Nuovi <vintributi por una rivoluzione anairhiea ^ 2

Prima editione: sett+mbre 1977

Stampato per cooto delie Edixiom délia Rivitta « Anarchismo »

Casella Portait 61 95100 CATANIA

con i lipi délia Alfa Grafica Sgroi

Via Dottor Conaoli, 4 . Catania - Tel. 31 04 96

Alfredo M. Bonanno

LA GIOIA ARMATA

Edizioni di « Anarchismo »

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(A Parigiy nei 1848. la rivoluxione) fu una vacanza sema principio e sema fine.

Bakunin

I

Ma perché questi hencdetti ragazzi sparano aile gambe fli Montanelli? Non sarebbe stato meglio sparargli in bocea?

Certo che sarcbbe atato meglio. Ma sarebbe stato anche più pesante. Più vcndicativo e piu cupo. Azzoppare una hestia corne quclla puo anche avere un lato più profondo e significative), oltre quello délia vendetta, délia punizione per le responsabilité di Montanelli, faseista e servo dei padroni.

Âzzopparlo significa costringcrlo a claudicare, farglielo ricordare. E poi, e un divertimento più gradevole di apa-rargli in bocca, col eervello che gli dchizza fuori dagli

occhi.

Il compagno che ogni mattina si alza per andare a lavo-rare, che s'incammina nella nebbia, che entra nell'atmo-sfera irrespirable délia fabbrica o dell1ufficio, per ritrovarvi le stesse facce: la faccia del capo reparto, del conta-tempi, délia spia di turno, dello stacanovista-con-sette-figli-a-carico; questo compagno sente la ncccssità délia rivoluzione, délia lotta e dello scontro fisico, anche mortale, ma sente pure che tutto ciô gli deve apportare un poco di gioia, subito, non dopo. E questa gioia se la coltiva nelle sue fantasie, mentre cammina a testa bassa nella nebbia, mentre passa ore nei treni o nei tram, mentre soffoca sotto le pratiche inutili dell'ufficio o davanti agli inutili bulloni che servono a tenere insicme gli inutili meccanismi del capitale.

La gioia retribuita, quelle che il padrone gli paga setti-manalmente (vacanza domenicale) o annualmente (ferie), è

come farc Painorc a pagamento. Si, Paspetto esteriore è uguale, ma qualcosa manca.

Cento discorsi si affastellano nei libri, ncgli opuscoli, nei giornali rivoluzionari. Bisogna far questo, bisogna far queat'altro, bisogna vedere le cose cosi, bisogna vederle come dicfc il tizio, come dice il caio, perché tizio e caio sono i veri intcrprcti dei tizi e caii del passato, quelli eon le lettere maiuscole, che rîempiono gli aslissianti vo-lumi dei classici.

Ânchc questi bisogna tenere a portata di inano. Fa parte délia liturgia, Il non avcrli è segno negativo, desta sospetti. Va bene che tenerli sotto mano puo esscre utile, esacndo vo-lumi ponderosi (cioè pesanti) posaono csserc usati per get-tarli in faccia a qualche rompiacatole* Utilizzazione non nuova ma sempre gradevole délia validità rivoluzionaria délié tesi del passato (e del présente).

Mai discorsi sulla gioia in quei volumi. L'austerità del chiostro non ha nulla da invidiare airatmosfera che si respira in quelle pagine. I loro autori, âacerdoti délia rivoluzione délia vendetta e del caatigo, pafisano le giornate a pesare e contabilizzare colpe e pene.

D'altro canto, queste vestali in bleu jeans hanno fatto giuramento di castità., quindi pretendono e impongono. Vo-gliono essere retribuiti per i saerifici che hanno fatto. Per primo hanno abbandonato Tovattato ambiente délia loro classe di origine, poi hanno messo le loro capacita al servizio dei diseredati, poi si sono accostumati a parlare un Iinguag-gio non proprio e a sopportare tovaglie sporche e letti distant. Quindi, che li si ascolti, almeno.

Sognano rivoluzioni ordinale, principi in bcU'ordine, anarchia senza turbolenze. Quando la realtà prende una pie-ga diversa, gridano subito alla provocazione e strillano fino a farai sentire dalla polizia,

I rivoluzionari sono gente pia. La rivoluzione no.

lo chiamo gatto un gatto.

Boileau

II

Siamo tutti presi dai problcraa rivoluzionario di come e di cosa produrre, ma nessuno parla del produrre in quanto problema rivoluzionario.

Se la produzione è la base dello sfruttamento attualo dal capitale, cambiare modo di produzione significa cambiare modo di sfruttamento, non significa eliminare lo sfruttamento.

Un gatto, anche tingendolo di rosso, è sempre un gatto.

Il produttore e sacro. Non si tocca; Che si santifichi, piut-tosto, anche il suo sacrificio, in nome délia rivoluzione, e il gioco è fatto.

E che cosa mangeremo? si domandano i più preoccupati. Pane e spago* rispondono i realisti semplificatori, eon un occhio alla marmitta e Taltro al fucile. Idee, rispondono gli idcalisti pasticcioni, con un occhio al libro dei sogni e Taltro al genere umano.

Chi tocca la produttività muore.

Il capitalismo e coloro che lo combattono siedono insicme sul cadavere del produttore, purché il mondo délia produzione continué

La critica delPeconomia politica è una razionalizzazione del modo di produrre col minimo sforzo (di coloro che godono dei benefici délia produzione). Gli altri, quelli che subiscono lo sfruttamento, devono badare a non far man-care niente. In caso contrario, come si vivrebbe?

Il figlio delle tencbre, uscendo alla luce, non vede nulla come quando braneolava nei huio. La gioia lo accieca. Lo uccide. Allora la chiama allucinazione, e la condanna.

I borghesi, panciuti e frolli, godono nei loro opulento far nicnte. Godere è, pcrtanto, peccaminoao. Significa con-dividcre gli stimoli dcila borghesia, tradire quclli del pro-letariato produttorc.

Non è vero. I borghesi si danno una gran pena per man-tenere vivo il processo di sfruttamento. Anche loro sono stres-sati e non trovano un momento per la gioia. Le loro crociere sono occasioni per nuovi progetti d'investimento, Le loro a-manti sono quinte colonne per Tinformazione nei campo del concorrente.

Il dio délia produttività uccide anche i suoi umili servi-tori. Stacchiamogli la testa, ne uscirà un diluvio d'irnmon-dizie.

Il misero affamato, guardando il ricco circondato dalla sua servitù, cova sentimenti di vendetta. La distruzione del nemico prima di tutto. Ma che si salvi il bottino. La ric-chezza non deve essere distrutta, ma utilizzata. Non importa che cosa essa costituisca, che veste assuma, quali prospet-tive d'impicgo consente. Quello che conta è strapparla al-Tattuale detentore per disporne liberamente tutti.

Tutti? Certamente, tutti.

E come avverrà il passaggio?

Con la violenza rivoluzionaria.

Bella risposta. Ma, in concrcto, che cosa faremo, dopo a ver tagliato tante teste ftno ad a verne a noia? Cosa faremo quando non si troverà un proprietario nemmeno a cercarlo con la lanterna?

Allora sarà il regno délia rivoluzione. A ciascuno secondo i suoi bisogni, da ciascuno secondo le sue possibilité.

Attento compagno. Qui c'è odore di contabilità. Si parla di consumo e di produzione. Si resta alPinterno délia dimen-aione délia produttività NcH'aritmetica ci si sente sicuri. Due più due fanno quattro. Nessuno potrà mai smentire questa a verità ». I numeri governano il mondo. Se lo hanno fatto da sempre, perché non dovrebbero farlo per sempre?

Abbiamo bisogno tutti di cose solide, dure. Pietre su eui costruire un muro contro gli stimoli preoccupanti che ci salgono alla gola. Abbiamo bisogno tuttti di oggettività. Il padrone giura sul suo portafoglio, il contadino sulla sua vanga, il rivoluzionario sul suo fuoilc. Aprite uno spiraglio critico e tutta Timpalcatura oggettiva crolla.

L'esterno quotidiano. nella sua pesantezza oggettiva, ci condiziona e ei riproduce, Siamo figli délia banalità quoti-diana. Anche quando parliamo di « cose importanti », come la rivoluzione, abbiamo sempre gli occhi fissi sul calcndario. Il padrone ha paura délia rivoluzione perché gli toglierebhe il portafoglio. il contadino farà la rivoluzione per avere la terra, il rivoluzionario per verificare la sua teoria.

PoMo in questi terniini il problema, tra portafoglio, terra e teoria rivoluzionaria* non c'è diiïerenza. Tutti questi og-getti sono puramentc immaginari, sono lo specchio delle illusioni umane,

Solo la lotta è reale.

Discrimina il padrone dal contadino e stabilisée Tallcanxa tra contadino e rivoluzionario.

Le forme organizzative délia produzione degli oggetti sono i veicoli idcologici che coprono la sostanziale illusione delPidentità del singolo. Questa identità viene proiettata nei-Timmaginazione economica del valore. Un codice ne stabilisée Tinterpretazione. Alcuni elementi di questo codice sono in mano ai padroni, Ce ne siamo accorti con il consumismo. Anche la tecnologia délia guerra psicologica e délia repres-sionc totale, sono elementi di una interpretazione delPessere uomini a condizione che si è produttori.

Altri elementi del codice sono disponibili per un uso modificativo. Non rivoluzionario, ma sempliceinentc modificativo. Pensiamo, ed esempio, al consumismo sociale che si sostituirà al consumismo signorile degli ultimi anni.

Ma ne esistono ancora altri. Più raffinati. Il controllo autogestionario délia produzione è un altro cJemenlo del eodice dello sfruttamento.

E cosi via. Se a qualeuno viene in mente di organizzarmi la vita, questo qualeuno non potrà essere mai mio compagno. Se giustifica il suo modo di fare eon la scusa che bisogna pure che ci sia qualeuno che « produca », altrimenti tutti pcrderemmo la nostra identité di uomini, lasciandoci sopraflfare dalla « natura selvaggia e incolta », risponderemo che il rapporto natura-uomo è un^illusione délia borghesia marxista illuminata. Perché mai si è. voluto cambiare una spada in un forcone? Perché Tuomo si deve sempre preoccu-pare di distinguerai dalla natura?

Gli uomini, ne non giungono a cio che è necessario, si affaticano per cio che è inutile.

Goethe

III

L'uomo ha bisogno di moite cose.

Generalmente questa afîermazione si interpréta nei senso che l'uomo ha dei hisogni, e che è obbligato a soddisfarli.

Si ha, in questo modo, la trasforraazione delPuomo, da un'unità ben précisa storicamente, in una dualité (mezzo e fine nello stesso tempo). Infatti, egli si realizza nella soddi-sfazione dei suoi bisogni (cioè ncl lavoro) ed è, quindi, lo strumento délia propria realizzazionc.

Ognuno vede quanta mitologia si nasconde sotto que&te affermazioni. Se Tuomo non si differenzia dalla natura sen-za il lavoro, come puo realizzare se stesso nella soddisfa-zione dei suoi hisogni? Per far eiô dovrebbe essere di già uomo, quindi dovrebbe aver realizzato i suoi hisogni, quindi non dovrebbe aver bisogno di lavorare.

La meree costruisce da se stessa la profonda utilità del simbolo. Diventa, cosi, punto di riferimento, unità di misura, valore di scamhio. Lo spettacolo inizia. 1 ruoli vengono asse-gnali. Si riproducono. AlPinfinito. Senza modificazioni de-gne di nota, gli attori s'impegnano nella recitazione.

La soddisfazione del bisogno diventa un effetto riflesso, marginale. La cosa più importante e la trasformazione del* l'uomo in « cosa », e eon l'uomo tutto il resto* La natura diventa « cosa ». Utilizzata si corrompe e corrompe gli istin* ti vitali dell'uomo. Tra la natura e l'uomo si aprono larghi spazi, che occorre ricmpire. A qucsto provvede la stessa espansione del mercato mercantile. Lo spettacolo si allarga al punto da mangiare se 8tes$o e la propria contraddizione. Platea c palcoscenico entrano in una stessa dimensione e si ripropongono per un livello superiore, più ampio, di ripro-duzione dello spettacolo stesso, e cosi alPinfinito.

Chi sfugge al codice mercantile non riceve la sua oggetti-vazionc e cade « fuori » délia sede reale dello spettacolo. Qui viene segnato a dito. Cireondato dal filo spinato. Se non accetta la proposta di inglobamento, se rifiuta un nuovo livello di eodificazione, lo si criminalizza. La sua <r follia » è évidente. Non è consentito rifiutare Pilluiorio in un mondo chè ha fondato la realtà sulPillusione e la concretezza sul fittizio.

Il capitale gestisce lo spettacolo sulla base délia legge delFaccumulazione. Ma nessuna cosa puô essere accumu-lata indefinitivamente. Nemmeno il capitale. Un processo quantitativo assoluto è un'illusione, un'illusione quantita-ti va. Cio è stato compreso pcrfettamente dai padroni. Lo sfruttamento assume forme e modelli ideologiei diverai pro-prio per garantire, in modo qualitativamente diverso, quel-

Paccumulazione che non poleva conlinuarc alPinfinito sotto Paspetto quantitativo.

Che lutto Pinsieme rientri nei paradoxale e nelPilIu-sorio, al capitale non importa moito, perche è esso che tiene le redini e fissa le regole. Se deve vendere Pillusione per realtà, e questo gli procura quattrini, tanto vale continuai a vendcrla e non porsi troppi probleroi. Sono gli sfruttati che pagano il conto. È quindi loro compito accor-gersi dell'illusione e preoccuparsi di individuare la realta. Per il capitale le cose vanno bene come vanno, anche se sono fondate sul più grande spettacolo illusionistico del mondo.

Gli sfruttati hanno quasi nostaigia di questa illusione. Hanno fatto il callo aile catene e ci si sono affezionati. So-gnano qualche volta afTascinanti sollevamenti e bagni di sangue. ma si lasciano abbagliarc dalle parole delle nuove guide politiche. Il partito rivoluzionario allarga la prospet-tiva illusoria del capitale ad orizzonti che quesPultimo, da solo, non potrebbe mai raggiungere.

È ancora Pillusione quantitative a far strage.

Gli sfruttati si arruolano, si contano, si assommano, Ferocissimi slogan fanno sobbalzare il cuore nei petto dei borghesi. Quanto più alto c il numéro di coloro che si con-tano, tanto più grandi diventano la tracotanza e le preteae delle guide. QuesPultime fanno programmi di conquista. Il nuovo potere si dispone sulle spoglie del vecchio. L'anima di Bonaparte sorride soddisfatta.

Certo, profonde modificazioni nei codice delle illusioni vengono programmate. Ma tutto deve sottostare al segno delPaccumulazione quantitative. Crescono le forzc militanti, devono crescere le prctesc délia rivoluzione. Allo atesso modo deve crescere il tasso del profitto sociale, che si viene a sostituire al profitto privato. Il capitale entra, in questo modo, in una nuova fa se illusoria e spettacolare. I vecchi bisogni incalzano sotto nuove etichette. Il dio délia produt-tività continua a dominarc senza rivali.

Contarsi è bello. Ci fa crederc forti. I sindacati si eontano. I partit) si eontano. I padroni si eontano. Contiaraoci anche noi. Girotondo.

E quando abbiamo finito di contarci, cerchiamo di far restare le cose come prima. E se la modificazionc c pro* prio necessaria, fac^iamola senza disturbare nessuno. I fan-tasmi si lasciano penetrare facilmente.

La politica si riscopre periodicamente. Spesso il capitale trova soluzioni geniali. Allora la pace sociale cade sulle no-stre teste. Un silenzio da cimitero. L'illusione si generali/.za ad un grado taie che lo spettacolo assorbe quasi tutte le forze disponibili. Tutto tace. Poi si riscoprono i difetti e la mono-tonia délia messa in scena. Il sipario si alza su situazioni impreviste. La maechina capitalistica accusa i colpi. Allora, riscopriamo Timpegno rivoluzionario. È aceaduto nei ses-santotto. Tutti con gli occhi fuori dalle orbite. Tutti ferocis-simi. Ciclostilate da morirci sopra. Montagne di volantini e opuscoli e giornali e libri. Le vecchie sfumature ideologiche messe in colonna come tanti soldatini. Anche gli anarchici riscoprivano se stessi. E lo facevano storicamente, secondo le esigenze del momento. Ottusi tutti. Ottusi anche gli anarchici. Quando qualcuno si svegliava dal sonno spettacolarc e, guardandosi attorno, cercava spazio e aria da reapirare, e vedendo gli anarchici diceva a se stesso: finalmente! ecco con chi voglio stare. Subito dopo si accorgeva délia stupi-daggine. Nemmeno in quella direzione le cose andavano come sarebbero dovute andare. Anche là: ottusità e spettacolo. E questo qualcuno fuggiva. Si richiudeva in se stesso. Si smon-tava. Accettava il gioco del capitale. E se non lo aecettava veniva messo al bando, da tutti, anche dagli anarchici.

La macchina del sessantotto ha prodotto i migliori fun-zionari del nuovo Stato tecnoburocratico. Ma ha anche pro-dotto degli anticorpi. I processi delTillusione quantitativa sono diventati visibili. Da un lato, hanno ricevuto una nuova linfa, per costruire una nuova visione dello spettacolo mercantile, dalTaltro. hanno subito delle incrinature.

L'inutilité dello scontro sul piano délia produttività è diventata palcse. Impadronitevi delle fabbriche, delle campagne, delle scuole, dei quartieri c autogcstiteli, dicevano i vecchi rivoluzionari anarchici. Abbattiamo il potere sotto tutti i suoi aspetti, aggiungevano subito dopo. Ma non pene-travano più a fondo, non mostravâno la vera realtà délia piaga. Pur 9apendone la gravita e Testensione preferivano nasconderla, sperando nella spontanéité creatrice délia rivoluzione. Solo che volevano attendere i risultati di questa spontanéité con le mani sui mezzi di produzione. Qualsiasi cosa accade, qualc che sia la forma crcativa che prenderà la rivoluzione, dobbiamo avère i mezzi di produzione in no-stro possesso, essi affermavano. Altrimenti il nemieo ci scon-figgerà sul piano délia produzione. E per far cio si adatta-vano a compromessi di ogni tipo. Per non allontanarsi trop-po dalla stanza delle decisioni spettacolari, finivano per costruire un'altra forma di spettacolo, alcune volte altret-tanto macabro.

L'illusione spettacolare ha le sue regole. Chi vuole gestir-la deve sottoporsi a queste regole, Deve conogcerle, imporle e giurarci sopra. La regola prima è che la produzione con-diziona tutto. Chi non produce non è un uomo, la rivoluzione non è per lui. Perché dovremmo tollerare i parassiti? Non dovremmo forse lavorare al loro posto? Non dovremmo aa-sicurare anche la loro sopravvivcnza? E inoltre: tutta questa gente senza idee chiare e con la pretesa di voler fare di testa loro, non risultano « oggcttivamente » funzionali alla controrivoluzione? Quindi, tanto vale attaccarli fin d'ora. Si sappia chi sono i nostri alleati e con chi vogliamo stare. Se dobbiamo far paura facciamola tutti insieme, inquadrati in perfetto ordine, e che nessuno metta i piedi sulla tavola o si eali le brache.

Organizziamo le nostre strutture specifiche. Formiamo militanti che conoscano perfettamcnte le tccniche délia lot-la nei settori délia produzione. La rivoluzione la faranno soltanto i produttori, e noi saretno là per impedire loro di fare fesserie.

No. Tutto cio è sbagliato. In che modo potremo impedire loro di fare fesserie? Sul piano dello spettacolo illusorio del-l'organizzazione ci sono tromboni molto più grossi di noi. Fd hanno fiato da sprecare. Lotta sul posto del lavoro. Lotta per la difesa del lavoro. Lotta per la produzione,

Quando romperemo il cerchio? Quando finiremo di mangiarci la coda?

L'uomo déformé troiw $entpre degli specchi che lo rendono bello.

Sade

IV

Che follia l'amore per il lavoro!

Che grande abilità scenica quella del capitale che ha sa-, puto (are amare lo sfruttamento agli sfruttati, la corda agli impiccati e la catena agli schiavi.

Questa idealizzazione del lavoro ha ucciso, fino ad oggi, la rivoluzione. Il movimento degli sfruttati è stato corrotto tramite l'immissione délia morale borgheae délia produzione, cioè di qualcosa che non è solo estranea al movimento, ma gli è anche contraria. Non c un caso che la parte a corrom-persi per prima sia stata quella sindacale, proprio perché più

vicina alla gestione dello spettacolo produttivo.

AlPetica produttiva bisogna contrapporre Pestetica del non lavoro.

Alla soddisfazione dei bisogni spettacolari, imposti dalla società mercantile, bisogna contrapporre la soddisfazione dei bisogni naturali delPuomo, rivalutati alla luce del bisogno primario ed esscnziale: il bisogno di comunismo.

La valutazione quantitativa délia pressione che i bisogni esercitano sulPuomo, risulta, in questo modo, capovolta. Il bisogno di comunismo trasforma gli altri bisogni e la loro pressione sulPuomo.

La miseria delPuomo, oggetto di sfruttamento, è stata vi-sta come la base del futuro riscatto. Il cristianesimo e i movimenti rivoluzionari si danno la mano attraverso la sto-ria. Bisogna aofFrirc per conquistare il paradiso o per acqui-sire la coscienza di classe che portera alla rivoluzione. Senza Petica del lavoro, la nozionc marxista di « proletariato » non avrebbe senso. Ma Petica del lavoro è un prodotto del razio-nalismo borghese, lo stesso prodotto che ha consentito la conquista del potere da parte délia borghesia.

11 corporativiamo risorge attraverso le maglie delPinter-nazionalismo proletario. Ognuno lotta alPinterno del proprio settore. Al massimo stabilisée contatti (attraverso i sindacati) con i settori similari degli altri paesi. Alla monoliticità delle multinazionali si contrappone la monoliticità delle centrali sindacali internazionali. Facciamo la rivoluzione, ma salvia-mo la macchina, lo strumento di lavoro, Poggetto mitico che riproduce la virtù storica délia borghesia, diventata adesso patrimonio del proletariato.

L'crede dei destini délia rivoluzione è il soggetto desti-nato a diventare consumatore ed attore principale dello spettaeolo futuro del capitale. La classe rivoluzionaria, idealiz-zata a livello di destinataria delle sorti dello scontro di classe, svanisce nelPidealismo délia produzione. Quando gli sfrut-tati vengono rinchiusi alTinterno di una classe, si sono già confermati tutti gli elementi dcll'illusione spettacolare, gli ste&si délia classe borghese,

Per sfuggire al progetto glohalizzantc del capitale, gli sfruttati hanno solo la strada che passa per il rifiuto del lavoro, délia produzione, dclPcconomia politica.

Ma il rifiuto del lavoro non deve essere confuso con la « mancanza di lavoro » in una socictà basata sul lavoro. I/emarginato cerca lavoro. Non lo trova. È spinto verso la ghettizzazione. È criminalizzato. Tutto cio rientra nella ge-stione complcssiva dello spettacolo produttivo. Occorrono al capitale, sia i produttori, sia i non garantiti. Solo che l'equi-librio e instabile. Le contraddizioni esplodono e procurano criai di vario tipo, alTinterno delle quali si gestisce Tinter-vento rivoluzionario.

Quindi, il rifiuto del lavoro, la distruzionc del lavoro, è l'affermazione del bisogno del non-lavoro. L'affermazione chc l'uomo puô autoprodursi e autoggettivarsi attraverso il non-lavoro, attraverso le sollecitazioni di vario genere che il bisogno del non-lavoro gli procura. Vedendo il coneetto di distriizione del lavoro dal punto di vista dell'etica del lavoro, si resta interdetti. Ma come? Tanta gente cerca lavoro, è disoccupala, e si parla di <c distruzione del lavoro»? Il fantasma luddista émergé a spaventare i rivoluzionari-che-si-sono-letti-tutti-i-elassici. Lo schéma delPattacco frontale e quantitative) aile forze del capitale deve restare identico. Non im-portano i fallimenti e le sofferenze del passato, non impor-tano le vergogne e i tradimenti. Ancora avanti, sostenuti dalla fede in un giorno migliore, ancora avanti!

Per spaventare i proletari, e spingerli nell'atmosfera stagnante delle organizzazioni di classe (partiti, sindacati e mo-vimenti reggicoda), basta far vedere in che cosa annega oggi il concetto di « tempo libero di sospensione del lavoro. Lo spettacolo delle organizzazioni burocratiche del tempo libero c fatto apposta per deprimere le imroaginazioni più fertili. Ma questo modo d'agirc non è altro che copcrtura idcologica, uno degli strumenti délia guerra totale che costituisce la base dello spettacolo complessivo.

È il bisogno di comunismo elle trasforma tutto. Attraverso il bisogno di comunismo il bisogno del non-lavoro passa dal momento negativo (contrapposizione al lavoro), al mo-mento positivo: disponibilité compléta dell'individuo da-vanti a se stesso, possibilité totale di egprimersi liberamente, rottura di tutti gli schemi, anche di quclli considerati fonda-roentali e ineliminabili, come lo schéma délia produzione.

Ma i rivoluzionari sono uomini ligi ed hanno paura di rompere tutti gli schcmi, compreso quello délia rivoluzione, se questo — in quanto schéma — costituisce un ostaeolo alla piena realizzazione di quanto il concetlo promette. Hanno paura di trovarsi scnz'artc ne parle. Avete mai conosciuto un rivoluzionario senza un progetto rivoluzionario? Un pro-gctto ben definito e chiaramentc esposto aile masse? Che razza di rivoluzionario è eolui il quale pretende di distrug-gere lo schéma, l'involuero, il fondamento délia rivoluzione? Colpendo i concetti di quantificazione, di classe, di progetto, di schéma, di missione storica, ed altre simili unticaglie, si corre il rischio di non avere nulla da fare, di esscre obbligati ad agire, nella realtà, modestamente, come tutti gli altri, come milioni di altri, che la rivoluzione la costruiscono giorno per giorno, senza attendere il segno di una fatale scadcnza. F per fare questo ci vuole coraggio.

Con gli schcmi e i giochetti quantitativi si e nei fitlizio, cioè nei progetto illusorio dei la rivoluzione, ampliamento dello spettacolo del capitale; con l'abolizione dell'etica pro-duttiva si entra direttamente nella realtà rivoluzionaria.

Lo stesso parlare di queste cose è difficile. Perché non avrebbe senao parlarne attraverso le pagine di un trattato« Mancherebbe Tobiettivo, chi cercasse di ridurre questi problêmi ad un'analisi compléta c dcfinitiva. La forma migliore sarcbbe il discorso simpatico e leggero, capace di realizzare quella sottile magia dei giochi di parole.

Parlarc seriamente délia gioia è veramente una contrad-dizione.

Le notti di asiate sono pesanti. Welle piccole camere si dorme maie.: i la Vigilia délia 'Ohi^lioîtina.

Zo d'Axa

V

Anche lo sfruttato trova il tempo per giocare. Ma il suo gioco non c gioia. È una liturgia macabra. Un'attesa délia morte. Una sospensione del lavoro usata per scaricare la earica di violenza aecumulata nei corso délia produzione. NelTillusorio mondo délia merce, anche il gioco e illusorio. Ci si illude di giocare, mentre non si fa altro che ripetere monotonamente i ruoli assegnati dal capitale.

Prendendo coscienza dei proccssi di sfruttamento, la prima cosa cui si pensa è la vendetta, Tultima la gioia. La liberazione è vista come ricomposizione di un equilibrio rot-to dalla cattiveria del capitale, non come avvento di un mondo del gioco che si sostituirà al mondo del lavoro.

È la prima fase delPattacco contro i padroni. La fase délia coscienza immediata. Quello che ci colpisce sono le catene, la frusta, le mura del carcere, le barriere sessuali e razziali. Tutto cio deve cadere. Per questo ci armiamo e per questo colpiamo Pavversario, il responsabile.

Nella notte délia ghigliottina si gettano le basi di un nuovo spettacolo, il capitale ricostruisce le sue forze: prima eadono le teste dei padroni, poi quelle dei rivoluzionari.

Non e possihile fare la rivoluzione solo con la ghigliot-tina. La vendetta è Panticamera délia guida. Chi vuole ven-dicarsi ha bisogno di un capo. Un capo che conduca alla vittoria e ristabilisca la giustizia ferita. E chi vuole vendi-carsi è portato a invidiare il possesso di qualcosa che gli è gtato tolto. Fino alla suprema astrazione: Pesproprio del plus-valore.

II mondo del futuro deve essere un niondo dove tutti la-vorano. Bene! Avrcmo, in questo modo, iinposto la schia-vltù a tutti, escluso quelli che dovranno farla continuare che, proprio per questo, saranno i nuovi padroni.

Vada come vada, ma i padroni devono « pagare y> per le loro colpe. Bene! Avremo, in questo modo, riportalo Petica cristiana del peccato, délia condanna e delPespiazione, al-Pinterno délia rivoluzione. A prescindere dei concetti di et debito » e di k pagare » che sono di chiara derivazione mercantile.

Tutto cio fa parte dello spettacolo. Quando non è dirct-tamente gestito dal potere, puô essere ripreso con facilita. Un capovolgimento dei ruoli recitativi fa parte delle teeni-che drammaturgiche.

Ad un certo livello dello scontro di classe, puô essere indispensable attaccare con le armi délia vendetla e délia punizione. Il movimento puo non possederne altre. fc, allora, il momento délia ghigliottina. Ma i rivoluzionari devono essere coscienti. dei liraiti di queste armi. Non possono illudersi ed iiludere gli altri.

Nei quadro paranoico di una macchina razionalizzante, com'è il capitale, anche il concetto di rivoluzione délia vendetta, puo entrare a far parte del continuo modificarsi dello spettacolo. II movimento apparente délia produzione si svolge sotto la benedizione délia scienza economica, ma si basa in rcalta sulPantropoIogia illusoria dclla separazione dei compiti.

Non e'è gioia nei lavoro. Ncmmeno nei lavoro autogestito. La rivoluzione non puô rinehiudersi in una modificazione del-Porganizza/ione del lavoro. Soltanto in cio.

Non c'è gioia ncl sacrificio, nella morte, nella vendetta. Cosi come non c'è gioia ncl contarsi. L'aritmetica è la ncga-zione délia gioia.

Chi vuole vivere non produce la morte. L'accettazione transitons délia ghigliottina eonduce alla sua istituzionaliz-zazione. Ma, ncllo stesso tempo* chi ama la vita non abbrac-cia il suo sfruttatore. In caso contrario, odierebbe la vita e amerebbe il sacrificio, la punizione di se stesso, il lavoro, la morte.

ÀlPinterno del cimitero del lavoro, secoli di sfruttamento hanno accumulato una montagna délia vendetta. Su qucsta montagna siedono impassibili i capi del movimento rivoluzionario. Studiano il modo migliore di mettere a profitto la montagna. La carica di violenza vendicatrice deve essore indi-rizzata verso interessi délia nuova casta di potere. Simboli e bandiere. Parole d'ordine e analisi complicate. L'apparato ideologico si dispone a fare quanto nccessario.

L'etica del lavoro rende possibile la strumentalizzazione. Chi ama il lavoro vuole impadronirsi dei mezzi di produzione, non vuole che si vada avanti alla cieca. Sa, per espc-rienza, che i padroni hanno avuto dalla loro una potente or-ganizzazione per rendcre possibile lo sfruttamento. Pensa che solo un'organizzazione altrettanto potente e perfetta, renderà possibile la liberazione. Che si faccia tutto il possibile. ma che si salvi Ja crescita produttiva.

Quaîe immenso inganno. L'etica del lavoro è Petica cri-stiana del sacrificio, l'etica dei padroni, in base alla quale gli eccidi délia storia si sono susseguiti con préoccupante metodicità.

Questa gente non riescc a pensare che si puo non produrre plus-valore, che pur potendolo produrre ci si puô rifiu-tare di farlo. Che si puô affermare, contro il lavoro, una volonté non-produttiva, capace di lottare non solo contro le strutture economiche dei padroni, ma anche contro quelle ideologichc, che attraversano tutto il pensiero occidentale.

È indispensable eapire che Petica del lavoro costituisce anche la base del progetto rivoluzionario quantitativo. Non avrebbe senso un discorso contro il lavoro fatto dalle orga-nizzazioni rivoluzionario alPinterno delJa loro logica délia crescita quantitativa.

L'estetica délia gioia, sostituendosi alPetica del lavoro non impedisce la vita, come tanti preoccupati compagni affer-mano. Alla domanda: Che cosa mangeremo? si puô rispon-dere, con tutta tranquillité: quello che produrremo. Solo che la produzione non sarà più la dimensione in cui Puomo si autodctcrmina, trasferendosi questa nella sfera del gioco e délia gioia. Si potré produrre, non come qualcosa di sepa-rato dalla natura, che una volta rcalizzato, si ricongiunge a quest'ultima. Ma come qualcosa che è la natura stessa. Per cui Parresto délia produzione sara possibile in ogni momcnto, quando se ne avrà abbastanza. Solo la gioia saré inarrestabile. Una forza ignota aile larve civilizzate che popolano la nostra epoca. Una forza che moltiplicheré per mille Pimpulso créa-tivo délia rivoluzione.

La ricchezza sociale del mondo comunista non si misura dalPaccumulazione del plus-valore, anche se quesfultimo ri-sulta gestito da una minoranza che si chiama partito del proletariato. Questa situazione riproduce il potere, negando il fondamento stesso delPanarchia. La ricchezza sociale comunista è data dalla potenzialité di vita che si realizza dopo la rivoluzione. AlPaccumulazione capitalista deve sostituirsi non un'accumulazione quantitativa (anche se gestita da un partito) ma un'açcumulazione qualitative. La rivoluzione délia vita si sostituisce alla semplice rivoluzione economica. La potenzialità produttiva alla produzione cristallizzata. La gioia allo spettacolo.

La negazione del mcrcato spettacolare dell'illusione capi-talista, imporrà un altro tipo di scambio. Dallo scambio fittizio quantitativo allo scambio reale qualitativo. La cir-colazione non si basera sugli oggetti, e quindi sulla loro rei-ficazione illusionistica, ma sul senso che gli oggetti avranno per la vita. E un senso « per la vita » deve esserc un senso di vita e non un senso di morte. Questi oggetti saranno, quindi, limitati al momento prcciso in cui vengono scambiati, ed avranno un significato semprc di verso a seconda delle situazioni che determineranno lo scambio.

Uno stesso oggetto potrà avcre « valori » profondamente diversi. Sara personificato. Estranco alla produzione cosi come la conosciamo nella dimensione del capitale. Lo stesso scambio avrà un senso se visto attraverso il rifiuto délia produzione illimitata.

Non esiste il lavoro liberato. Non esiste il lavoro intcgrato (manuale-intellettuale). Quello che esiste è la divisione del lavoro e la vendita délia forza lavoro, cioè il mondo capita-lista délia produzione. La rivoluzione sarà scmpre e sol-tanto negazione del lavoro, affermazionc délia gioia. Ogni tentativo di imporre Pidea di un lavoro « solo lavoro », senza sfruttamento, di un lavoro « autogestito », di un lavoro in cui lo sfruttato si riappropria délia totalité del processo pro-duttivo, è una mistificazione.

Il concetto di autogcstionc délia produzione resta valido solo come schéma di lotta contro il capitale, difatti non puo separarsi dal concetto di autogestione délia lotta. Spenta la lotta, Tautogestionc non è altro che autogestione del pro-prio sfruttamento. Realizzata vittoriosamente la lotta, l'auto-gestione délia produzione diventa superflua, perché dopo la rivoluzione, è superflua e controrivoluzionaria Torganizza-zione délia produzione.

Finché prendi il lanciato da le, tutto è destrezza e risibile vincita; solo se tu d'improvviso diventi chi preo» de la palla che una eterna compagne di giochi lancw a le% al tuo ceniro, con lo slancio propriamenie potuto, in uno di que gli archi di grande, di' vina coirtruzione di pontit solo al-lora saper prenderc è forza — non tua, di un momlo.

Rdke

VI

Tutti noi crediamo di avere esperienza délia gioia. Almeno una volta, ognuno di noi, ha creduto di gioire nella propria vita.

Solo che questa esperienza délia gioia ha sempre una forma passiva. Ci accade di gioire. Non possiamo « volere » la nostra gioia, come non possiamo ohhligare la gioia a ripresentarsi.

Tutto cio, questa separazione tra noi e la gioia, dipende dal nostro essere « separati » da noi stessi, tagliati in due dal processo di sfruttamento.

Lavoriamo tutto Tanno per avere la « gioia » delle va-canze. Quando queste arrivano ci sentiamo in a obbligo » di « gioire » del fatto di essere in vacanza. È una tortura come un'altra. Lo stesso per la domenica. Un giorno allucinante. La rarefazione deirillusione del tempo libero ci fa vedere la vacuità dello spettacolo mercantile in cui viviamo.

Lo stesso sguardo assente fissa il bicchiere semivuoto, la televisione, la partita di calcio, la fiala di eroina, lo schermo del cinéma, le lunghe fila delle automobili, le luci pubblici-tarie, le villette prefabbricate che hanno finito di uccidere il paesaggio.

Cercare la « gioia » nei fondo di una delle diverse c? récité» dello spettacolo capitalista è pura follia. È proprio queïlo che vuole il capitale. L'esperienza del tempo libero, programmato dai nostri sfruttatori, è letale. Fa desiderare il lavoro. Alla vita apparente si finisce per prcferire la morte sicura.

Nessuna gioia reale puo venirci dai meccanismo razionale dello sfruttamento capitalista. La gioia non ha regole fisse che possano catalogarla. Anche se dobbiamo poter volere la nostra gioia. Altrimenti siamo perduti.

La ricerca délia gioia e, quindi, un'azione délia volontà. Una ferma negazione delle condizioni fissate dai capitale, cioè dei suoi valori. La prima di qucste negazioni è quella del valore del lavoro. La ricerca délia gioia puo avvenire solo attraverso la ricerca del gioco.

In questo modo il gioco assume un significato divcrso da queïlo che siamo soliti dargli nella dimensionc del capitale. Il gioco che.si contrappone, come ozio sereno, aile responsabilité délia vita, e un'immagine falsa c distorta délia vera realtà del gioco. Nella realta di lotta contro il capitale, allo stadio attuale dello scontro c delle relative contraddizioni, il gioco non è un « trastullo », ma è un'arma di lotta.

Per una strana ironia, la parti si capovolgono. Se la vita è una cosa séria, la morte è un'illusione, in quanto finché viviamo la morte non esiste. Ora, il regno délia morte, cioè il regno del capitale, che nega la nostra csistenza di uomini, riducendoci a « cose », e « apparentemente » serissimo, meto-dico, disciplinato. Ma il suo parossismo posscssivo, il suo continuo rigorismo ctico, la sua mania del « fare », naacon-dono una grande illusione: la vuotaggine dello spettacolo mercantile, Tinutilità delPaccumulazione indefinita, Tassur-dità dello sfruttamento. Quindi, la più grande serietà del mondo del lavoro e délia produttività, nasconde la più grande mancanza di serietà.

À1 contrario, la ncgazione di questo inondo ottuso, la ri-cerca délia gioia, del sogno, dell'utopia, nella sua dichiarata « mancanza di serietà », nasconde la più grande serietà délia vita: la negazione délia morte.

Anche da questa parte délia barriera, nello scontro fisico col capitale, il gioco puo assumcre forme diverse. Moite cose possono essere fatte « per gioco ». Moite cose che solitamente facciamo con « serietà », portandoei dietro la nostra masehera di morte, quella prestataci dal capitale.

Il gioco è caratterizzato da un impulso vitale, sempre nuovo, sempre in movimento. Agcndo come se giocassimo, inseriamo quest'impulso nelle nostre azioni. Ci liheriamo dalla morte. Il gioco ci fa sentire vivi. Ci dà Temozione délia vita. NelPaltro modello delPagire, assumiamo tutto come un compito, come qualcosa che « dobbiamo » lare, come un obbligo.

In quest'emozione sempre nuova, esatto rovescio del-Talienazione e délia pazzia del capitale, possiarao identificare la gioia.

Nella gioia risiede la possibilité délia frattura col vecchio mondo e ridentificazione di seopi nuovi, di bisogni e valori différent!. Anche se la gioia, in se stessa, non puô considerar-si lo scopo delPuorno, è senz'altro la dimensione privilegiata, volontariamente identificata, che rende diverso lo scontro col capitale.

Ixi vita è co*i noiosa che non cfè nient'altro da fare che spendere tut• to il nostro salario suWultimo ve-stito o suU'ultima camicia. Fratelli e sorelle, quali sono i vo-stri veri dexideri? Sédersi in un Drugstore, con lo sguardo perdulo nei nulla, annoiato9 berendo un caf• fè senta sapore? Oppure, forse FAR*

IX) SALTARE O BRUCIARLO.

The Angry Brigade

VII

Il grande spettacolo del capitale ci ha tutti messi dentro, fino al collo. A turno, attori e spcttatori. Invertiamo le parti, ora guardando a bocca aperta, ora facendoci guardare dagli altri. All'interno délia carrozza di cristallo ci siamo entrati tutti, pur sapenrdo che si trattava di una zucca. L'il-lusione délia fata ha ingannato la nostra coscienza critica. Adcsso dobbiamo stare al gioco. Almeno fino a mezzanotte.

Miscria e famé sono ancora gli elementi propulsivi délia rivoluzione. Ma il capitale sta allargando lo spettacolo. Intende fare entrare in scena nuovi attori. Il più grande spettacolo del mondo ci sbalordirà. Sempre più difficile e sempre mcglio organizzato. Nuovi pagliacci si apprestano a salire sulle tribune. Nuove fiere verranno addoracsticate.

I sostenitori del quantitativo, gli amanti dell'aritmetica, entreranno per primi e resteranno abbagliati dalle luci delle prime file. Si porteranno dietro le masse del bisogno e le ideologie del riscatto.

Ma queïlo che non potranno climinare sarà la loro serietà. Il più grande pericolo cui andranno incontro sarà una risata. La gioia è mortale all'interno dello spettacolo del capitale. Tutto, qui, e tetro e funebre, tutto è serio e composto, tntto è razionale e programmato, proprio perché tutto c falso ed illusorio.

Oltre la crisi, oltre le contraddizioni del sottosviluppo, oltre la miseria e la famé, il capitale dovrà sostencre Pultima battaglia, quella decisiva, con la noia.

Anche il movimento rivoluzionario dovrà soslencre le suc battaglie. Non solo quelle tradizionali contro il capitale. Ma anche di nuovc, contro se stesso. La noia lo attacca dal di dcntro, lo incrina, lo rende asfissiante, inahitahile.

Lasciamo stare gli amanti degli spettacoli del capitale. Quelli che sono d'accordo fino in fondo a recitare la propria parte. Costoro pensano che le riforme possano realmente mo-dificare le cose. Ma questo pensiero è più una copertura che altro. Sanno troppo hene che il cambiar delle parti è una delle regole del sistema. Aggiustando le cose un poco alla volta, si ottiene il risultato di tornare utili al capitale.

Poi c*è il movimento rivoluzionario dove non mancano quelli che attaccano a parole il potere del capitale. Costoro fanno una grande confusione, ricorrono a grosse frasi ma non impressionano più nessuno, tanto meno il capitale. QuesPultimo li usa, sornione, per le parti più diflicili del suo spettacolo. Nei momenti in cui occorre un solista, fa avanzarc sulla scena uno di questi personaggi. Il risultato è accorante.

La verità e che hisogna spaccare il meccanismo spcttaco-lare délia merce, entrando ncl dominio del capitale, nei centro di coordinamento, ncl nucleo stesso délia produzione. Pensate che meravigliosa esplosione di gioia, che grande salto creativo in avanti, che straordinario scopo « privo di acopo ».

Solo che entrare gioiosamente, con i simboli délia vita, alPinterno del meccanismo del capitale, è molto difficile. La lotta armata, spesso, è simbolo di morte. Non perche dona la morte ai padroni c ai loro servitori, ma perché pretende im-porre le strutture del dominio délia morte. Di versa mente concepita, esaa sarebbe vcramente la gioia in azione, quando fosse capace di apezzare le condizioni strutturali imposte dai-

10 stesso spettacolo mercantile, come, ad esempio, il partito militare, la conquista del potere, Pavanguanlia.

Ecco Taltro nemico del movimento rivoluzionario. I/in-comprensione. l.a chiusura davanti aile nuove condizioni del conflitto. La pretesa di imporrc i modelli del passato, ormai entrati a far parte délia gestione spettacolare délia mcrce.

Il disconoscimento délia nuova realtà rivoluzionaria, alimenta un disconoscimento teorico c strategico delle capacité rivoluzionarie del movimento stesso. E non importa affer-mare clie ci sono nemici tanto vicini da rendere nccessario un intervento immediato, al di là delle precisazioni interne di carattere teorico. Tutto eiô nasconde l'incapacità di affron-tare la realtà nuova del movimento, l'incapacità di superarc errori del passato che hanno gravi conseguenzc nei présenté. E questa chiusura alimenta ogni tipo di illusionc politica razionalista.

Le catégorie délia vendetla, délia guida, del partito, del-Tavanguardia, délia crescita quantitativa, hanno un senso solo nella dimensione délia nostra società, ed e un senso che favorisce la perpetuazione del potere. Ponendosi dai punto di vista rivoluzionario, cioc delPeliminazione totale e defini-tiva del potere, questc catégorie cessano di avère un senso.

Muovendoci nei non-luogo dell'utopia, nei capovolgi* mento delPetica del lavoro, ncl qui e subito délia gioia rea-lizzata, ci troviamo alFinterno di una struttura del movimento che è ben lontana dalle forme storiche délia sua organizzazione.

Questa struttura si rnodifica continuamente, sfuggendo ad ogni tentativo di cristallizzazionc. La sua caratteristica è Pautorganizzazione dei produttori, sul posto di lavoro, c la contemporanea autorganizzazione delle forme di lotta per

11 rifiuto del lavoro. Non impadronimento dei mezzi di pro-duzione, attraverso le organizzazioni storiche, ma rifiuto délia produzione attraverso la spinta di strutture organizza-tive che si modificano continuamente.

Lo stesso avviene nella realtà non garantita. Le strutture emergono sulla base dell'autorganizzazione, stimolate dalla fuga dalla noia e dall'alienazione. L'inserimento di uno sco-po programmato ed imposto da un'organizzazionc nata e voluta al di fuori di queste strutture, significa Tuccisione del movimento, il ripristino dello spettacolo mercantile.

. La maggior parte di noi è legata a questa visione delTor-ganizzazione rivoluzionaria. Anche gli anarchici, pur rifiu-tando la gestione autoritaria dell'organizzazione, non rece-dono dal riconoscere validité aile loro formazioni storiche. Su queste basi, tutti riconosciamo che la realtà contraddit-toria del capitale, puô essere attaccata con simili mezzi. Lo facciamo perché siamo convinti che qucsti mezzi sono legit-timi, emergendo dallo stesso terreno dello scontro del capitale. Non ammettiamo che qualeuno non la pensi come noi. La nostra teoria si identifica nella pratica e nella strategia delle nostre organizzazioni.

Moite differenze ci sono tra noi e gli autoritari. Ma queste cadono davanti alla comune fede nelPorganizzazione storica. Si arriverà all'anarchia attraverso Topera di queste organizzazioqi (le differenze — sostanziali — sorgono solo sul punto délia metodologia di avvicinamento). Ma questa fede sta ad indicare una cosa molto importante: la pretesa di tutta la nostra cultura razionalista, di spiegarsi il movimento délia realtà, e di spiegarselo in modo progressivo. Questa cultura si basa sul presupposto délia irréversibilité délia storia e sulla capacità analitica délia scienza. Tutto ciô ci consente di considérare il momento présente, come il conduire di tutti gli sforzi del passato, come il punto più alto délia lotta contro il potere delle tenebre (lo sfruttamento del capitale). Cos», noi saremmo, in modo assoluto, più avanzati dei nostri progenitori, capaci di claborare e ge$tire una teoria c una strategia organizzativa che c il risultato délia somma di tutte le esperienze passate.

Tutti coloro che rigettano questa interpretazione, si tro-vano automaticamente fuori délia realtà, essendo questa, per definizione, la stessa cosa délia storia, del progresso, e délia scienza. Chi rifiuta c antistorico, antiprogressista e antiscientifico. Condanne senza appcllo.

Forti di questa corazza idcologica ci rcchiamo nelle piazze. Qui ci scontriamo eon una realtà di lotta strutturata in modo diverso. Qeste strutture agiscono sulla base di sti-moli che non rientrano nei quadro delle nostre analisi. Un bel mattino, nei corso di una manifestazione pacifica, ed auto-rizzata dalla questura, quando i poliziotti cominciano a sparare, la struttura reagiscc, anche i compagni sparano, i poliziotti cadono. Anatema! I.a manifestazione era pacifica. Essendo scaduta nella guerriglia spiceiola, deve esscrci stata una provocazione. Nulla puo uscire dai quadro perfetto délia nostra organizzazione ideologica, in quanto questa non e « una parte » délia realtà, ma è « tutta » la realtà. Al di là: la pazzia e la provocazione.

Si distruggono alcuni supermarket, alcuni negozi, si sac-eheggiano magazzini di alimentari e armerie, si bruciano vet-ture di grossa cilindrata. È un attacco allo spettacolo mercantile, ncllc sue forme più appariscenti. Le strutture emer-genti si dispongono in quella direzione. Prendono forma improvvLsamente, con un minimo indispensable di orienta-mento strategico preventivo. Seoza fronzoli, senza lunghc premesse analitiche, senza complesse teorie di sostegno. At-taccano. I compagni si identificano in queste strutture. Rigettano le organizzazioni delPequilibrio del potere, delPattesa, délia morte. La loro azione è una critica concreta délia posi-zione attendista e suicida di queste organizzazioni. Anatema! Deve esserci stata una provocazione.

Ci si stacca dai moduli tradizionali del « fare » politica. Si incide fortemente e criticamcnte sul movimento stesso. Si usa-no le armi delTironia. Non nei ehiuso dello studio di uno scrittore. Ma in massa, per le strade. Si eoinvolgono nello stesso genere di diiïicolta, non solo i servi dei padroni, quelli ormai riconosciuti a livello ufficiale, ma anche le guide rivo-Iuzionarie del lontano e del recente passato. Si mette in crisi la struttura mentale del capetto e del leader del gruppo. Ana-tcma! La critica è legittima solo contro i padroni, e secondo le regole fissate dalla tradizione storica délia lotta di classe. Chi escc fuori del serainato è un provocatore.

(-i si nausca delle riunioni, delle Ietture dei elassici, delle inutili manifestazioni, delle discussioni teoriche che spacca-no il capello in quattro, delle distinzioni all'infînito, délia monotonia e dello squallore di certe analisi politiche. A tutto cio si preferisce fare l'amore, fumare, ascoltare la musica, camminare, dormire, ridere, giocare, uccidere i poliziotti, spezzare le gambe ai giornalisti, giustiziare i magistrati, far saltare per area le caserrae dei carabinieri. Anatema! La lotta è legittima solo quando c cornprensibile per i capi délia rivoluzione. In caso contrario, essendoci il rischio che quest'ul-timi si lascino scappare di mano la situazione, deve esserci stata una provocazione.

Sbrigati compagno, spara subito sul poliziotto, sul magi-strato, sul padrone, prima che una nuova polizia te lo impedisca.

Sbrigati a dire di no, prima che una nuova repressione ti convinca che il dire di no è insensato c pazzesco e che è giu-sto che accetti l'ospitalita dei manicomi.

Sbrigati ad attaccare il capitale* prima che una nuova ideologia te lo renda sacro.

Sbrigati a rifiutare il lavoro, prima che qualche nuovo sofista ti dica, ancora una volta, che il « lavoro rende liberi ».

Sbrigati a giocare. Sbrigati ad armarti.

Non ci sarà più Rivoluzione fin quando i Cosacchi non discenderanno.

Coeurderoy

VIII

II gioco all'interno délia logica del capitale è anch'esso enigmatieo e contraddittorio. Il capitale lo usa come uno dei eomponenti dello spettacolo mercantile. Qui, acquista un'am-biguità che da per se stesso non possiede. Una ambiguità che gli vicne dalla struttura illusoria délia produzione capitalista. Il gioco diventa, in questo modo, la sospensione délia produzione, la parenteai di « tranquillité » nella vita di tutti i giorni. Esiste, cosi, una programmazione del gioco c una sua utilizzazione scenica.

Fuori del dominio del capitale, il gioco è armoniosamente strutturato dai proprio stesso slancio creativo. Non è legato a questa o a quella rappresentazione voluta dalle forze délia produzione, ma si sviluppa autonomamente. Solo in questa realtà il gioco è lieto, dà gioia. Non « sospende » la tristezza délia lacerazione causata dallo sfruttamento, al contrario, la realizza fino in fondo, la rende compartecipe délia realtà délia vita, che, cosi, si contrappone a quegli accorgi-menti posti in atto dalla realtà délia morte — anche attraverso il gioco — per rendere meno triste la tristezza.

I distruttori délia realtà délia morte, lottano contro il mitico regno dell'illusione capitalista, il regno che aspirando all'eternità si rotola nella polvere del contingente. La gioia délia distruzione emerge dai gioco delTazione distruttiva, dai riconoscimento délia profonda tragedia che questa sot-tointende, dalla consapevolezza délia forza delPentusiasmo che riesce ad abbattere la ragnatela délia morte. Non è una contrapposizione di orrorc ad onrore, di tragedia a tragedia, di morte a morte. Ma una contrapposizione tra gioia e or-rore, tra gioia c tragcdia. tra gioia e morte.

Ueeidendo il poliziotto, non ci si veste délia toga del giu-dice, affrettandosi a pulirla del sangue delle prccedenti con-danne. I tribunali e le sentenze sono sempre parte dello spettacolo del capitale, anche quando i rivoluzionari vi re« citano la propria parte. Ueeidendo un poliziotto, non si pe-sano le sue responsabilité, non si aritmetizza lo scontro di classe. Non ci si programma una visione del rapporto tra movimento rivoluzionario e sfruttatori. Si risponde, sul piano immediato, ad un'esigenza che si è venuta a strutturare alTinterno del movimento rivoluzionario, un'esigenza che tut-te le analisi e tutte le giustifïcazioni di questo mondo, da sole, non avrebbero mai potuto imporre.

Questa esigenza è Tatlacco del nemico, dello sfruttatore, dei suoi servi. Kssa matura lentamente nelle strutture del movimento. Solo quando esee allo scoperto, il movimento passa dalla fase difensiva a quella delTattacco. I/analisi e la giustificazione morale sono a monte del tutto, non si tro-vano a vallc, davanti ai piedi di chi sccnde in piazza, pronte a farlo inciampare. Si trovano nella violenza sistcmatica che da secoli il capitale esercita sugli sfruttati. Ma non devono necessariamente venire alla luce in forma compiuta e pronta per Tuso. Questa pretesa è mTulteriore forma delle nostre intenzioni razionalizzanti, del nostro sogno di imporre alla realta un modcllo che non le si attaglia.

Facciamoli discendere questi Cosaccbi. Non sosteniamo il ruolo délia reazione, un ruolo che non fa per noi. Non accet-tiamo l'equivoeo invito del capitale. Invece di sparare sui nostri compagni e su noi stessi, è sempre meglio sparare sui poliziotti.

Ci sono momenti nella storia, in eui la scienza esiste nella coscienza di chi si batte. In questi momenti non oceorrono interpreti délia vérité. Questa emerge dalle cose. È la realté delle lotte che produce la teoria del movimento.

La nascita del mereato ha segnato la formazione del capitale, il passaggio dalla forma di produzione feudale a quella capitalista. L^entrata délia produzione nella fase spettaco-larc ha rcso necessaria l'estensione délia forma mercantile a tutto cio che esiste: ainore, scienza, senti menti, coscienza ece. Lo spettacolo si è ingrandito enormemente. Questa seconda fase non costituisce, come affermano i marxisti, una corruzio-ne délia prima fase. È una fase diversa. Il capitale si man-gia tutto, perfino la rivoluzione. Se questa non rompe con lo schéma délia produzione, se pretende d'imporre una produzione alternativa, il capitale l'inghiotte alTinterno dello spettacolo mercantile.

Solo la lotta nella realtà dello scontro non puo esscre inghiottita. Alcune sue forme, cristallizzandosi in forme orga-nizzative précisé, possono venire inscrite nello spettacolo. Ma quando rompono con il significato fondamentale che il capitale assegna alla produzione, questo inserimento è molto diftieoltoso.

Il discorso aritmctico e qucllo délia vendetta non hanno senso airinterno délia seconda fase. Se vengono ribaditi, si trasfcriscono in un significato metaforico.

Al gioco illusorio del capitale (spettacolo délia merce) bisogna sostituire il gioco rcale dcU'attacco armato contro il capitale, per la distruzione del fittizio e dello spettacolo.

t

Fallo da te.

'Wanuale del bricoleur"

IX

È facile, puoi farlo da te. Da solo o con pochi compagni fidati. Non occorrono grandi mezzi. Nernmeno una grande prcparazione tecnica.

Il capitale è vulnerabile. Basta essere decisi a farlo.

Un'immensité di chiacchiere ci ha reso ottusi. Non è que* stione di paura. Non abbiamo paura, siamo solo stupidamen-te pieni di idee prefabbricate. Non riusciamo a liberarcene.

L'uomo che è determinato al suo gesto non è l'uomo corag-gioso. È l'uomo elie ha chiarito le sue idee, Che si è reso conto délia inutilité di tanti sforzi per recitare hene la propria parte nella rappresentazione assegnatagli dai capitale. Cosciente, quest'uomo attacca con freddczza e determinazione. E nei far cio si rcalizza come uomo. Kealizza se stesso nella gioia. Il regno délia morte scompare davanti a lui. Anche se créa distruzione e terrore per i padroni, nei suo cuore, e nei cuore degli sfruttati, è la gioia e la tranquillité.

Le organizzazioni rivoluzionarie stentano a comprendere tutto cio. Impongono un modello che riproduce la simula-zione délia realté produttiva. Il destino quantitativo impedi-sce loro ogni spostamento qualitativo sul piano dell'estetica délia gioia.

Anche l'attacco militare è vissuto, da queste organizzazioni, in chiave quantitativa. Gli obiettivi sono fissati sulla base dello scontro frontale.

Il capitale, in questo modo, controlla ogni cmergenza. Puo permettersi il lusso di accettarc la contraddizione, di indicarne forme spettacolari contrapposte, di sfruttare gli effetti negativi sui produttori per costruire un allargamento dello spettacolo, Sul terreno quantitativo il capitale accetta lo scontro perché conosce tutte le risposte. È esso stesso a produrre le risposte, a disporre del monopolio del codice.

Al contrario, la gioia dell'atto rivoluzionario è contagiosa. Si estende a macchia d'odio. Il gioco produce il proprio si-gnificato sulla hase delTazione nella realtà. Ma questo senso non viene cristallizzato all'interno di un modello governato dalTalto. Si spezza in mille sensi, tutti produttivi e instabili. La connessione interna al gioco stesso si esaurisce neU'azio-ne delTattacco. Ma sopravvive il senso esterno, il signifi-cato che il gioco ha per coloro che ne restano tagliati fuori e che vogliono appropriarsene. Tra coloro che per prirai acceltano di gioeare e quelli che <x osservano » le conseguenze liheratorie del gioco, sono essenziali al gioco stesso.

Si struttura cosi la comunità délia gioia. Una forma spon-tanea di entrare in contatto, fondamentale per la realizza-zione del significalo più profondo del gioco. Gioeare è un fatto eomunitario. Raramente si présenta come azione iso-lata. Spesso, quando cosi si struttura, si porta dietro gli ele-menti negativi délia rimozione psicologica. Non è un'accet-tazione positiva del gioco in quanto momento creativo di una realtà di lotta.

È il senso eomunitario del gioco che impedisce l'arbitra-rietà nella seelta dei significati del gioco stesso. In as-senza del rapporto eomunitario, il singolo potrebbe imporre al gioco regole e significati suoi, incomprcnsibili per tutti gli altri, causando cosi la ritrasformazionc del gioco in una so-spensione temporanea delle conseguenze negative del suo problema individuale (problema del lavoro, deiralienazione, dello sfruttamento).

NelPaccordo eomunitario il significato del gioco si arric-chiscc attraverso il flusso delle azioni reciproche. La créativité riceve più spazio dalla fantasia liberata e verificata reciprocamente. Ogni invenzione, ogni nuova possibilité puo essere vissuta collettivamente, son/a modelli preeostituiti, ed avere un'influenza vitale anche nei auo semplice porsi come momento crcativo, anche se dovesse trovare mille difficolta per la propria realizzazione.

Un'organizzazione rivoluzionaria tradizionale finisce per imporre i suoi tecniei. Non puô evitare il pericolo tecno-cratico. La grande importanza asscgnata al momento stru-mentale dell'azione la condanna su questa strada.

Una struttura rivoluzionaria che ricerea il momento délia gioia ncU'azione rivoluzionaria diretta a distruggere il potere, considéra gli strumenti con cui rcalizzare questa distruzione, come strumenti, eioè come mezzi. Coloro che usano questi strumenti non devono diventarne schiavi. Corne coloro che non sanno usarli non devono diventare gli schiavi di coloro che ne conoscono l'uso.

La dittatura dello strumento è la peggiore delle dittature.

L'arma più importante del rivoluzionario e la propria dcterminazione, la propria coscicnza, la propria deeisione di agire, la propria individualité. La armi concrete sono strumenti e, in quanto tali, vanno sottoposti continuamente ad una valutazione critica. Occorre sviluppare una critica delle armi. Abbiamo visto troppe sacralizzazioni del mitra, troppe saeralizzazioni deirefficientismo militare.

La lotta armata non è una faccenda che riguarda soltanto le armi. Queste non possono rapprcscntarc* da sole, la di-mensione rivoluzionaria. Ridurrc la complessa realtà in una cosa singola e pericoloso. In effetti, il gioco présenta questo risebio, eioè quello di esaurire Tesperimento vitale nei gio-cattolo, rendendo quest'ultimo qualcosa di magico e assoluto. Non per nulla, nei simboli di moite organizzazioni rivolu-zionarie combattenti, compare il mitra.

Occorre procedere oltre, per meglio comprendere il senso profondo délia lotta rivoluzionaria come gioia, per sfug-gire aile illusioni e aile trappole di una ripresentazione dello

spettacolo mercantile attraverso oggetti mitici o miticizzati.

NelPaffrontare la lotta armata, il capitale compie Pulti-ino sforzo, S'iinpcgna suIPultiraa frontiera. Per contrapporsi su di un terreno dove non si sente tanto sicuro, ha bisogno délia collaborazione delPopinione pubblica. Da qui lo scate-narsi di una guerra psicologica che impiega le armi più raffinaie délia propaganda moderna.

In sostanza, il capitale, nella sua estensione fisica at-tuale, è vulnerabile da parte di una struttura rivoluzionaria che puo decidere i tempi e i modi delFattacco. Il capitale sa perfettamente questa debolezza e corre ai ripari. La po-lizia non gli basta. Nemmeno Pesercito. Ha bisogno di una vigilanza continua da parte délia gente. Anche délia più umile parte del proletariato. Per far cio deve dividere il frontc di classe, Deve diffondere tra la povera gente, il mito délia pe-ricolosità delle organizzazioni arma te, il mito délia santità dello Stato. il mito délia moralité, délia lcgge e cosi via.

Indirettamente, quindi, esso spingc Porganizzazionc e i suoi militanti, ad assumere un ruolo. AlPinterno di un «ruo-lo », il giocare non ha più senso. Tutto diventa «serio», quindi illusorio, quindi spettacolare e mercantile. La gioia si trasforma in « maschera ». La persona si anonimizza, vive ncl ruolo, non è più in grado di distinguere tra realtà e apparenza.

Per spezzare il eerchio magico délia drammaturgia mercantile, bisogna rifiutare il ruolo, anche queïlo di <c rivoluzionario professionista ».

La lotta armata deve sfuggire alla « caratterizzazione » di professionalità, alla divisione del lavoro che il modulo csterno délia produzione capitalista intendc imporlc.

a Fallo da te ». Non spezzare il contenuto globale del gioco con Pimpoverimento che gli causa il ruolo. Difendi il tuo diritto di gioire délia vita. Ostacola il progetto di morte del capitale. Questi puo penetrare nei mondo délia créativité del gioco solo a condizionc di trasformare il giocante in gio-catore, il vivente creatore nei morto che si illude di vivere.

Se il « mondo del gioco » viene organizzato in forma cen-tralizzata, non ha più senso parlare di gioco. Proponendo il nodtro discorso sulla « gioia armata », dobbiamo anche pre-vedere le possibilité del capitale di riprendersi la proposta rivoluzionaria. E questo riprendersi puo essere attuato attraverso la gestione esterna del mondo del gioco. Fissando il ruolo del giocatorc, i ruoli délia réciprocité délia cornu-nité del gioco, la mitologia del giocattolo.

Spezzando i vincoli délia eentralizzazione, del partito mi-litare, si ottiene il risultato di confondere le idee del capitale, le quali sono sintonizzate sul codice délia produttività spettacolare del mercato quantitativo. In questo modo Tazio-ne coordinata dalla gioia, divcnta enigmatiea per il capitale. È un niente, un qualcosa privo di scopo, che non ha realtà. E cio perché Tessere, lo scopo e la realtà del capitale sono illusori, mentre Tessere, lo scopo c la realtà délia rivoluzione sono concretamente fissati.

Al codice del bisogno produttivo, si sostituisce il codice del bisogno di comunismo. Le decisioni del singolo, alPin-terno delJa comunità di gioco, hanno significatività alla luce di questo nuovo bisogno. I modelli del passato, quelli délia morte, vengono scoperti nella loro mancanza di realté, nella loro sostanza illusoria.

La distruzione dei padroni è distruzione délia merce, e la distruzione délia merce è distruzione dei padroni.

Voli la civetta.

Prmerbio ateniese

X

« Voli la civetta ». Che le azionî mal cominciate arrivino a buon fine. Che la rivoluzione, tanto allontanata dai rivo-luzionari, si realizzi al di là dei loro residui desideri di pace sociale.

Il capitale darà Tultima parola ai camici blanchi. Le pri-gioni non potranno durarc a lungo. Vecchie fortezze del pas-sato, di un passato che sopravvive solo nella fantasia esaltata di qualche reazionario in pensione, cadranno col cadere del-Tidcologia che si basa sulTortopedia sociale. Non ci saranno più condannati. La criminalizzazione, che il capitale attuerà nelle sue forme più razionali, passera attraverso i manicomi.

Rifiutarc lo spettacolo, significa essere fuori délia realtà, quando tutla la realtà è spettacolare. Rifiutare le regole imposte dai codice mercantile, significa essere pazzi. Non in-chinarsi davanti al dio délia merce, costerà l'entrata in ma-nicomio.

Qui la cura sarà radicale. Non più torture inquisitoriali e sangue sui mûri: queste cose impressionano l'opinione pubblica, fanno intervenire i benpensanti borghesi, generano giu-stificazioni e riparazioni, causano perturbamenti neLTarmo-nia spettacolare, L^annientamcnto totale délia pcrsonalità, considerato come unica cura radicale per le menti malate, non disturba nessuno. Finché l'uomo délia strada si sentira circondato dalPimperturbabile atmosfera dello spettacolo capitalista, avrà Timpressione che la porta del manicomio non si chiuderà mai aile sue spalle. Il mondo délia follia gli sarà estraneo, anche se c'c sempre un manicomio disponibile a fianco di ogni fabbrica, davanti ad ogni scuola, dietro ogni

campagna, ncl mezzo di ogni quartiere popolare.

Facciamo attcnzione a non spianare la strada, con le no-stre ottusità critiche, ai funzionari statali in camice bianco.

Il capitale sta programmando il codice interpretativo da mettere in circolazione a livello di massa. In base a questo codice, l'opinione pubblica verra adeguata a vedere negli at-tentatori all'ordine delle cose padronali, nei rivoluzionari, praticamente dei pazzi. Da qui la necessità di aprire loro le porte dei manicomi. Anche le earceri attuali, razionalizzan-dosi sul modello tedesco, si stanno trasformando, dapprima in earceri spcciali per rivoluzionari, poi in earceri modello, poi in veri e propri lager per la manipolazione del cervello, poi in manicomi definitivi.

Questo comportamento del capitale non è solo dettato dalla necessità di difendersi di frontc aile lotte degli sfruttati. ft anche la sola risposta possibile sulla base délia logica interna del codice délia produzione mercantile.

Il manicomio è per il capitale un luogo fisico in cui si interrompe la globalité délia funzione spettacolare. Il car-cere cerca disperatamente di arrivare a questa interruzione globale, ma non puo riuscirci, perché bloccato dalle pretese di fondo délia sua ideologia ortopedica.

Il « luogo » del manicomio, invecc, non ha inizio c non ha fine, non possiede storia, non ha la mutabilité dello spettacolo. Esso è il luogo del silenzio.

L/altro « luogo » del silenzio, il cimitero, ha, al contra- * rio, la capacità di parlare, ad alta voce. I morti parlano. E i nostri morti parlano a voce altissima. I nostri morti pos-sono essere pesanti, pesantissimi. Ecco perché il capitale cer-cherà di farne sempre di meno. Mentre, in corrispettivo, cresceré il numéro degli a ospiti » nei manicomi. La « patria del socialismo », in questo campo, ha molto da insegnare.

Il manicomio è la razionalizzazione terapeutica più per-fetta del tempo lihero. La sospensione del lavoro senza trau-rai per la struttura mercantile. La mancata produttività senza negazione délia produttività. Il pazzo puo fare a meno di lavorare, e, nei suo non lavorare, riconferrna la saggezza del lavoro, come contrario délia pazzia.

Quando diciamo: non è il momento delPattacco armato contro lo Stato, spalanchiamo le porte del manicomio per i compagni che realizzano questo attacco; quando diciamo: non è il momento per la rivoluzione, stringiarno i legacci dei letti di contenzione; quando diciamo: queste azioni sono og-gettivamente provocatoric, indossiamo il camice bianco dei torturatori.

Al tempo in cui era piccolo il numéro degli oppositori, la mitraglia funzionava bcne. Dieci morti sono sopportabili. Trcntamila, centomila, duecentomila, segnerebbero un punto fondamentale nella storia, un riferimento rivoluzionario di taie ahhagliante luminosità da perturbare a lungo la pacata armonicità dello spettacolo mercantile. Per altro. il capitale si è fatto più astuto. Il farmaco ha una neutralité che il proiettile non possicde. Ha l'alibi terapeutico.

Che si getti in faccia al capitale il suo proprio statuto délia pazzia. Che si capovolgano i termini délia contrapposizione.

La neutralizzazione dell'individuo è pratica costantc del-rinsieme mcrcificato del capitale. La société è tutta un im-menso manicomio. L'appiattimento delle opinioni è processo terapeutico, e macchina di morte. La produzione non puo verifiearsi nella forma spettacolare del capitalismo, in as-senza di questo appiattimento. E se il rifiuto di tutto cio, l'accettazione délia gioia di fronte alla scclta délia morte, è segno di pazzia. è il caso che tutti comincino a comprendere la trappola che, al di sotto di tutto cio, c pronta a scattare.

Tutta la macchina délia tradizionc culturale delPOcci-dentc è una macchina di morte, una negazione délia realtà, un regno del fittizio che ha accumulato ogni sorta di nefan-dezze e di soprusi^ di sfruttamenti e di genocidi. Se il ri-fiuto di queste logiea délia produzione è eondannato come follia, occorre spiegarc la differenza tra follia e follia.

La gioia si arma. Il suo attacco è il superamento dell'al* lucinazione mercantile, délia macchina e délia merce, délia vendetta e délia guida, del partito e délia quantità. La sua lotta rompe la linea délia logica del profitto, rarchitettura del mercato, il significato programmato délia vila, il docu-mento finale delParchivio. La sua dirompente esplosione ri-balta l'ordine delle dipendenze, la nomenclatura del posi-tivo e del negativo, il codice delFillusione mercantile.

Ma tutto questo deve potersi comunicare, Dal mondo délia gioia a quello délia morte il passaggio dei significati non è facile. I codici reciproci sono sfasati, finiscono per annullarsi a vicenda. Quello che nei mondo délia gioia è considerato illusione, nei mondo délia morte è la realtà, e viceversa. La stessa morte fisica, su cui tanto si piange nei mondo délia morte, è meno mortale délia morte che viene spacciata come vita.

Da qui la grande facilità, per il capitale, di niistificare i messaggi délia gioia. Anclie i rivoluzionari, dalFinterno délia logica del quantitativo, non sono capaci di leggcre fino in fondo, il senso delle esperienze délia gioia. Qualche volta balbettano approcci insignificanti. Qualche altra volta si la-sciano andare a condanne che non suonano poi raolto diverse da quelle lanciate dal capitale.

La nozione generale del significante, nello spettacolo mer* cantile, è la merce. L'clcmento attivo di questa massa accu-mulata, è il lavoro. Al di là di questi elementi del quadro produttivo, non esistono segni che possano significare qualcosa di negativo e positivo nello stesso tempo. Esiste la possibilité di affermare il non-lavoro, ma non come negazione del lavoro, solo come sospensione per un certo periodo di tempo. Allô stesso modo esiste la possibilité di affermare la non-merce. cioè l'oggetto personalizzato, ma solo comc reifi-cazione del tempo libero, cioè di qualcosa che è prodotta come hobby, nei ritagli di tempo concessi dai ciclo produt-tivo. ft chiaro che questi segni: non-lavoro e non-merce, sono funzionali, se intesi in questo modo, al modello générale délia produzione.

Solo chiarificando i significati délia gioia e i corrispcttivi significati délia morte, come elementi di due raondi contrap-posti che si lottano a vieenda, possiamo comunicare alcuni elementi delle azioni délia gioia, senza, per altro, illudcrci di poterli comunicare tutti. Chi comincia ad avere espe-rien/a délia gioia, anche in prospettive non direttamente inerenti alPattacco del capitale, è più disponibile a cogliere i significati delPattacco, alraeno più di coloro che restano le-gati ad una visione arretrata dello scontro, una visione ba-sata sulPillusione quantitativa.

In questo modo, è ancora possibile che si alzi in volo la civetta.

Avanti tutti!

E con l* braccia e il cuore,

Ixî parola e la penna,

il pugnale e il fucile,

Vironia e la bestemmia,

il furtot Vavvulenamento e Vincendio,

Facciamo... la guerra alla socieià/...

Déjocque

XI

Mettiamo da parte le atteae, le titubanze, i sogni di paee sociale» i piccoli compromessi, le ingenuità. Tutto il ciar-pame metaforico che ci viene fornito negli spacci del capi-taie. Mettiamo da parte le grandi analisi che tutto spiegano, fin nei minimi particolari. I libroni pieni di senno e di paura. Mettiamo da parte l'illusione democratica e borghese délia discuasione e del dialogo, del dibattito e dcH'assemblca, delle capacità illuministiche dei eapi mafia. Mettiamo da parte il senno e la saggezza che la morale borghese del lavoro ha scavato dentro i nostri cuori. Mettiamo da parte i secoli di cristiancsimo che ci hanno educati al sacrificio e all'ob-hedienza. Mettiamo da parte i preti di ogni ordine e fun-zione, i padroni, le guide rivoluzionarie, quelle meno rivo-luzionarie e quelle per niente rivoluzionarie. Mettiamo da parte il numéro, le illusioni del quantitative, le leggi del mcrcato, la domanda e l'offerta. Scdiamoci un attimo sulle rovine délia nostra storia di perseguitati e riflettiamo.

Il mondo non ci appartiene, se ha un padrone e questo padrone è tanto stupido da desiderarlo, cosi come si trova, che se lo prenda, che cominci a contare le rovine al posto dei palazzi, i cimiteri a posto delle eittà, il fango a posto dei fiumi, la melma infetta al posto dei mari.

Il più grande spettacolo illusionistico del mondo non ci incanta più.

Siamo certi che dalla nostra lotta, qui e subito, usciranno le comunita délia gioia.

E, per la prima volta, la vita trionferà sulla morte.

; ;

Sbrigati compagno, spara subito sul poliziotto, sul magistrato, sui padrone, prima che una nuova po-lizia te lo impedisca.

Sbrigati a dire di no, prima che una nuova repres-sione ti convinca che il dire di no è insensato e pazzesco e che è giusto che accetti l'ospitalità dei manicomi.

Sbrigati ad attaccare il capitale, prima che una nuova ideologia te lo renda sacro. %

Sbrigati a rifiutare il lavoro, prima che qualche nuovo sofista ti dica, ancora una volta, che il « lavoro rende liberi », ^

Sbrigati a gioeare. Sbrigati ad armarti.

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