte futilmente piccoli di fronte aile proporzioni enonmi délia realtâ. E moite parole ottimiste, ascoltate al con-gresso délia G.N.T. a Saragozza, alla vigilia dei temporale, pa-revano conservare. in mczzo al fragore dei fatti vissuti, una lontana risonanza infantile. Ma quei piani esistevano, ma quelle parole indicavano che non un piccolo nucleo di dirigenti, ma grandi masse di lavoratori organizzati, avevano un'idea chiara délia via e délia meta, anche se non delle difficoltâ da superare per arrivarvi. Quei piani, shozzati da uomini modesti, furono, il 18 luglio, assai piu utili, che i ponzati studi giuridici sulla ri-forma agraria, compiuti da intellettuali ed uomini politici re-pubblicani e socialisti. Opère come "L'organismo economico délia rivoluzione" di Santillân - -pubblicata poco prima délia sollcvazione militare e tradotta quasi letteralmcnte in fatti con-creti pochissimo tempo dopo— ci danno la chiavc di questo apparente miracolo délia ricostruzione imimediata deîla vita eco-nomica catalana da parte degli opérai stessi delFalimentazione, dei trasporto c. in un secondo tempo, delle altre industrie.

"La vita continuava normalmente; non ci fu mancanza di viveri, né interruzione séria dei traffico: in due giorni 3arcel-lona riprese il suo aspetto nomnale" rfice. il prof. Peers nel suo libro "Catalonia infelix',, (p. 256). Ed é commovente leggere, nei giornali spagnoli dçi primi mesi délia rivoluzione, il racconto di quelle giornate, in cui, aU'eroismo delle barricate, s'univa —nel militante di base— la preoccupazionc dei lavoro e délia distri-. buzione dei prodo^ti, per Pimmediato domani e nell'ambito ,mo-desto dplla sua. fahbrica, def suo quartiere, dei suo nodo ferro-viario, federati il giorno dopo, attraverso i rispettivi comitati di fabbrica, di quartiere, ecc., con le altre fabbriche, gli âltri quar-tièri, gli altri ccntrî. Cosl Porganizzazione delle autonomie, che

gli anarchici avevano cercato d'attuare nei sindacati, si trasfe-riva, come conseguenza naturale degli awenimenti, sul piano piû vasto délia vita sociale.

Dice a questo proposito uno degli studiosi piû îanparziali délia rivoluzione spagnola, che scrive sotto il pseudonimo di Henri Kabasseire, nel suo libro "Espagne, creuset politique", ch'é forse il migliore che si sia pubblicato su questo temia (1):

"I sindacati ed alcune coopérative create da poco occuparono il posto dei commercianti in fuga. [ piani regionali che gli anarchici avevano preparati giâ da molto tempo, speciabnentc in Catalogna, furono molto utili per facilitare questa realizzazione1(p. 109).

Tornando ora con la mente su questa bella espcrienza, ci sentiamo portati a pensare aile possibilité presentatesi per un momento in qualche zona agli opérai italiani, quando nel 1945 presero spontaneamente le armi in difesa delle loro fabbriche che i nazi-fascisti cercavano distruggere, occupandole poi ed as-sicurando cosi, nel periodo critico, la continuité délia produ-zione. Ci furono, é vero, svantaggi schiaccianti:v Poccupazione degli alleati, che, con la forza e col ricatto del combustibile e delle matcrie prime fecero di tutto per restituire la direzione delle industrie ai vecchi proprietari fascisti, la disorganizzazione delPeconomia come conseguenza délia sconfitta militare, ecc. Pero quel che s*é fatto, per esempio, a Carrara, ci dice fino a che punto si sarebbero potute portare le cose, se le forze libertarie fossero state cosi numerose e cosi ben organizzate come in Spagna, e, came in questa, si fossero studiati prima, su base municipale, regionale, nazionale, i problemi délia produzione e del consumo.

E' iinpossibile rifarc qui lo studio délia socializzazione in-dustriale e delle collettivitâ contadine in quel periodo fecondo delîa storia spagnola. Per il problema délia liberté nella rivo-luzione basta quanto s'é detto. E* necessario pero metterc in luce duc cose. Prima di tutto questa: che in Spagna, nel 1936, é ri-masto pienamentc dimostrato che si puo vivere senza governo, benché con moite difficoltâ internazionali, quando il processo rivoluzionario si compie in una sola nazione, difficoltâ che ingi-gantiscono in caso di guerra. Infatti il governo fu lasciato sussi-stere come paravento per l'estero, solo perché bisognava schiac-ciare Franco e per questo era indispensable ricevere armi e materie prime dal di fuori; pero, per molti mesi, non disimpe-gno nessuna funzrone vitale, e solo ricupero il suo prestigio sotto l'impero delle necessitâ délia guerra.

Il secondo aspetto da mettere in relievo, come insegnamento per il futuro, non é altrettanto positivo c consiste nei pericoli che présenta il monopoîismo sindacale. Questi pericoli non eb-bero tempo di divenire minacciosi, pero avevano cominciato a farsi sentire, suggerendo la convenienza di creare o sviluppare, vie i no ai sindacati, altri organismi piu adatti aile necessitâ del consumo, come le coopérative (1938). D'àltronde moite collet-tivitâ agricole, per quanto sindacalizzate, erano vere e proprie coopérative; e, finché lo Stato non le utilizzo cotae strumienti per ristabilire il suo controllo sul paese, numerose municipalité di-simpegnarono una funzionc libertaria (esempio: Puigcerda). Cosi s'andava creando, sulla base d'una rapidissima esperienza, il mondo nuovo con le sue molteplici c libéré articolazioni.

XI

LA CONTRORIVOLUZIONE

La guerra fu la sua causa; il partito comunista —cioé la politica russa— il suo veicolo principale; i vecchi politici re-pubblicani e socialisti, dietro cui «pesso manovrava il governo inglese, i suoi collai)oratori necessari; la classe média, rimessa dallo spavento, la sua massa di manovra.

Per le necesité délia guerra si creo, nei primi giorni délia lotta, in Catalogna, il Comitato centrale delle Milizie antifasci-^ ste. Era un momento in cui "neppure i partiti e le organizzazioni controllavano i loro affiliati" (Santillan. "Por qué perdimos la guerra" (1), p. 57) e la rivoluzione si sviluppava in un'atmo-sfera di fraternité popolare. Pero bisognava organizzare e rifor-nire un esercito. Il Comitato si formé con 10 rappresentanti sin-dacali (C.N.T. e U.G.T.), 5 rappresentanti dei partiti e 4 funzionari délia Généralité di Catalogna (Rabasscire, p. 94).

Questo Comitato assunse tutte le funzioni, compresa quella di mantenere le relazioni délia Catalogna con il governo centrale, mentre la Généralité si convortiva in spettatrice degli aweni-menti, limitandosi a legalizzare con i suoi timbri le misure che s'andavano prendendo. In realté taie Comitato fu un governo —imposto, ripeto, non dalla rivoluzione, ma dalla guerra—; fu un governo rivoluzionario, che esprkneva la volonté degli orga-nismi che vi erano rappresentati, e specialmcnte dei sindacati, senza arrivare ad imporre loro una dominazione oligarchica come sùccede con i governi correnti. Malgrado tutto, probabilmente, taie sarebbe stato, con il tempo, anche il suo destino, se lo Stato borghese non si fosse anticipato a questa éventualité, ottenendo, pochi mesi dopo, il suo scioglimento.

Si considéra generalmente questo scioglimento ccwne punto di partenza délia controrivoluzione; ora, é évidente che i genmi d'una restaurazione statale esistevano gié in questo tentativo di governo popolare; pero ia tolleranza reciproca ed il rispetto delle minoranze (come il P.O.U.M. (2)) impoati nel suo seno dai libertari, che ne costituivano la grande maggioranza, rappre-sentano un'opera costruttiva, un contributo nuovo, originale

—anche perché non regolato da neuauna legge scritta—, tanto quanto la socializzazione libéra. Quando questa solidarieta co-mincia a rompersi, quando —dopo esser stato sciolto in settem-bre il Comitato delle Milizie ed esser passati gli organidmi ri-spettivi a formar parte, con i propri delegati, del Consiglio délia Généralité-— fu espulso da quest'ultimo il P.O.U.AI., per impo-sizione del console2 russo, che in diceanbre subordinava a taie espulsione la consegna di armi disperatamente necessarie al man-tenimento del fronte d'Aragona, allora s'inizia, con un attacco diretto alla libertâ, l'indietreggiainento chiaro délia controrivo-luzione.

- infatti la guerra civile si sarebbe potuta vincere, si sarebbe vinta, con mezzi rivoluzionari ; non cosi la guerra internazionale, in cui la prima si converti ben presto, per rintervenlo italo-tedesco in favore dei «militari "ribelli", l'intervento russo nel canKpo "lcale", le manovre inglesi e gli intrighi del capitalisni/o mondiale in tutti e due i campi.

I! fattore totalitario russo ed il fattore democapitalista fran-co-inglese, ebbero, sulla retroguardia e sull'ésercito repubbli-cano, gli stessi effetti che sulla mancata rivoluzione europea? verso la fine dell'ultima guerra; con minor successo pero: la rivoluzione non si esauri; bisogno soffocarla. Ma la sua morte violenta fu preceduta da una lenta, insidiosa corrosione. La forza degli anarchici impedi la dittatura controrivoluzionaria, ma non il sabottaggio governativo (spagnolo e straniero) contro la rivoluzione, col pretesto délia guerra, e contro la guerra, quando si vide che, senza la perdita di quest'ultima, non si sarebbe schiacciata la rivoluzione.

Ognuna delle poche e cattive artni, cfie la Spagna ricevette dall'estero, costo oro, sangue, ed inoltre l'abbandono doloroso d'un frammento delle conquiste rivoluzionarie. Cio fa si che la controrivoluzione spagnola e perfino gli errori delle forze rivoluzionarie in Spagna, siano in realtâ una colpa collettiva del proletariato mondiale, che non seppe entrare, indipendentemente dai governi e con L'audacia che il momento richiedeva< in quella lotta decisiva per il socialismo e contro il totalitarismo, che a-vrebbe potuto risparmiare al mondo la guerra recente e le mi-nacce d'una prossima.

Le fasi di questo indietreggiamento su! terreno délia rivoluzione sono ben note: scioglimento dei Comitato catalano delle Milizie, militarizzazione di queste ultime, persecuzioni contro il P.O.U.M., rivalorizzazione délia polizia statale e progressiva invadenza délia polizia comunista, psicosi di guerra inasprita dall'angoscia di Madrid in pericolo, partecipazione délia C.N.T. al governo centrale, controrivoluzione dei maggio 1937, perdita delle autonomie regionali, specialmente catalane, a vantaggio délia burocrazia conservatrice di Madrid, govemo Negrîn, sotto-missione dell'alta burocrazia délia C.N.T. a questo governo (Santillan, pp. 144, 202-203), assalto délia brigata internazionale di Lister contro le collettivité dell'Aragona (distrutte a ferro e fuoeo un giorno, e risorte completamente il giorno dopo, con magniiica vitalité), atmosfera di polizia segreta ed assassinii... Arrivata a questo punto, la rivoluzione é ridotta a difendersi e non attacca piu.

Attraverso questo processo s'osserva una volta di piu un fenonicno intéressante, che pure non é stato ancora sufficente-mente studiato: come nella rivoluzione francese e nella russa, cosf nella spagnola, la fiammata rivoluzionaria crca, attraverso la guerra, la nazionc, e dâ origine, tra il popolo, ad una mistica patriottica, che potrâ essere messa a profitto dalle forze reazio-narie. Varrebbe la pena analizzare la formazionc di questa mistica c tenerne conto fra i pericoli che minacciano la liberté nella rivoluzione.

I fatti di maggio, presentati al mondo come una sollevazione anarchica nel momento piû rischioso délia guerra, costituirono in realté un colpo di Stato comunista-repubblicano per soffocare la rivoluzione. Il tentativo falli in parte, perché le conquiste rivoluzionarie avevano radici troppo profonde e ramificate e perché il popolo, malgrado la resa dei dirigenti tutti presi dalla responsabilité terribile délia guerra, non era. disposto a lasciar-sele strapparc. Non ostante tutto, il mesc di niaggio del 1937 chiude la fase rivoluzionaria. Il popolo abbandona l'iniziativa, e questa passa al governo, che l'utilizza per consolidare le sue posizioni e diventa potente per la controrivoluzione, conservando tutta la sua ànrpotenza sul tcrreno creativo.

Nel suo libro "Perché abbiam perso la guerra", giâ citato, Santillân documenta abbondanteroente quest'impotenza, perfino in cio che aveva rapporto con lo sforzo di guerra (pp. 103, 105, 106, 201).

Non potendo distruggere con un solo colpo la rivoluzione, la propaganda ufficiale e di partito l'ignorava nelle suc parole d'ordine, ed il governo di Madrid l'ignorava nelle disposizioni legali, malgrado la presenza, nel suo seno, di ministri délia

C.N.T.

"Solo il Governo ha potestâ di operare espropriazioni ("in-cautaciones" nel testo spagnolo) —dichiara la Direzione indu-striale del Mmistero delle Finanze nell'ottobre del 1938—; quindi, tutte quelle che sono state fatte senza il euo preventivo consenso sono nulle, e le industrie devono essere restituite ai loro antichi proprietari, salvo quando si tratti di faziosi, nel quai caso esse devono passare alla Cassa riparazioni (decreti del 17 marzo 1938)... In ncssun caso, fino ad oggi, é stato ricono-sciuto valido alcun documento o alcuna propriété che non fos-sero quelli che erano prima del 19 luglio 1936" (citato da Santillân, p. 200).

11 racconto délia controrivoluzione spagnola é stato fatto moite volte. Non é possibile ripeterlo, per quanto sia in rapporto diretto col tema di questo lavoro. Pero é indispensable csami-nare alcuni aspetti délia parte prédominante che vi ha disim-pegnato il partito comunista, anzitutto perché la prima radice (per quanto ora giâ un poco remota) dei suoi attcggiamenti successivi é il suo concetto dittatoriale délia rivoluzione, e, in secondo luogo, perché l'esconpio di quei fatti é indispensable ora, che le moltitudini d'Europa si lasciano trascinare verso lo stesso disastro dai miti in cui gli spagnoli non credettero (perché avevano in mano la realtâ), pero al cui ricatto dovettero cedere? sotto i bouibardamenti italo-tede#chi, accettando che il loro sa-crificio vestisse, davanti al mondo, il manto che i loro carnefici di retroguardia gli imponevano.

Nel libro di Rocker "Extranjeros en Espana" (1), in quello, giâ citato, di Santlllân, in quello di Krivitzky (ex-generale del-Tesercito rosso, capo dei servizi segreti russi in occidente), in lutta la stampa anarchica, comunista dissidente, socialista, dei-l'epoca, in moltissimi opuscoli dedicati a quest'argomento e, qua e lâ, nelle memorie e discorsi politici di coloro che parteciparono direttaonente alla lotta, si possono trovare i dati necessari per studiare quest'aspetto, senza dubbio il piu doloroso, délia storia spagnola dagli ultimi mesi dei 1936 fino alla vittoria di Franco.

Prima dei 18 luglio, il partito comunista era praticamente inesistente nella penisola iberica; nei f>rimi mesi dei conflitto, il governo russo cotmpf un grande sforzo per trasformarlo in una forza potente nella Spagna leale, che gli interessava, sia dal punto di vista strategico, sia dal punto di vista politico (nessun governo tanto quanto il russo si sentirebbe minacciato da una rivoluzione socialista non controllata da lui e —sopratutto— non dittatoriale).

E* per questo, e non, come afferma Rabasseire, per aumen-tare Pefficenza militare dei "leali" (2), che ai cotmunisti recla-mavano il potere per le forze conservatrici e combattevano ener-gicamente la rivoluzione. In quasi tutte le grandi cittâ, ed anche nei centri di minore importanza, gli stalinisti conducevano una lotta senza quartiere contro le organizzazioni rivoluzionarie" (Rabasseire, p. 157). Segue un'abbondante documentazione.

"L'attitudine antirivoluzionaria dei comunisti si spiega con il loro centralismo ed il loro statalismo. Vedevano con orrore

(1) Ed. Imfcn, Buenos Alree, 1938.

(J) Taie fu II preteeto che molti ffregari sincerl e, sopratutto, molti slmpatixzantl superficiali. accettarono a occhi chlust; perô lo steeso Rabaa-seire, oontraddiceridoni, dé. eeempl dl dtsaetri provocatl al fronts da brtgate comunista o dall'avlaslonë ru sa a con lo «copo di sterminaTe o far sconfi®g«re le millile îivolutlonarie (p. 1&6).

la frammentazionc dell'autoriti, come si presentava fino a mag-gio, e gli anarchici, unica forza capace di disputar loro l'acctsso al potere. Lottavano per ristabilire lo Stato, sperando che, in una repubblica giacobina, il potere sarebbe caduto nelle Ioto mani... Non si puo negare che fossero loro, con il loro V reg-gimento ed i loro commissari, a costruire lo Stato... Non fu quindi il caso che fece affluirc verso il partito comunista le classi medie. Infatti... la fisionomia del partito si fece sempre meno proletaria. In nome dei suoi nuovi aderenti, il partito comunista divento il campione délia propriété e dello Stato, il portabandicra di coloro che chiedevano un "governo che gover* ni" e interpretavano la guerra cotae una guerra nazionale" (Idem, pp. 158-59).

Quando non era possibile o conveniente ai suoi fini la con-servazione délia propriété jprivata, il partito comunista, d'accordo con i repubblicani e con molti socialisti, propugnava la naziona-lizzazione o municipalizzazione (cioé la gestione statale) contro la collettivizzazione sindacale. Ma moite volte 6i faceva esso stesso il promotore del ritorno alla gestione privata. E' il caso di Comorera (il successore comunista di Santillén, come consi-gliere d'Economia, in Catalogna), che ristabilî il comtnercio capitaliste c prcse altre misure antirivoluzionarie, dirette spe-ciahnente contro i sindacati. "Questa lotta di classe, combattuta a profitto d'una minoranza nazionale e d'una potenza straniera, é alla base délia carestia del 1938 in Catalogna... Lo Stato, le-gato aile classi medie, lotta contro la classe operaia, e l'uno e le altre sacrificano gli intcressi délia guerra suiraltare del loro intereese di classe" (Idem, p. 179). Siccome la classe operaia non cedeva, venne la provocazione del maggio 1937 a Barcel-lona, con la presenza di navi da guerra francesi e inglesi nel porto e l'affluenza preventiva di forze comuniste dal fronte ara-gonese alla capitale catalaaa (Santillén, p. 137). 11 tentativo falli nel suo scopo di distruggere le forze libertarie, pero fu il punto di pôrtenza delle vittorie délia controrivoluzione. Digni-nuisce Tautonomia catalana* l'esercito di anilizie volontaric ai trasforma in esercito nazionale regolare, il mito dei Fronte Po-polare soffoca le rivendicazioni socialiste, l'Unité sostituisce le idee ed i programmi nella propaganda, che va asson^igliando sempre piu a quella che fu piu tardi la propaganda alleatofila dcll'ultima guerra: il ncsnico non é piu l'esercito, braccio aitmato délia Chiesa, dei Capitale, dell'Autorita, cma Franco, strumento deirespansione italo-tedesca in suolo spagnolo. Bisogna difen-dere la Patria.

Principali agenti di questa trasforraazione sono i comunisti 8pagnoli, guidati da emissari russi. I conservatori repuhblicani si trovavano perfettamente a loro agio con queste parole d'or-dine; pero, da soli, henché costituissero una forza moltissimo maggiore che i comunisti al principio délia guerra, non avreb-bero mai potuto imporle.

Infatti, dal mese di luglio dcl 1936, il partito comunista era cresciuto. Non avendo che pochi aderenti tra le forze antifasciste che lottarono nei primi momenti, si cerco una massa di gregari tra gli antifascisti d'ultima ora (ce n'era in tutti i partiti, ma nel partito comunista ce n'erano pochi degli altri), che trova-rono comoda una posizione di "sinistra", che non li obbligava affatto a eambiare la propria mentalitâ conservatrice e permet-teva loro di difendere, contro la rivoluzione, i propri interessi di categoria.

L'aumento délia forza effettiva dei partito comunista si do-vette anche al malinteso che paralizzava allora in Spagna, come oggi dapertutto, il partito socialista, incapacc di scegliere netta-mente tra lo Stato e il popolo, tra la dittatura dei proletariato e la democrazia, e ammalato, di fronte al partito comunista, d'un "complesso di destra" (perdonino i psicologi il neologismo), che é qualcosa di molto vicino al conrplesso d'inférioritâ.

Non fu difficile per il partito cotmunista, aiutato dalle artni russe e dalle influenze esterne, infiltrarsi nel partito socialista e nei sindacati délia U.G.T., ch'erano controllati da quest'ul-timo, incrinarli e dividerli. Il partito socialista unificato délia Catalogna (P.S.U.C.) e la U.G.T. catalana, non erano che nomi locali del partito comunista. Affluirono alla U.G.T. in Catalogna i piccoli artigiani, i cofcnmercianti ed anche, sotto gli auspici del P.S.U.C., un sindacato padronale. In tutta la Spagna leale, tanto il partito socialista, quanto la U.G.T. si scissero. Le due tendenzc erano molto simili a quelle che —trasformate in nuovi partiti— si disputano attualmente le masse del socia-lismo italiano e délia C.G.L. e a quelle ormai chiaramente delineate nel partito socialista francese, e nella C.G.T. La linea dei partiti socialisti non era —e non é— abbastanza chiara, ab-bastanza "socialista", da sventare il subdolo attacco.

Contribui a questa repentina ed artificiale potenza dei co-munisti in Spagna anche l'ingenua astuzia dei repubblicani bor-ghesi, che li favorirono, credcndo di potcrli utilizzare come strumenti di restaurazione governativa per prescinderne piû tar-di. Tutte le veccliie volpi délia vecchia politica sono destinate a soffrire la stessa delusione di fronte aile vigorose forze tota-litarie. Ai conservatori délia Spagna leale successe cio che in quello stesso momento, ma sul tcrreno internazionalc, succedeva aU'Inghiltcrra nei suoi rapporti con la Russia; ciô che, quindici anni prima, era successo ai governanti "liberali" italiani di fronte al fascismo nascente e, nel 1933, aile grandi potenze "democra-tiche" di fronte a Hitler.

Malgrado le inïmensc forze collegate per schiacciarla dalla retroguardia, la rivoluzione soprawisse. Malgrado il sabottaggio, la Ccca c il ricatto delle necessitâ délia guerra, non fu possibile instaurare in Spagna un governo dittatoriale. Allora la Spagna fu abbandonata. 'La storia di quest'abbandono non é stata scritta ancora in modo organico e campleto; si puo dire che va dalla doppia politica del governo Negrin (chc rivendeva all'estero le armi coinprate a cosî alto prezzo e preparava aereoplani e pas-saporti per i suoi seguaci, mentre proclamava la sua volontâ di difendere la repubblica fino all'ultima goccia di sangue), fino alFaccettazione piû o meno tacita di Franco da parte dei governi democratici stranicri e —forse— fino allo stesso patto russo-tedesco, che scateno la seconda guerra mondiale e le cui remote radici nessuno ha disseppellite finora.

Cosî la rivoluzione spagnola, che aveva lottato con successo contro le prôprie tossinc e le insidie di retroguardia, mon intera e sul campo di hattaglia. La piu preziosa delle ereditâ che ci ha lasciatc é quella clamorosa smentita alla teoria interessata délia fatalité délia dittatura rivoluzionaria.

XII

OGGI E DOMANI

Le forze che minacciano oggi la rivoluzione necessaria, giâ fin dalla sua fase preparatoria, sono le stesse che si rivelarono nella Spagna dei triennio glorioso. Il nomico ostensibile é dato dalla rcazione in agguato, che non si rassegna ad aver perduto, con il crollo dei nazi-fascismo, uri haluardo potente, e sta ora ricostruendo quel medesimo haluardo dentro la struttura stessa dei paesi' vincitori. Esso consiste in un aumento dell'autorita dello Stato e delle classi che lo circondano e lo possiedono, attraverso una trasfomazione dei capitalismo in senso totalitario (capitalismo di Stato. a profitto d'una casta dominante di tecnici c funzionari). Con queste forze reazionarie in processo di tra-sformazione é strettamente legato il totalitarisme permanente delle Chiesc e specialmente délia Chiesa cattolica.

La lotta contro questo nemico non puo essere che rivoluzionaria, nel senso che non puo eonsistere in una difesa dei mondo che muore, ma deve rispondcrc aH'offensiva totalitaria con la creazione (dove e come si puoï degli organi dei socialismo li-bero; anche questo ci dimostra la Spagna dei 1936, con la passivité dei suo governo di fronte al colpo di Stato fasciste e con la magnifica insurrezione delle sue masse popolari in pieno fer-mento creativo.

. L'altro nemico é piu insidioso e meno cosciente délia sua funzione nell'attuale gioco delle forze. Esso é dato dalla fatale

degenerazione totaîitaria del comunismo e dalle egejnoniche correnti autoritarie all'intemo del socialiemo organizzato. Queste ultime si vanno polarizzando da una parte verso la desmocrazia . borghese (che é —ripeto— seimpre meno "dcmocratica" e non piû affatto libérale e si vede trascinata dalla crisi econoanica verso un capitalismo di Stato ed una tecnocrazia sboccanti in quel totalitarismo che si dice di voler evitare), dall'altra verso il partito comiunista, ohe non ha piû niente di socialista e non c neppure un partito, ma un'organizzazione —e, in parte, una polizia segreta- - al servizio d'un governo in cui la dittatura ha assassinato i germi socialisti délia rivoluzione d'ottobre, per tra-sformarli nella varietâ orientale di quel burocratico capitalisme di Stato, con cui da per tutto il privilegio si difende contro l'uo-mo in marcia verso la conquista délia sua dignita.

Cosi, nella divisione del mondo in due blocchi, preparatoria délia prossima guerra, i socialisti che credono nello Stato si se-parano e vanno in parte verso occidentc e in parte verso oriente, compicndo nell'un caso e nell'altro la stessa funzione di colla-borazione controrivoluzionaria. Si puo anzi parlare, come pejr il fascismo nel 1922, di controrivoluzione preventiva. Tanto i primi, quanto i secondi han cessato (per quanto non sempre coscientemente) di lottare per il socialismo e costituirebbero un pericoloso ncmico di rctroguardia —come in Spagna— per un'e-ventuale rivoluzione socialista. Piû i secondi, evidentemente che i primi, perché il totalitarismo russo, giâ in atto, é assai piû vigoroso e monolitico che il capitalismo occidentale, travagliato ma non dominato ancora dalla "rivoluzione dei direttori", e pieno di fessure e contraddizioni, malgrado la sua potenza eco-nomica.

E non solo molti socialisti accecati dal mito rueso gravitano verso il blocco orientale; altri movimenti che si considerano di sinistra, ma non hanno una idea ben definita délia loro strada e délia loro funzione, li seguono, ossessionati dalla paura di fa-vorire, per azione o per omissione, le forze di deetra. Le stesse parole d'ordine che risuonavano nel 1938 in Spagna, ed han

riempito l'America durante la guerra, tengono il campo ora in Francia (dove l'occupazione tedesca ha cancellate tante cose e tanti ricordi) e in Italia, terreno vergine dal 1924: le stessc Unioni di Donne senza diffcrenze politichc o religiose, gli stessi Fronti délia gioventû ed altri simili awiamenti aU'uniformité dei pensiero e al partito unico, lo stesso avvicinamento aile classi mcdie in cio che hanno di piu conservatore, lo stesso orrore per le idee e la discussione; domani, probabilmente, lo stesso tcrrore organizzato contro le manifestazioni di socialismo libero.

Riassumendo: il nostro problema (che é anche il nostro dovere specifico), in seno ai movimenti d'un prossimo domani, che, qualunque sia il nostro numéro, non saranno certamente libertari al cento per cento —benché il senso comune delle masse europee piu o meno vagamente socialiste possa darc parecchie sorprese ai loro pastori ed ai loro nemici— é quello di poter darvi la misura délia nostra forza utilizzandola efficentemente e di difendere, durante il loro sviluppo, la libertâ per noi e per gli altrL Came? C'é una risposta semlplice e generale: essendo anarchici. Un giornale ultrareazionario italiano (citato dallS4A-dunata dei Refrattari" di New York) dava l'anno scorso dell'a-narchico una definizione elementare ed accettabile: "anarchico é chi sa comportarsi degnamente verso se stesso e verso gli altri, senza eoereizione d'autorité o di legge". Questa definizione di chi ci vede distrattamente dal di fuori (e forse appunto per questo coglie il carattere fondamentale), puo gia essere una guida sicura. Ma l'esempio spagnolo, nei suoi aspetti positivi e negativi, ci fornisce i particolari pratici délia strada'da seguire per cercar di difendere nella rivoluzione la libertâ, e per salvare la rivoluzione stessa evitando che lo Stato la soffochi.

Quest'espericnza recente insegna agli anarchici come a tutti i socialisti liberi e non reggimentati, cli'essi devono:

I. Esser sinceri ed esigere sincérité, combattendo contro la superficialité e l'equivoco dei programmi falsamente unitari.

II. Non voler imporsi come forza, neppure di maggioran-za, cercando —questo 31— in talc ultimo caso, di occupare le posizioni-chi&ve delTeconomia c, in genere, del lavoro creativo, e facendo il possibilc affinché, con loro, le occupino tutte le forze produttrici e non gli uotnani politici ed i burocrati gover-nativi. Solo chi prescinde dalla conquista del potere é capace d'imporre la tolleranza ed il rispetto degli organismi creati auto-nomamente alla base.

III. Studiare e cercare che gli altri studino. Seznfcra pédante e molto da "maestro di scuola'' la raccomandazione. Ma Tignoranza dei governati sempre é servita di pretesto all'oppres-sione dei governi. Quanto piû competcnti siano gli opérai, tanto piû facile sarâ per loro l'impedire che altri esercitino su di loro un dominio che, partendo dalla direzione tecnica, si trasformi in unV.gqmonia politica e di classe; quanto piû colti siano, in généré, gli uomini, tanto raeno si lasceran trascinare dalPeloquenza dei sofisti che aspirano alla conquista del potere. La conoscenza é giâ, di per se stessa, libertâ. I rivoluzionari spagnoli del 1936 lo compresero: una delle loro maggiori preoccupazioni fu quella d'organizzare l'insegnamento e di pubblicare libri ed opuscoli; uno dei sintomi piû significativi del carattere libertario délia rivoluzione fu il desiderio ansioso di lettura che invase le masse in cittâ, in camtpagna, nelle trincee. Non fu la rivoluzione degli affamati, né degli incolti (per quanto a volte fu quella degli anal-fabeti, come in certe zone dcllWragona). La rivoluzione degli affamati é santa; ma, se ha le sue radici solo nella miseria, ge-neralmente s'esaurisce nella dittatura e si trasforma in controrivoluzione. Bisogna illuminare la famé e superarla.

IV. Cercar di spingere avanti la rivoluzione piû che sia possibilc in senso libertario, nel suo momento piû fecondo, che é il momento insurrezionale. Dopo c'é generalmente un riflueso, durante il quale bisogna difendere la libertâ conquistata. Questa difesa si fa difficilissima in caso di guerra; ed é un caso cosi frequente che si é arrivati a considerarlo quasi come una fatalitâ; la rivoluzione inglese del sec. XVII,- la francese del sec. XVIII, la russa e la spagnola di questo secolo, la ribellione anti-nazista europea del 1943-45, tutte son morte o si sono esàurite nella guerra. Le forze d'avanguardia da sole non bastano ad evitare che la sollevazione degli oppres«i. contro gli oppressori degeneri in un conflitto fra Stati. Si puo dire pero che l'audacia rivoluzionaria fa diminftire le probabilité di guerra. Durante la lotta spagnola, la sicurezza dei governi italiano e tedesco andô aumentando a misura che la bandiera slavata dei Fronte Popolare si sostitui, al fronte c nelle retroguardie délia Spagna leale, a quella rossa e nera délia rivoluzione, all'omfcra délia quale s'erano cominciate a prospettare soluzioni nuove ed ugualitarie per il problema dei Marocco e si era cominciato a parlare ai popoli délia Germania e dell'Italia il linguaggio délia fraternité futura. E siccome, malgrado tutto, finché ci fu un angolo di Spagna liberb da truppe franchiste, in quell'angolo continué à respirare la rivoluzione, la guerra mondiale non scoppio fino al momento in cui le ultime braci delTinccndio furono violente-mente smorzate. Nel 1919, la guerra délia coalizione degli Stati d'Europa contro la Russia dei Soviets fu impedita dai popoli; e se ora la Russia fosse veramente rivoluzionaria e non impe-rialieta, riessun governo dei mondo oserebbe sostcnerc contro di lei un cobflitto aranato...

V. Non voler il trionfo ad ogni costo, o, per meglio dire, non metterlo dove non é. 11 nostro trionfo sta negli organismi liberi e creativi e nelle coscienze; non nel potere. Moite volte non avra il nostro nome; ne potré prenderc tanti nei mille par-ticolari délia vita giornaliera, ch'é poi quella che conta: col-lettivité, consigli di fabbrica, coopérative, atenei, comuni liberi, federazioni di organizzazioni autonome...; se c'é solidarieté e non c'é autorité coattiva, ognuna di queste realta saré una vittoria libertaria.

VI. Ricordare che, per governare, la forza materiale basta (quando sia adoperata totalitariamente) ; per essere indipenden-ti, ci vuole anche la forza'morale. Per la conquista dei potere, per qufcnto cercassimo d'imitare chi ci opprime o vuole arrivare ad opprimerci, saremmo sempre i piu deboli; per la costruzione, modesta ma duratura, delle fondamenta d'una société libéra, po-tremo, se veramente lo vogliamo, essere i piu forti.

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BILÀNCIO AMM1NISTRATIVO

Edizioni «Studi Sociali» — N. 1 ENTRAXE

Montevideo — A. Baraanti ....................................................................................$ 1 00

S. Paulo — Edgrard ...............................................................................................» 18.67

Newark — O. Meravifflia, doll. a.85,. per chèque,, al cambio ................» 15.56

Philadelphia — Circolo di cultura libertaria, a mezzo F., dollar! 20,

per chèque, al cambio ....................................................................................» 34.48

Newark — O. Mer&vlglla, doll. 39, per chèque, al cambio ......... » 67 2S

Bronx (N. Y.) — R. T. dollari 10, al cambio ........................................» 17.30

Salto (Uruguay) — Tettamanti ........................................................................» 3.70

Worcester (Mass.) — I. C. doll. 1, S. di R. doll. 1, totale doll. 2, a

mezzo 1. C., al cambio ....................................................................................» 3.42

Tornngton (Conn.) — L. V. a mezzo N., doll. 1, al cambio ................» 1.71

Brooklyn — Circolo Volontâ, ricavato festa 24 novembre (altret-tanto a "Era Nova" di Falermo), doll. 42. a mezzo G., per

chèque, al cambio ......................................................................................» 72 43

Newark — O. Meraviplia, doll. 56, per chèque, al cambio ................» 97.06

Arizona — C. M., a mezzo M. R., doll. 5, al cambio ................................» 8 90

Massachusset — M. R............................................................................................» 100.00

Cary (Indiana) — I>. S. O-, doll. 2, al cambio ........................................» 3.66

Totale | 445.21

Rimanenza In cassa, ultimo numéro di ,4S>tudi Sociali" » 104.57

Totale entrate $ 549.78

USCITE

Differenza in piû per la spedizione in Italia del n. 5 dl "Studl

Soclali" ..............................................................................................................» 26.00

Spese di corrlspondenza ....................................................» 25.00

Copia a macchina di manoscrittl ....................................................................» 16.00

Rlance di capodanno alla posta ........................................................................» 7.50

Oomposizione, earta c stampà di "La libertâ nelle crisi rivoluzio-

narie" ....................................................................................................................» 274.56

Abbonamento caaella postale fino a dlcembre del 1947 ......................» 12.00

Spedizione dl manoscritti in Italia e nel Meselco per via aerea .... » 17 45

Totale * 378.51

Nota — Non potendo ancora calcolare a quanto ammonterâ la spesa délia apedizlone, la somma relativa fig-urerA tra lo usclte del proaaimo bilancio.

RIMANENZA IN CASSA $ 171.27

.v

'4

1 la guerra apagnola flnteae).

2  Ed. Imân, Buenos Aires, 1940.

(8) Partito operaiô di unlficazlone mandata. Il partito comunlsta era rluscito a farlo catalogare daU'oplnlone pubbllca come trotzklsta; In realtâ non apparten«va alla IV Internationale, 1 cul organl l'accusavano anzi vio-lentemente dl "centriamo", ma era piuttosto vlncoJato ai laborlet! indipen-denti fnglesi, al massimallBtl Itallanl, al eoclallati rivoluzionarl tedeachl.