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GIGI DAMIANI

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MIA BELLA ANARCHIA

1953

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GIGI DAMIANI

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MIA BELLA ANARCHIA

1953

EJixioni "L'ÀNTISTATOM -

PUBBUCAZIONI DEL GRUPPO EDITORE « L'ANTISTATO » CESENA (FORLI')

N. 1

IL PENSIERO DI GALLEANI Lire 40

N. 2

UN TRENTENNIO DI ATTIVITA' ANARCHICA

(1914-1945) lire 400

Per ordinazioni rivolgersi a SAMA UMBERTO • Casella Po s taie n. 40 . CESENA (Forti)

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G/z anarchici — <? noto — sono dei sentimentali. La loro aspirazione ad una società nella quale tutti gli uomini si amino reciprocamentc, ad una società nella quale non vi siano nè disuguaglianze, nè ingiustizie, nè miserie, è dettata da un profondo sentimento di amore che erompe spontaneo dai loro cuori.

Gli anarchici sono dei sentimentali che ragionano. Es si hanno infatti scoperto le cause dei mali sociali. Sono dei sentimentali che lottano ed essi lottano senza tregua, vigorosamente, per la distruzione delle cause da cui derivano le miserie, le ingiustizie, le disuguaglianze.

Gli anarchici hanno riconosciuto che la causa principale dei mali sociali è rappresentata dal principio di autorità. Essi sono percio implacabïli nemici di ogni forma di autorità e vedono nell'Anarchia il simbolo délia libertà.

Gigi Damiani eleva in queste pagine un inno vera-mente inspirato, un inno che parte dal cuore, alla SUA BELLA ANARCHIA.

Lo scritto e soffuso di un sentimentalismo che con-quide — vorremmo dire che commuove — espresso nello stile cosï caratteristico, anche dal punto di vista ietterario, del nostro amato compagno — scrittore dei più noti e dei più apprezzati nel campo anarchico — che con tanto entusiasmo e tanta fede ha sempre lot-tato per l'ANARCHÏA.

La fede e l'entusiasmo non si sono mat affievoliti, nelVanimo e nel pensiero di Gigi Damiani, durante la sua lunga e travagliata vita, integralmente dedicata a difendere e ad escdtare l'ideale anarchico.

Gigi Damiani è ancora intiamorato délia sua bella Anarchia, corne lo fu negli anni giovanili, e sente ancora — corne al tempo délia gioventù — tutto il fa-s ci no che promana dall'ideale sublime.

Di questo ideale sublime — di questa SUA BELLA ANARCHIA — Gigi Damiani sa darci, nelle brevi pagine di questo opuscolo, i lineamenti bellissimi, in una sintesi particolarmente efficace.

La lettura di queste paginette eleva lo spirito e lo riempie d'ottimismo verso l'avvenire, verso la realiz-zazione delle nostre aspirazioni, verso la realizzazione delVANARCHlA.

GLl EDITORI

PREMESSA

Certamente il potere di combinare frammenti di vite vissute con frammenti di vite desiderate, è quello che permette all'uomo d'immaginare che ha già vissute altre vite, naturalmente tali e quali le desiderava. Ben di sicuro leggende, tradizioni, frammenti di sto ria sono all'origine di queste sue fantasticherie, ma vi prédomina la volontà di potere vivere intégra e piena la propria vita, di espandervi la propria umanità. E' un grave errore credere ch'essa cominci coi profeti, coi giudici, coi sacerdoti e con le leggi che si vogliono dare all'uomo e àll'universo in cui questo si muove. L'uomo era avanti che venissero scolpite le tavole délia legge, le precedeva e le violava già coi suoi desi-deri, con le sue passioni. Egli si era fatta una vita avanti che i profeti gliene dettassero il codice, e quella era la sua vera vita.

Tutto ciô ch'è avvenuto poi ne ha falsato i termini, ne ha spostato i desideri, avvelenato i godimenti. La morale che si afïaticava ad assicurargli il possesso di una pecora, d'una collina, di una donna, lo faceva il proprietario non solo di una cosa, ma anche di un altro csscre: gli dava invcstitura di padronc e capacité di tiranno. Cosi lentamente perdeva la coscienza, la conoscenza di se stesso; ccssava di csscre lassociato di un altro uomo, l'amante di una donna; non sapeva più muovcrsi liberamente; ad ogni suo atto presiedeva una regola, una norma; cessava d'essere umano per divenire artificialc, innaturalc. Ora non c'c da mera-vigliarsi se nel suo subcosciente riaffiorano i sentiment! dolci c buoni di quando era lui, sccondo la propria natura. E noi dobbiamo alla rifioritura di quello che fu il suo primo passato se ci capita di vederlo solle-varsi contro quello che divenne il suo présente, sospi-rare dei ritorni allepoca in cui la sua natura poteva espandersi al di là dei chiuso dei precetti morali, rc-spirare a pieni polmoni, mangiare a sazietà, amare con tutti i suoi sensi. Forse TAnarchismo nascc dal-l'acuto desiderio di vivere la già vissuta vita nella so-lidarietà tra tutti gli csscri, quando ancora Tuomo non aveva imparato ad aggiogare un bove o un cavallo per prepararsi ad aggiogare un altro uomo. Cosi e perciô l'Anarchismo non puô che restare umano e non puô vedere davanti a se altro che uomini; altro che una estensione délia specie, e non nemici di classe. Le classi nascono poi: le partorisce la legge, la religione, l'or-dine sociale che si stabilisée. Dalle libertà non potevano nascere, perche la libertà dava a tutti spazio, pane ed

amore; se per rimuovere una grossa pietra o un tronco di albero occorreva che altre braccia si stendesscro, bastava chiederne il soccorso. L'uomo fatto dalla na-tura era mite e buono, non aveva ancora gustato dei frutto dei bene e dei maie: i due si equivalevano, per la sensazione che gli davano. Bisognô che un dio giar-diniere sbucasse fuori dagli abissi dei tempo per proi-birgli la conoscenza, per maledirlo nell'ignoranza. Ma lo spirito anarchico che ne aveva guidato i primi passi non mori: ha sete di libertà e in essa e per essa lo ve-dremo rivivere.

CAPITOLO I.

Scrivendo questc pagine, rai propongo di portare alla vostra conosccnza, quella chc io chiamo la mia bella Anarchia. Certamente essa puô essere anche vostra; nessuno vi impcdiscc di amarla c di farvi amare da essa. Chiedo soltanto che non si tenti di truccarne la fîsionomia, di picgarla a commerci illeciti, a pra-tiche oscene. La sua purità rai sta a cuore e non so immaginarla che ricca di sentimenti, incline al sacri-ficio, non sdegnosa di eroismi, perô sempre umana, sempre dalla parte dei deboli e degli opprcssi. Non le chiedo virtuosità dogmatiche, non fanatismi cru-deli. Se voi la desiderate corne io la desidero, qua la mano. Siamone la guardia dei corpo c se fa d'uopo, i martiri e i confessori. Raduniamo intorno a lei i con-sensi di quanti vogliono escludere la sofferenza nella vita, l'insincerità nei nostri rapporti.

Si tratta di purificarci nel suo nome d'ogni pregiu-dizio, di rinunciare a qualsiasi scrvitù. La mia bella Anarchia è simbolo di libertà, libertà dello spirito c

libertà dei corpi. Che ognuno sappia cio che vuole, ma che non faccia ciô che vogliono gli altri; non si presti a costruire scompartimenti stagni; lasci lo spazio che gli occorre ad ognuno; si rifiuti a firmare, ad ac-cettare sillabi; non innalzi confini per Pumanità in mezzo alla quale vive; non rifiuti la sua solidarietà a chiunque sbagli nella sventura; sia tollerante e non settario. Il suo credo sia fatto di realizzazioni e di queste, giudichi non il preconcetto, lapriorismo, ma resperienza.

La mia bella Anarchia non chiede altro da lui.

CAPITOLO II.

Io trovai per la prima volta il nome di Anarchia in un foglio stampato incollato in un quadro murale: si trattava di un giornale il quale, con una lunga cor-rispondenza dalla Francia, narrava di fatti paurosi e tenebrosi. Vi era anche la fotografia di un uomo dai baffi spioventi il di cui prognatismo riportava alla mente un francese degli antichi tempi. Quest'uomo aveva ucciso un eremita, fatto esplodere dclle bombe e frugato nelle tombe. Era un criminale dunque. I giudici incrudelivano su di lui con giudizi severi tanto più che lo accusavano di essere anarchico. Perché il giornale parlava anche di anarchia.

Nella bottega di mio padre non si compravano giornali, salvo II Messaggero quando vi era un fatto di sangue assai strepitoso; ma io tutte le volte che potevo assentarmi dalla bottega, correvo a leggere i giornali incollati ai mûri e mi attardavo intorno aile edicole, mosso da una grande curiosità di conoscere quel che accadeva nel mondo. Naturalmente ne tiravo conciusioni spesso avventate, ma non semprc riuscivo a farmi un'idea chiara delle cose. Cosî non mi fu facile relazionare l'Anarchia con queirassassinio. Non si trattava di una donna che avesse istigato un uomo ad uccidere perché le regalasse la refurtiva. Coloro che ne parlavano e la volevano mandataria di quei delitti, malgrado loro ne parlavano come un'idea di giustizia.

Riflettendo su queste contraddizioni, la mia mente non riusciva ad orizzontarsi. Se cssa reclamava giustizia, evidentemente ci si trovava di fronte ad un in-sieme di ingiustizie ed all'assassino si addiceva meglio l'aggettivo di giustiziere; ma non era un giudice, non era un uomo di legge. Era un uomo qualunque. Chi poi lo autorizzava a giudicare? Le mie idee erano tut-t'altro che chiarc, ma quella Anarchia chiamata re-sponsabile dei sangue versato da quell'uomo, dei furti da lui commessi, si era fissa nel mio capo e non ne uscï più.

Ed anche oggi affermo che devo a queiruomo ed ai suôi delitti e a tutto quello che se ne scrisse e disse, se l'Anarchia è rimasta fissa nel mio cervello; se vi ha trovato sempre un posto maggiore; se l'ho vista sotto un aspetto ben diverso, da quello che i giornali dei momento volevano che fosse.

Ed è per lei, perché anch'essa fu nel pensiero di Ravachol, che io non ho mai dimenticato costui, e perché, ad onta dei suoi delitti, l'ho considerato un uomo che si illudeva di dare al delitto una funzione riparatrice ed educatrice. Dopo che fu giustiziato si continué a parlare di lui e l'Anarchia veniva richia-mata in ballo ogni volta che altri uomini afïrontavano l'ergastolo e il patibolo, gridando di aver reso giustizia in suo nome. Ma la responsabilità che le si voleva at-tribuire, investita dalla critica, dal ragionamento, dal confronto dei fatti, piano piano si affievoliva e provo-cava apologie impensate.

La gente dei basso, la gente angariata, coloro che si sentivano schiacciati da una somma di ingiustizie, guardavano a Lei come ad una ispiratrice di santé ri-torsioni. La si vedeva, anche se di fatto non cera, do-vunque un usurpatore, un tiranno sfogasse la sua mal-versità contro gli uomini, a sorreggere il pugno di un vendicatore. Ed è per le giustizie e le vendette che le si attribuivano che la gente dei basso, i magri, i di-seredati, i perseguitati, l'amavano; mentre coloro che dominavano l'odiavano ed attribuivano quel che non era altro che il risultato delle loro ribalderie, alla sua propaganda, alla sua influenza.

Ma arrivé il momento in cui uomini di intelletto vollero veder chiaro in questo processo che sommaria-mente veniva, con pretese di storicismo, mosso a que-st'idea alla quale guardava con fiducia tutta la gente oppressa e derubata. Era in fondo il processo all'in-giustizia e all'inconsideratezza delle quali Tumanità s'era fatta legge e dottrina. Tutto lo scibile umano era chiamato a partecipare a questo processo, a portarvi il suo grano di chiaroveggcnza.

Io rividi allora l'Anarchia ben diversa da quella che fino allora mi era apparsa. L'idea di giustizia non aveva più vendette da proporre, ma pretendeva fare délia giustizia una cosa viva, praticabile, bastante a se stessa. Non si proponeva più di mettere uomini contro uomini, ma di renderli solidali fra di essi su di un piano di equità.

Allora io amai l'Anarchia come una cosa nobile e pura.

CAPITOLO III.

Qualcuno mi ha scritto insistcndo perché io scriva le mie memorie. Mi si è detto: hai vissuto molti anni in località e in ambienti diversi; hai avvicinate moite persone note; assistito a molti fatti d'eccezione; cono-sciute condizioni di vita non sempre le stesse. Avrai dunque molto da raccontare. Potrai darci dunque una storia intéressante dcl Movimento. Ho detto io di no. I fatti accaduti nel tempo mio sono noti, si puô dire istoriati; le persone d'eccezione da me frequentate erano tali in quanto viste da lontano, viste da vicino si rimpicciolivano al comun denominatore dei tipo umano. Le memorie per me hanno valore non per quello che raccontano, ma per quello che succédé loro di ricapitolare come travaglio di pensiero.

Dovendo parlare di me, dirô che non ho cono-sciuto mia madré, tanto che ho la sensazione di non averla avuta. Ora la madré è quella che dà l'idea délia famiglia, la riempie, la consolida, ne mantiene vivi i sentimenti. Chi non puô ricordarla, non ricorda l'evo-luzione dell'anima propria. Ricorda solo che è entrato nel mondo abbandonato a se stcsso, che è partito allo sbaraglio, ed io sono partito allo sbaraglio per luoghi distanti e diversi. Avrei potuto finir maie se non avessi trovato dovunque la famiglia anarchica. Non era sempre una famiglia di eletti, ma era una famiglia umana. Non ti considerava un estraneo, ma un proprio mem-bro. Ti dava anche l'illusione di un affetto, diciamo pure, di un amore. Dovunque tu andassi la ritrovavi, sia pure con facce nuove, sia pure con abitudini nuove. Ho avuto delle vecchictte che mi hanno fatto da madri; delle ragazze che mi hanno curato le fcrite, che hanno camminato nella vita al mio fianco. Pur cambiando d'idioma si parlava lo stesso linguaggio, si cantavano le stesse canzoni, si rizzavano le stessc bar-ricate. Accadeva di csscre dispersi, di non ritrovare più i propri amici, di ritrovarsi in mezzo a sconosciuti, ma di riconoscere subito questi come fratelli. La famiglia si allargava, si estendeva, si ritrovava dovunque. Sen-tivi sempre la presenza di Madré Anarchia. Anni di miseria, anni di lotta, ma veri anni di vita ai quali dovevi il conoscere la vita, l'apprendere la vita e di scoprire che la legge délia solidarietà umana vi è sempre présente assai più di quella divina, assai più di quella alla quale la legge obbliga gli uomini. Mentre si avvolumava il bagaglio delle relazioni, delle ami-cizie, degli affetti, s'irrobustiva anche il bagaglio ideale.

L'Anarchia diventava sempre più che una sem-plice idea di giustizia per i miseri. L'insofferenza non si rivoltava soltanto al fatto economico. Il concetto di autorità, di potere veniva a sua volta chiamato in giu-dizio come complice necessario dell'usurpazione e dello sfruttamento; e dall'autorità terrena si risaliva a quella divina. Ne prese corpo tutta una dottrina per la quale Puomo era considerato per l'estrinsecarsi délia sua per-sonalità e non per lappartenenza a un dato ceto. Il problema dei pane fu posto sullo stesso piano di quello délia libertà. La volontarietà sostituiva la legge. Lo stesso vecchio Iddio vedeva i suoi vecchi privilegi di-scussi e negati. Una grande, immensa, profonda rivo-luzionc si annunziava e questa prendeva il nome di Anarchia.

Si spiega perche tutto il vecchio mondo ne fosse terrorizzato, perche lAnarchismo divenisse eroico, non solo per necessità di vita, ma per obbligo di difesa.

C A PITOLO IV.

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Pur passando da un continente all'altro, da una na-zione allaltra, ci siamo trovati frammisti aile stesse folle di disoccupati, di affamati, di scioperanti; aflfron-tati da sbirri che seppur cambiavano di divisa, erano identici nella loro ferocità di cani da guardia. C'è ca-pitato pure di ritrovarci ad occupare le piazze in cla-morose proteste di popolo contro abusi dei potere, per chiedere riparazioni ad oltraggiose ingiustizie al senso umano, ad esigere un minimo di rispetto per la libertà dell'uomo ed anche per reclamare quella di pensiero. Siamo stati travolti da cariche di cavalleria, foracchiati nelle nostre carni da colpi di moschetto, lardellati da sciabolate e trascinati dagli ospedali aile prigioni e portati coi polsi stretti da ferri davanti alla buffonesca maestà délia legge. La quale s'inferociva non per le ingiustizie contro le quali ci eravamo sollevati, ma perché avevamo marciato dietro la bandiera nera del-rAnarchia. E più ancora s'imbestialiva perche ce ne sentivamo orgogliosi. Furono rari i paesi che ci per-misero di sostare in essi, di mettervi su famiglia. Fu-rono molti queili che ci ricacciarono aile frontiere, e che ci braccarono corne appestati. Ma dovunque tro-vammo uomini e donne che ci offrirono ricovero e che divisero con le nostre famiglie di nomadi, il loro pane. Come noi essi erano degli anarchici e sentivano l'imperativo di solidarietà che veniva dalla comunanza ideale. Alla nostra perseveranza nella lotta, alla nostra costanza nella affermazione dei nostri principii, vista Timpossibilità di cambiarci ed anche nella speranza di ammansirci — perché v'erano queili di noi che non soffrivano rassegnati persecuzioni ed ofîese, ma rende-vano alla loro volta impossibile la vita ai persecutori e agli oppressori — si fini col lasciarci libertà di re-spirare e facoltà di vivere con il resto dei genere umano. Ma le nuove condizioni di vita non cambia-rono Fanima nostra. LAnarchia era entrata nel nostro sangue e vi rimaneva; continuava a scaldarlo; dei nostro pensiero continuava ad essere la minerva ispira-trice e dei nostro cuore il primo grande amore sicuro di restarne l'ultimo.

Certamente il clima di tolleranza nel quale d'ora innanzi eravamo invitati a muoverci non lo si doveva soltanto alla nostra resistenza e alla nostra tenacia, ma a cause più vaste e profonde. Con la caduta degli an-tichi regimi dispotici, con Testendersi dei libero esame maturava una mentalità non favorevole alla fede cieca nei dogmatismi e negli apriorismi. Anche sul terreno economico, con la scomparsa dei regime feudale e col sorgere deU'industrialismo s'erano fatta strada nuove ardite indagini e critiche e tirate nuove conclusioni che battevano in breccia la « santa sanctorum » dell'asso-lutismo padronale. Tutto si muoveva e sommoveva. Il liberalismo, che voleva fare dei conservatorismo pro-gressista, dalla logica dei fatti e delle deduzioni veniva trascinato a conclusioni rivoluzionarie. Nello stesso mondo fîlosofico, data la rottura che s'era manifestata nella compagine dogmatica cristiana, lo spirito critico liberatosi dalle paure teologiche passava allo staccio i dogmi che mettevano Tautoritarismo divino al prin-cipio d ogni cosa. In tutto questo fervore di rinascita dell'antica libertà spirituale dell'ctà pagana, dal cristia-nesimo avvilita e respinta, larditezza délia critica anar-chica trovava il suo posto d'elezione. E muoveva alla conquista di posizioni avanzate dalle quali la coscienza e la conoscenza délia volontà umana poteva parlare in proprio nome. Anche coloro che respingevano TAnar-chismo, che secondo essi s'era troppo compromesso ab-bandonandosi ad un rivoluzionarismo ch era rivolta di plebi, finivano collaccettarne deduzioni e conclusioni. Primo fra tutti il rispetto che si deve alla personalità umana se si vuole che questa produca una società di uomini liberi ed uguali. Perciô da allora in poi, TAnar-chismo ebbe le su e- cattedre, le sue biblioteche, i suoi giornali e le sue riviste, e s'inseri nella vita morale dei popoli e fallirono tutti i tentativi per ricacciarla al

bando, per farne una dottrina di reietti, di fuori-legge.

Egli non si trovô più isolato nel combattere per la rivendicazione di riforme politiche sociali, perô man-tenne sempre una fisionomia propria che lo rendeva inconfondibile con tutte le altre scuole socialiste, anche quando queste ne parlavano un pressochè identico lin-guaggio. Ciô che lo distingueva era la sua avversione ad ogni rigurgito dell'antico paternalismo, ad ogni reincarnazione dello spirito autoritario che per lunghi secoli aveva fatto legge universale délia soggezione del-luomo airuomo e délia mentalità umana aile verità uniche e per legge incontrovertibili.

Per l'Anarchismo l'individuo ritornava padrone di se stesso, un essere pensante che elaborava e discuteva il proprio modo di pensare c di giudicare e non più il semplice aggregato di una collettività governata da identiche parole d'ordine e che non poteva guardare al di là dei tracciatigli orizzonti.

CAPITOLO V.

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Noi abbiamo rcspinto ferocemente tutti i tentativi che si son ripetuti per falsare le origini di questa nostra Anarchia, nata dal sentimento e dal ragionamento, perché noi Tamiamo come ci apparve, come la ve-demmo nei nostri anni giovani, come la videro queili che per primi si erano consacrati ad essa. Per lei abbiamo sofïerto e lottato. Non pochi dei nôstri sono morti. Noi siamo gelosi di essa come se si trattasse délia donna amata; noi continuiamo a vederla oggi, come la vedemmo ieri, e non possiamo immaginar-cela diversamente perché è falso che con lo scorrere degli anni e delle avventure, sia diventata diversa, an-chilosata, sfiduciata. Noi ce la vediamo davanti sem-pre giovane ed antica; non chiusa al progresso dei tempi e délia scienza, ma sempre refrattaria a conce-dersi a chi è sacerdote, servo e profittatore di una qual-sivoglia illazione dei principio di autorità; sempre sde-gnosamente riluttante a lasciarsi accodare ad altre im-prese che non sono né possono essere, né suc, né nostre, perché ignorano l'etica délia libertà, di quella libertà integrale che per l'Anarchia e per noi resta il concetto fondamentale al quale deve attenersi sia l'uomo isolato che la collettività, perché possano dar vita ad un nuovo ordine sociale nel quale il parlare di fraternità non ri-sulti mistificazione, e di giustizia, una beffa atroce.

Noi ci teniamo dunque a ripresentarla nella sua prisca interezza ed oggi come ieri, la sentiamo gridare all'uomo: non farti né servo, né padrone dei tuo pros-simo. Non inceppare il tuo pensiero in verità uniche ed assolute; non abbrutire il tuo animo con la fede nelle verità rivelate; la verità è avanti a te, attorno a te, e in te stesso: non dietro le tue spalle, arrancando sulla mula zoppa dei tradizionalismo. Lo stesso si dica délia tua libertà che mai potrai ottenere come regalo dallo Stato c dalla Chiesa. Essa è cosa tua e ne devi conquistare il godimento, e quando raggiunto, saperlo difendere. Il tuo pane quotidiano non c'é dio che possa dartelo, ma solo la solidarietà nella fatica, tua e dei tuoi compagni, e per il pane, per un quarto di razionc in più, non vendere mai te stesso: né il tuo braccio, nè la tua mente!

Noi, questo, lo sentiamo ripetere oggi come ieri. E ci sembrano parole di un vangelo umano, che, avrebbe detto Bovio, tra la fatica ed il premio, non pone la morte.

Ora c'é chi dice: tutto questo è bello, ma non s'intravvede quando il verbo diverrà carne, cioè quando questa vostra Anarchia realizzerà se stessa. A quante trasformazioni sociali dovremo prima assistere? Quante violenze dovranno imporla? Ora, ascoltate bene: l'Anarchia non vuole e non puô imporre se stessa. La violenza rivoluzionaria che le si attribuisce come unico mezzo di penetrazione non ha scopi e fini d'imposi-zione. La rivoluzione in se stessa c autoritaria; ma la rivolta, l'insurrezione, l'insubordinazione costante sono mezzi di difesa, di eliminazione degli ostacoli, di con-quista délia libertà di rcspiro, di potersi esprimere, di tentare esperienze. Con essi l'Anarchia non s'impone ma si propone. Essa non verrà per un colpo di mano bene organizzato, ma diverrà. Anzi diviene. Diviene cioè in ciascuno di noi. Modificando la mentalità dei suoi aderenti, essa modifica l'ambiente esterno.' Predi-spone all'accettazione dei suoi postulati. Plasma uomini ed ambienti ai fecondi sviluppi délia sua etica. Perciô è per la libéra, spontanea e volontaria organizzazione di quanti se ne fanno i sostenitori e i propagandiste Il fine di libertà che vuol raggiungere, esclude che ci si metta in cammino verso esso con l'esercizio e l'ac-cettazione restrittiva che ogni forma di autorità comporta.

Essa non dice agli uomini: dovrete far questo; ma dovrete dentro le conquistate possibilità, azzardare Fesperimento di quanto sarete voi a volere.

Estratto dal periodico V A DUTV. AT A DEI REFRATTARI di Newark (New Jersey), ruimeri 35 e 36 rispettivamente dei 29 agosto e 5 settembre 1953.

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