QUADERNI I.IBERI N. 2

CAMILLO BERNERI

CARLO CATTANEO FEDERALISTA

EdMoni RL 1970 Via del Bottacclo, 16 51100 - PISTOIA

QUADERNI UBERI N. 2

CAMILLO BERNERI

CARLO CATTANEO FEDERALISTA

Edizioni RL - 1970 - Via del Bottaccio, 16 5110 - PISTOIA

Stamps to con 1 tipl del la « Edigraf» - Catania Settcmbre 1970

Ogni qualvolta mi si presenta l'occasione, sono lieto di scrivere o di parlare di Carlo Cattaneo. Spingere coloro che male lo conoscono a leggerlo e a meditarlo e p^r me un dovere di solidariet& cul-turale, ben sapendo di additare una ricca fonte di pensiero nonche un'immensa miniera di trattazio-ni. Potra parere ingenua, a taluni, questa « propaganda », data la celebrity dell'autore, ma cosi non b.

Cattaneo e poco letto. Perch&? Lo stile evidente, robusto, non di rado eloquente fa di lui uno dei maggiori prosatori del suo secolo. N& l'oscurit^ n& la prolissita, n^ l'aridezza allontanano il lettore, ma le idee centrali sono sparpagliate nelle molte e varie monografie, cosi vaste e dense che una visione or-ganica del pensiero politico, sociale e filosofico de!-1'autore richiede una sintesi.

Mancando un'opera centrale, occorre leggerlo in opera omnia; e la edizione completa dei suoi scrit-ti e da tempo fuori commercio e rara perfino nelle pubblichc biblioteche. Ma questo non basta a spie-gare il fatto che il Cattaneo sia un celeb re malco-nosciuto.

Se questo autore e poco letto lo si deve princi-palmente alia dignita della sua opera, che fu impo-stazione di problemi, concretezza di analisi, ossia preparazione di studioso e non sbandieramento di sonanti parole, positivismo e non trascendentalismo, scienza e non demagogia. Nessuna declamazione, nessun volo romantico, in quellopera, bensi elo-quenza sostenuta, pensiero cristallino, trattazione rigorosa. Egli guarda alle stelle dell'ideale, ma ancor piu alia strada della storia; e pare quasi un caso che il suo nome rimanga legato alle giornate barri-cadiere di Milano.

Quando si associa al nome del Mazzini e a queiio del Ferrari, il nome del Cattaneo, cosi, senza rileva-re le profonde differenze, si disconosce che la posi-zione politica e la forma mentis di quest'ultimo fu-rono del tutto singolari, tanto in confronto al primo che al secondo. Quel giomalista che, sui primi del 1868, pubblic6, sul « Gaulois », una biografia del No-stro nella quale lo si dipingeva come seguace e conti-nuatore del Mazzini, mostro d'ignorarli ambedue. Quell'articolo contribui ad amareggiarc gli ultimi giorni del Cattaneo, che se ne dolse con gli amici. Specie avvicinandosi alia fine — ci dice Agostino Bertani — « della sua condizione politica rispetto ai contemporanei e alia storia era preoccupatissimo ». Che lo urtasse, fino ad accorarlo, il vedersi quasi con-fuso con il Mazzini era naturale, poiche non solo l'a. zione politica, le valutazioni contingentali lo divide-vano da lui, ma anche la forma mentale, il caratterc, il temperamento.

Mazzini era poeta, Cattaneo era scienziato. L uno era romantico e I'altro razionalista; l'uno delicato di corpo ed ipersensibile di spirito, I'altro vigoroso, equilibrato, campagnuolo. Mazzini, giovane, smania-va alia Jacopo Hortis; Cattaneo, in quell'et&, assapo-rava Virgilio e Livio, ignorando I'ebbrezza mistica

e le disperazioni romantiche, non sognando riforme religiose, non presumendo apostolati.

Era, il Nostro, un ambrosiano, pratico, sereno amante della ricerca scientifica e dell'azione concre_ ta. Quello che di passionale e di mistico era in lui veniva contenuto e diretto dal bisogno di trascorrere una vita mirante a conoscere e ad insegnare. Fino al 1848 la sua vita era stata quella di un pacifico stu-dioso, quale la tratteggia egli stesso con saporosa semplicita:

« Vestito pulitamente, proweduto di pocbe ca-merette al sole di mezzodl, con tre scaffali grandicelli di libri che mi fanno; un caminetto, una cucinetta, che mi da un paio o due piatti alia buona, una bot-tiglia di poco prezzo, d'Asti o di Bocca, ma con un amico galantuomo dirimpetto a me; mezzo scudo, di tempo in tempo, per sentire la Pasta o Rubini; venti soldi per vedere la Marchionni; un po' di velo. cifero e di battello a vapore due o tre volte all'anno, e qualche giornatina alia osteria di Varenna o del-l'lsola Bella; nove centesimi al giorno per sapere al-l'officio dell'£co che cosa fanno e dicono nella politi-ca e negli studi gli uomini di questa e della altre parti del mondo, e quindi non sembrare un giumento se incappo in buona compagnia ».

Aveva passata in campagna l'infanzia e dall'espe-rienza dei parenti, dalle personali osservazioni aveva contratto queiracuto senso delle realtk rurali e quel profondo interesse per i problemi deH'agricoltura che fanno di lui uno dei massimi scrittori di econo-mia agraria.

La frequenza della scuola privata di diritto di Gian Domenico Romagnosi continuo ad awiarlo sulla via delle ricerche e delle elaborazioni condotte con senso realistico e con severity di metodo. Ma a que-sto indirizzo positivista della sua attivit& culturale lo conduceva principalmente la sua personality men-tale. Egli ci teneva ad essere « incurabilmetite positi-vo », « un po' grosso di legname », e dichiarava prc-ferire le « materiali e quasi febbrili ricerche senza viscere » e la « oscura via delle applicazioni scienti-fiche e de' volgari interessi ».

Portato come egli era ai problemi concreti, alle impostazioni precise, alle chiarificazioni di massima evidenza, se manca nella di lui opera un centro idea-listico e perche all'uomo di scienza e al filosofo positivista basta un centro ideologico al quale i problemi s'annodino. Quel centro b costituito da ipotesi che si alimentano della luce delle particolari ricerche, dei positivi risultati e, secondo la risultanza di quelle e l'evidenza di questi, si trasformano o si eliminano.

Mazzini £ dominato dal proprio idealismo, men. tre Cattaneo ha delle idee che gli son care in quanto gli sembrano vere, ossia rispondenti ad una migliore economia della storia umana, in quanto gli sembrano passibili di realizzarsi in fatti, mediante quelle forze che egli scorge od intuisce dirette verso quei fini.

E' lamentevole che egli non abbia riprese e coordinate quelle idee geniali e feconde che scaturiscono dai piu inaspettati riawicinamenti di cognizioni ap. partenenti ai piu svariati campi del sapere, si da ri-chiamare Leonardo e Vico.

Perche la di lui opera fu frammentaria?

Alberto Mario (I nostri filosofi contemporanei, Napoli 1862) narra: « Un giorno gli domandai come

ei non avesse scritta un'opera di lunga lena, in qua-ranta e piii anni di studi assidui. Risposemi che gli fall) il necessario egoismo, che ii lungo tempo ei di-stribui in piccole frazioni ai bisogni sorgenti degli amici e del paese, e in lavori di utility pratica e im-mediata ».

«Come scrittore — scriveva il Cattaneo ad un amico, nel 1855 — ho sciupato il mio tempo, lavoran-do troppo, da giornalista, di roba frusta e roba al-trui, invece di far col mio, che la fatica era forse minore; anzi molta mia roba rimane dispersa per en-tro i pasticci fatti di roba altrui, sicche non pud nem-meno parer mia ».

Con cio egli si riferisce particolarmente al « Po-litecnico », la magnifica rivista della quale egli fu di. rettore e principalissimo redattore, dal 1839 al 1844. II Cattaneo, oltre che comporre in gran parte, talvol-ta per tre quarti, i fascicoli della rivista, rivedeva an-che e rielaborava nella forma, quando era necessario, tutto quel che gli mandavano i collaborator!. Del « Politecnico », scrive G. Salvemini (che ha compi-lata una buona antologia del Cattaneo con un'intro-duzione che e un vero gioiello) non sapersi se ammi-rarvi al di piu « la varieta degli argomenti, o la originality del pensiero; o la venust& della forma », poi-che « su ogni argomento sorgono da quella immensa cultura fiotti continui di associazioni inaspettate e di nuove feconde teorie; e le idee sono fissate in formu-le dense, nitide, eleganti di un'eleganza geometrica, definitive ». Ed anch'egli lamenta che tanta ricchez-za sia eccessivamente frammentaria (1).

(1) G. Salvemini, Pref. a « Le piCi belle pagine dl C.C. « Mi-iano, Treves, 1921.

Da un lato, tale frammentarieta non e deplore-vole, quando si pcnsi che la varicta delle elaborazioni, dei sunti, delle critiche ha spinta la mente del Cat-taneo in molte direzioni, suggerendole delle idee e fornendola di cognizioni svariatissime. Mi pare pro-babile che la sua psicologia delle menti associate si sia sviluppata — della quale si potrebbero indicare i germi nella filosofia di G.B. Vico e, ancor piu preci-samente, in quella del Galluppi e del Romagnosi — sulla valutazione introspettiva del contributo che le letture portavano al suo pensiero. E specialmente quel rimaneggiare scritti altrui, quello sforzarsi di ben penetrarne il contenuto e lo spirito per tradurli in forma limpida ed in modo coerente credo abbia contribuito non poco a quel continuo lampeggia* di associazioni chc la geniality del Cattaneo faceva ardite e fecondissime, ma che forse non sarebbero nate senza quella materia grezza.

Prima di venire all'argomento, credo necessario aprire una parentesi che richiami alia mente del let-tore la reciproca posizione delle due correnti repub-blicane: quella unitaria e quella federalista.

I repubblicani unitari posponevano ogni altro scopo alia causa dell'indipendenza « nazionale » del-l'ltalia, intesa come unit& amministrativa, giudizia-ria e politica sotto un solo governo. I repubblicani federalisti davano, invece, prevalente importanza al problema della liberty politica. Gli unitari diffida-vano dei Principi (ed erano, in gran parte, repubblicani piu che per amore di repubblica perch£ vedeva-non nelle monarchie del tempo il maggiore ostacolo aH'unit& nazionale), ma furono disposti a collabo-rare col re di Piemonte o col papa quando 1'uno o

l'altro parve disposto ad innalzare bandiera d'indi-pendenza e di unita nazionali. Volevano che l'ltalia facesse da se e diffidavano della Francia. I federali-sti respingevano l'alleanza con i principi e sperava-no nel contributo francese alia rivoluzione italiana.

I) Cattaneo si differenza grandemente dai re-pubblicani unitari, ma non si confonde con i federalists Vicino al Ferrari per le idee politiche, da lui dissentc sovente e, talvolta, non meno profondamen-te che dal Mazzini. II Nostro ebbe, quindi anche dal lato politico, una posizione del tutto singolare.

Occorre distinguere due periodi nel federalismo del Cattaneo: quello antecedente al 1848 e quello scguente. Nel primo egli rimase fuori dal movimen-to dell'unita nazionale, non per simpatia verso I'Au-stria, ma perche non credeva ancora nella possibility di un moto liberatore e perche diffidava delle soluzioni accentratrici.

II Manzoni rifiuto di contribuire all'erezione del monumento al Cattaneo in Milano, dicendo che a-vrebbe sottoscritto soltanto se prima si fosse raso al suolo il monumento al Cavour; questo perche sa-rebbe stata contraddizione erigere un monumento al Cattaneo che aveva avversata l'unita, dopo aver eret-to un monumento al Cavour che 1'aveva propugnata.

Come e spiegabilc 1'atteggiamento del Manzoni? Costui, non conoscendo il pensiero del Cattaneo, si era fcrmato a giudicare dagli esteriori atteggiamen-ti di questi, prima del 1848 verso l'Austria e in quell'anno verso il « re liberatore ».

Tali atteggiamenti erano di frequente parados-sali. Basti il seguente aneddoto.

Alcuni repubblicani francesi, andati a Milano durante la dominazione austriaca e trovandosi con Cattaneo, Maestri e Correnti, si meravigliano che la Lombardia non insorgesse e facevano uno scia-lacquo di promesse dicendo: — Verremmo noi a liberarvene. Cattaneo, irritato da quelle spampana-te, scoppid a dire: — Ma noi stiamo benissimo come stiamo. Questi austriaci ci fanno il soldato; ci guardano dai ladri; ci fanno da giudice; ci riscuoto-no le imposte; e non abbiamo a far altro che a grattarci, con nostro comodo, i coglioni.. Vi accor-gerete, voi, quando vi tocchera di fare voialtri « el todesch!

In realty il Cattaneo era ostilissimo al regime dispostico e centralista dell'Austria, disprezzava i patrizi collaborator! ed era irritato dallo spadroneg-giare del clero. Ma pensava che male non minore del dominio austriaco sarebbe stato quello piemon-tese, essendo quella monarchia dispotica ed essendo in Piemonte ancor piu dominante il clero, piu gravi i privilegi feudali, assai meno liberi e piu burocra-tizzati gli ordinamenti amministrativi. Egli pensava, insomma, che la Lombardia, passando dal dominio austriaco sotto lo scettro di Carlo Alberto, non a-vrebbe guadagnato nulla in fatto di liberty politiche e avrebbe perduto molto delle proprie migliori i-stituzioni civili.

Nell'estate del 1847, Cattaneo diceva ad un moderate piemontese, che cercava di associarlo alia propaganda per una guerra antiaustriaca sotto le bandiere sabaude: « Prima fate la rivoluzione a casa vostra, e non venite colla vostra corte e coi vostri confessionali a farci cadere ancora al di sotto delle tartarughe ».

Per il Cattaneo un'indipendenza nazionale « alia russa » non era da farsi, poichfc sarebbe stato ne-cessario il disfarla da capo. Mazzini risolveva il problema con la rivoluzione popolare, che avrebbe distrutto gli antichi regimi e avrebbe raccolta tutta la nazione nella guerra antiaustriaca, ma Cattaneo, non aveva alcuna fiducia, allora, in questa propaganda insurrezionale. I suoi disegni erano analoghi a quelli propugnati, fino alio scoppio della guerra europea dai federalisti dei paesi slavi e dai partiti socialist! dell'Austria-Ungheria. Cattaneo sperava che l'impero degli Absburgo, sotto la pressione di tutti i suoi popoli soggetti, si trasformasse in una federazione di Stati liberi, uniti da semplice unione personale nella casa regnante. Ciascun popolo a-vrebbe avuto parlamento, amministrazione, finanza, scuole, esercito per proprio conto. In questa federazione, il Lombardo-Veneto avrebbe avuto, essendo molto sviluppato economicamente, una sicura pre-ponderanza; e nulla gli avrebbe impedito di staccar-si dalla federazione austriaca per associarsi a quella italiana. Questa concezione politica spiega perch& il Cattaneo, prima del 1848, non abbia repugnato a qualche manifestazione di lealismo dinastico. Ma suddito servile non fu mai. Infatti nel 1835 fu am-monito; soltanto nel 1837 poterono uscire, e mutilate, le « Interdizioni israelitiche » scritte nel 1835; scartata piu volte dai Governo fu la sua nomina a membro dell'Istituto Lombardo di scienze, lettere ed arti e, infine, sui primi del '48 egli era proposto alia deportazione.

Le agitazioni del 1847 e dei primi mesi del 1848 parvero al Cattaneo favorevoli alia realizzazione del suo programma federalista. L'Austria — pensava — attraversando una grande crisi finanziaria, ha inte-resse ad avere arnica la ricca Lombardia, e le conceded le franchigie.

Alia notizia della rivoluzione di Vienna, 17 mar-zo 1848, gli parve giunta l'ora di iniziare la propaganda delle proprie idee. Nel programma del «CisaI-pino», che si proponeva di far uscire il giorno dopr scriveva: «Ognuno abbia da ora in poi la sua lingua e secondo la lingua abbia la sua bandiera, abbia la sua milizia.... Queste patrie, tutte libere, tutte annate, possono vivere l'una accanto all'altra, senza nuo-corsi, senza inipedirsi ». E citava l'esempio della Svizzera e del Belgio.

« Non si vedono nella Svizzera e nel Belgio diverse lingue esistere senza odii, in una sola provin-cia, in un sol can tone? Non gia che questo associar-si, in qualunque modo che i tempi volessero e di-sponessero, debba dividerci da chi piu ci somiglia, ma diremo che il tempo potrk indurre pacifiche e volontarie combinazioni che fendano piu semplici le cose e piu conformi alle preparazzioni e ai de-creti della natura » (2).

Cattaneo non nutriva affatto quella che Vico chiama « boria delle nazioni », che serpeggia invece negli scritti del Mazzini, e vedeva con chiarezza la impresa comune dellumanite. Questa visione eu-ropea, cosmopolitica, anzi, poiche egli respinge e demolisce la teoria hegeliana dei popoli extra-storici, ricorre di frequente nei suoi scritti.

Nel 1839: « I destini delle nazioni si sono com-

(2) S. P. E. I, 124-125.

plicati fra loro inestricabilmente; e le religioni, le guerre, le finanze, le lettere, le mode, le carte pub-bliche, le societa industri, fecero di tutta 1'Europa un solo vortice, che « mena gli spiriti con la sua rapina .

Non v'e ormai popolo che abbia in se solo la ragione del suo moto e della sua vita civile, e che possa dirsi libero signorc delie sue opinioni, e nem-meno delie forme di cui l'opinione si veste. E mal per lui se lo fosse, perche in pochi anni si trovereb-be fantoccio e mummia, a trastullo dei popoli vi-vcnti » (O. E.I. I., 98).

Nel 1840. « Noi abbiamo per fermo che l'ltalia debba tenersi sopratutto all'unisono coIl'Europa, e non accarezzare altro nazional sentimento che quello di serbare un nobil posto nell'associazione scientifica dell'Europa e del Mondo.

I popoli debbono farsi continuo specchio fra loro perche li interessi della civilta sono solidari e comuni; perche la scienza & una, 1'arte & una, la gloria e una. La nazione delli uomin studiosi fc una sola: £ la nazione d'Omero e di Dante, di Galileo e di Bacone, di Volta e di Linneo, e di tutti quelli che seguono i loro esempi immortali; e la nazione delie intelligenze, che abita tutti i climi e parla tutte le lingue.

A1 disotto d'cssa sta una moltitudine divisa in mille patrie discordi, in caste, in gerghi, in fazioni avide e sanguinarie, che godono nelle superstizioni, nell'egoismo, nell'ignoranza, e amano e difendono talora 1'ignoranza stessa, come se fosse il pricipio della vita e il fondamento dei costumi e della societa. L'intelligenza si move al disopra di questo pela-go; essa sparge in ogni parte i libri, i musei, le sco-le, le studiose associazioni ». (O. E.I. V, 336).

All'economista Cattaneo non poteva sfuggire ne parere secondario il carattere internazionale del la vita economica moderna. Nel 1862 cosi ne scriveva:

« Assiduo e frattanto lo scambio di prodotti. Qui la Svezia abbatte le sue foreste e scava le sue miniere; la Russia appresta le sue balle d'ermellino e di mortora; 1'Olanda imbarca le sue aringhe, il suo olio e le sue ossa di balena; fra pochi mesi, i vascel-li di Tolone copriranno gli alberi di Svezia, d'una vela francese; il napoletano, il genovese, il livorne-se, il sardo esporranno al sole il pesce seccato dal ba-tavo; sugli omeri del sultano spicchera rermellino di Arcangelo; alia sua volta 1'ltalia versera I'olio de' suoi fecondi olivi nelle botti del nord; la Francia attelera le sue drapperie di seta, quella seta recata a Costantinopoli dalla China entro un giunco: l'lm-ro d'Oriente b scomparso, il verme esiste ancora; 1'industria 1'ha ricoverato sotto il dorso di una ru-stica foglia, e questa foglia & una ricchezza.

Non si fabbrica un'auna di Merletti a Malines, che Bergamo non tessa nello stesso tempo un'auna di cotone, Aleppo una di mussolina. Una verga di ferro esce dalle miniere di Upland, e nello stesso i-stante Brescia estrae un fucile dalla fornace, Birmingham un'ancora marina, Bristol una pioggia di fili metallici. Cosl ogni uomo risponde all'altro uo-mo; ogni colpo di martello ha la sua riscossa Ion-tana » (Politecnico, XII, 245).

Da questo caratere internazionale della vita e-conomica moderna, il Cattaneo induce due necessi-

la solidarietk tra le nazioni e il libero scambio. Nel 1863 egli scriveva:

« Una guerra, in qualunque parte del globo, tur-ba il commercio e l'industria di tutte le nazioni. Al contrario la quiete, la prosperity, la cultura d'un po-polo torna in mille modi a giovamento di tutti gli altri; le invenzioni della scienza e dell'arte si propa-gano per tutta la terra, per esempio, la stampa, la locomotiva, la bussola, il telegrafo. Perci6 tutte le nazioni hanno interesse a proteggere la liberty delle nazioni, e il loro incivilimento & il regno della giu-stizia su tutta la terra » (0. E. I. VI, 335).

II Cattaneo combatte il nazionalismo economi-co basandosi sulla divisione del lavoro e sulla libera emulazione. (Specialmente in var! scritti del 1843, 0. E. I. V, 174, 175, 180). « Come sarebbe assurdo — egli osservava nel 1834 — far crescere le palme del deserto accanto agli abeti delle Alpi, cos\ e assurdo trasformare il Lionese in orologiaio e il Gine-vrino in tessitore di seta ». (O. E. I. V, 196-197).

Se « II Cisalpino » avesse avuto vita, Cattaneo avrebbe sviluppato la sua tesi federalista, avendo a modello la Svizzera, il Belgio e gli altri Stati Uniti d'America. II giornale, invece, non usci. Era suonata l'ora delia rivolta, e il Cattaneo che il 17 marzo scriveva il programma di collaborazione tra il Lom-bardo-Veneto e l'Austria, che il 18 sconsigliava una dimostrazione di piazza, il 19 dava consigli strate-gici agli insorti e il 20, con tre giovani, Terzaghi, Clerici e Cernuschi, entrava a far parte del «Consi-glio di guerra » e rifiutava, a nome di questo consi-glio, contro il parere del Podest& Casati e di altri maggiorenti moderati, 1'armistizio di 15 giorni pro-posto dal Radetzskv. II giorno seguente rifiutava un'altra proposta darmistizio per tre giorni. E re-spingeva la proposta di un agente albertista: i mila-nesi facciano dedizione a Carlo Alberto, e l'esercito piemontese si metter& subito in campagna.

Cosi il Cattaneo si poneva in contrasto con Mazzini, accorso da Londra, che protestava di non volere se non la Vittoria suirAustria e rinviava a guerra finita la questione della forma politica del nuovo Stato, sperando in un moto repubblicano e democratico che liquidasse Carlo Alberto e i mode-rati lombardi.

Ferrari e Cattaneo volevano abbattere il Gover-no Provvisorio, convocare l'Asscmblea e chiamarc in aiuto la Francia. Nelle considerazioni dell* Archi-vio Triennale (1850-54), il Cattaneo definiva con viva osti!it& l'azione politica dei repubblicani uni-tari.

«Nel 1831 Giuseppe Mazzini non rivolse le prime sue parole al popolo, ma bensl a un giovane congiurato divenuto re « Cotesti nuovi repubblicani purtroppo erano propensi a sperare piu nello esercizio regio che nella guerra di popolo, perche la scuola loro era scaturita primamente dall'idea napoleonica ».

Sul dissidio tra Mazzini e il Cattaneo si legga il libro del prof. A. Monti, « Un dramma tra gli esuli».

II risultato dei contrasti fra i moderati, che pro-mossero il plebiscito per la fusione con il Piemonte, ed i federalist fu la vittoria di Radetzsky, che scac-ci6 Carlo Alberto dalla Lombardia e ristabill il do-minio austriaco. Cattaneo venne a Parigi, in rappre-

sentanza dei democratici lombardi emigrati, a sol-lecitare l'intervento della Francia in una nuova guer-ra contro l'Austria, ma trovo incomprensione, in-differenza, ostilita. Stabilitosi a Lugano, fu invitato ad accettare la Candidatura per il parlamento di Torino, poi quella per la Costituente Toscana, poi lo ufficio di Ministro delle Finanze della Repubblica Romana.

Rifiuto sempre, affermando che ciascun paese deve scegliersi a governanti i propri uomini e non

prendere a prestito quelli delle altre regioni.

* * *

II 1848 segna un piu completo e piu audace in-dirizzo dei pensiero del Cattaneo. La sua sfiducia nell'azione popolare si e ricreduta, tanto ch'egli tro-va accenti commossi per narrare le epiche gesta delle Cinque Giornate, sentendo in quella storia vissu-ta « non solo la materia d'una istoria; ma quasi un vasto poema». Nel 1850 egli riconosce il valore della propaganda dei mazziniani, cosl eclettica e confusa, ma cosl dinamica nella sua suggestivit& «Adopera-rono fogli clandestini e i pubblici, i canti, gli ewiva a Pio IX, il sasso di Balilla, le catene di Pisa. Ado-perarono i panni funebri delle chiese e i panni gai delle veglie festive; assortirono in tricolore le rose e le camelie, gli ombrelli e le lanterne; trassero fuo-ri il cappello calabrese e il giustacuore di velluto; il vessillo della nazione e quello delle cento sue cit-la »... « Essi accesero di vetta in vetta lungo 1'Appen-nino le fiamme del dicembre; essi congregarono sul-la fossa di Ferruccio i montanari della Toscana; essi domaroso coi fieri applausi dei trasteverini le ritrose veglie del Pontefice ». E concludeva: « Il popolo po-teva fare: voleva fare; ma senz'essi non aveva fatto. Per essi ora e certo che l'ltalia sa b pud fare ».

Dopo la prova del 1848, Cattaneo non sperava ne desiderava piu la soluzione federale austro-lom-barda; il Lombardo-Veneto doveva, a suo parere, staccarsi ad ogni costo ed interamente dall'Impero austriaco.

Nelle considerazioni al I vol. dzWArchivio Trieru nale egli scrive:

«Quell'Austria federale che aveva potuto nello stesso tempo governare le Fiandre col consiglio di vescovi intolleranti, e Milano con quello di audaci pensatori, e regnare in Ungheria col libero voto di genti armate, erasi estinta con Maria Teresa. Gia con Giuseppe di Lorena erano tese d'ogni parte le strin-ghe dell'antica centralita... Per farsi strettamente una, l'Austria doveva preferire una lingua fra died: elevare a dominio una minoranza: configgere sul let-to di Procuste tutte le altre nazioni ».

« Da allora — faceva presente il Cattaneo — co-mincib la sua decadenza materiale e morale: le finan-ze vacillavano sotto il peso dell'esercito stanziale, unico vincolo fra i vari popoli e da quella sola as-semblea che chiamava i rappresentanti delle varie genti non poteva risultare che un « babilonico conci-Fiabolo ».

Non piu speranzoso in una soluzione che venisse dall'Austria, rivolto lo sguardo all'Italia risorgente, il problema nazionale apparve al Cattaneo come pro-blema di tmit^ nell'autonomia. Ogni Stato italiano istituisca il proprio regime rappresentativo; i sin-

goli Stati si confederino con patto di solidariet& perpetua contro ogni pericolo esterno; ciascuno Sta-to ceda alia Federazione italiana quel tanto di so-vranit& locale che sia necessario per assicurare so-lidita al nodo nazionale. Tale federalismo non si op-poneva ne all'immediata unit& nazionale ne alia gra-duale unificazionc delle leggi. Questa posizione at-tiro sul Cattaneo, nel 1859, l'odio dei moderati. Gli fecero negare gli stipendi arretrati dell'Istituto lom-bardo e rifiutare dai Cavour la sua nomina a segre-tario dell'Istituto. Tentarono negargli la cittadinan-za italiana, avendo egli ottenuta quella svizzera, ad honorem. Gli contestarono perfino il godimento della pensione d'insegnante, tacciandolo sui giornali di amico deH'Austria.

Per le elezioni politiche del marzo 1860, fu co-stretto dalle insistenze degli amici ad accettare la candidatura. Fu eletto in tre collegi, ma non ando alia Camera, perche gli repugnava il giuramento di fedelta alia monarchia e perchfe lo contrariavano le schermaglie inconcludenti e piccine proprie dei di-battiti parlamentari. Egli soleva dire: «il mio Parlamento io me lo tengo meglio in casa ». E non e a rimpiangersi quel suo astensionismo poiche gli permetteva di curare la pubblicazione del Politecni-co, ripresa nel gennaio di quell'anno.

I pensieri dominanti nella sua magnifica rivi-sta erano: il federalismo amministrativo e la nazio-ne armata. Nel primo indicava la causa dominante. E insisteva nel dimostrare che il parlamento unico, non pud avere n& il tempo ne la competenza neces-saria per risolvere i tanti e complessi problemi am-ministrativi, economici, giuridici, ecc.t i quali va-riano profondamente dall'una all'altra regione. Nel 1854, scriveva: « Oualunque sia la comunanza dei pensieri e dei sentimenti che una lingua propaga tra le famiglie e le comuni, un parlamento adunato in Londra non fara mai contenta I'America; un parlamento adunato in Parigi non fara mai contenta Gi-nevra; le leggi discusse in Napoli non risusciteranno mai la giacente Sicilia, ne una maggioranza piemon-tese si credera in debito mai di pensare notte e gior-no a trasformare la Sardegna, o potra rendere tol-lerabili tutti i suoi provvedimenti in Venezia o in Milano ».

Nel 1862 riprendeva e sviluppava questa sua opinione a proposito della Sardegna e della Sicilia. A proposito di quest ultima, egli aveva scritto a Cri-spi, nel 1860. « La mia formula & Stati Uniti; se vole-te, Regni Uniti,* l'idea di molti capi, che fa peto una bestia sola.

I siciliani potrebbero fare un gran beneficio al-1'Italia, dando all'annessione il vero senso della pa-rola, che non e assorbimento. Congresso comune per le cose comuni: e ogni fratello padrone in casa sua. Ouando ogni fratello ha la casa sua, le cognate non fanno liti. Fate subito, prima di cadere in balia d'un parlamento generale, che creder& fare alia Sicilia una carit&, occupandosi di essa tre o quattro sedute all'anno. Vedete la Sardegna, che dopo dodici anni di vita parlamentare sta peggio della Sicilia ».

Nel sistema accentratore un'enorme massa di af-fari e sottratta alia competenza dei consigli locali e rovesciata a Roma, si che il paese e schiavo della burocrazia e dei ministeri. Il governo federale, inve-ce, affida agli uffici centrali le sole funzioni politi-

che di interesse nazionale, lasciando alle ammini-strazioni locali, piu vicine agli interessi, tutta la di-rezione della vita locale. A1 Parlamento centrale il Cattaneo riserva un «alto diritto di cassazione», vale a dire il diritto di modificare le locali deliberazio-ni per qucllo che le faccia contrastare con gli interessi nazionali. 11 sistema federale eviterebbe. inol-tre, quel sacrificio degli interessi locali degli uni a quelli degli altri che avviene neirassemblea nazio-nale unica. L'idea di decentrare I'amministrazione, nel senso di trasferire ad uffici governativi perife-rici le funzioni degli uffici governativi centrali, non piaceva al Cattaneo, poiche riteneva che questo sistema si ridurrebbe ad un semplice dislocamento della burocrazia centrale nelle provincie, in forma di « satrapie ». Le regioni, i Comuni: ecco le basi del sistema federativo del Cattaneo. Le citt& sono per lui, come illustrava nel 1836, le « patrie locali e chi « prescinde da questo amore delie patrie locali, seminera sempre nella rena». E sarebbe, a suo pa-rere, un grave errore quello di « rimaneggiare » i Comuni per ingrandirli. Cosi scriveva a questo pro-posito, nel 1864: « E' un errore che 1'efficacia della vita comunale debba farsi maggiore colla incorpora-zione di piu comuni in un solo, vale a dire, con una larga soppressione di codesti plessi nervei della vita vicinale.

Nelle riviere dei mari e dei laghi e in molte e molte altre parti d'ltalia, vediamo floridi comuni di qualche centinaio di famiglie dedicate all'industria, alle arti belle, alle lontane navigazioni, attendere con egual cura a ingentilire il luogo nativo. Ma se il piccolo comune venisse incatenato a una maggio-ranza di rustici villaggi, dispersa per valli e selve, o popolata di braccianti vagabondi, quel geniale fer-mento rimarrebbe sopraffatto o oppresso.

II piccolo comune ha diritto di continuare nel suo scno, quel modo d'essere che gli e proprio, ben-che non sia quello in cui possano consentire i suoi vicini.

E anche a questi il vicino e libero esempio po-tr& giovare. Se un comune, proweduto gi& di strade e d'acque, venga per volont& non sua congiunto ad altro comune cui la natura e il caso non abbia equal-mente favorito, poco si curera di contribuire col suo denaro ad opere delle quali non avrebbe giovamento suo proprio. Quindi, fra i mali assortiti consorzi im-potenza e discordia...

Meglio vivere amici in dieci case, che vivere di-scordi in una sola. Dieci famiglie ben potrebbero far-si il brodo a un solo focolare; ma nell'animo umano e negli affetti domestici quella cosa che non si appaga colla nuda aritmetica e col brodo ».

Con I'idea dele autonomic amministrative fa si-stema unico in Cattaneo I'idea della Nazione armata.

L'esercito stanziale a tipo francese e piemonte-se (prima del 70) coscriveva una parte minima della popolazione atta alle armi e la sottoponeva a lunghe ferme, sotto una gerarchia di militari di professio-ne costituenti una casta chiusa. Tale ordinamento appare inadeguato al Cattaneo come strumento di difesa nazionale, poiche lascia inerti, in caso di guer-ra, enormi riserve umane e grava sul pubblico era-rio con gli stipendi degli ufliciali e con il manteni-mento dei soldati. Gli eserciti stanziali, inoltre ser-vono alia volont& dei governanti, che se ne giovano

per opprimere i cittadini inermi. Nel 1844, parlando dei Comuni medioevali, il Nostro osservava che «il principio vcro del risorgimento fu nel legittimo pos-sesso della milizia popolare », e nel 1860 citava ad esempio di nazione armata la federazione america-na e l'elvetica, insistendo sulla stretta connessione del problema delle liberta interne con l'organizzazio-ne militare. « Una nazione che mette quattrocento mila gladiatori ad arbitrio d'uno o di pochi, sark sempre serva degli altrui voleri. E le stesse forme della liberta diveranno occasioni di corruttela. La Francia, si chiami repubblica o regno, nulla monta, & composta di ottantasci monarchic che hanno un uni-co re a Parigi. Si chiami Luigi Filippo o Cavaignac, regni quattro anni o venti, debba scadere o per de-creto di legge o per tedio di popolo; poco importa: e sempre l'uomo che ha il telegrafo e quattrocento-mila schiavi armati ». La nazione armata inoltre, un elemento di pace tra i popoli, poichfc soltanto da un popolo che vedesse nella guerra I'unica via della propria salvezza contro un'aggressione sarebbe pos-sibile ottenere !o slancio guerresco.

Nella nazione, tutti i cittadini sono obbligati al servizio militare, ma non allontanati dalle proprie case e dalle occupazioni consuete, non chiusi per me-si e mesi nelle caserme a poltrire o ad esaurirsi in esercizi meccanici e di parata. L'istruzione pre-mi-litare nelle scuole di tutti i gradi, le esercitazioni festive, le manovre per pochi giomi e a periodi fissi so-stituiscono la caserma. Gli ufficiali, salvo i piccoli nuclei permanenti, escono dalle scuole medie e uni-versitarie e vivono della propria professione civile, coprendo gradi, ma non godendo stipendi militari stabili.

La « nazione armata » del Cattaneo che £ quella ordinata nella Svizzera, si profila gia in certi scritti democratici del secolo XVIII, in quelli di Melchiorre Gioja, ad esempio, e la si trova ampiamente svilup-pata da G.D. Romagnosi nella « Scienza delle Co-stituzioni ».

* * *

II sistema feralista del Cattaneo parve per un momento realizzabile: quando trionfo 1'impresa gari-baldina nel mezzogiorno d'ltalia.

Nel settembre del 1860 Garibaldi invito a Napo-li il Cattaneo, che vi si reed e prese parte per quel gruppo di seguaci del « donatore di regni » che vole-vano l'elezione di parlamenti speciali per la Sicilia e per il Napoletano, e conservate le autonomie locali, pur trattando col governo di Torino i patti dell'unio-ne nazionale. Mazziniani e cavouriani volevano, in-vece, l'annessione immediata e incondizionata. Garibaldi, che s'era professato federalista, cedette agli unitari.

Nel nord d'ltalia, dove esisteva una numerosa e florida borghesia manifatturiera, commerciale, a-graria ed intellettuale, la resistenza all'invadenza am-ministrativa e giudiziaria piemontese fu notevole. Nel mezzogiorno, dove gli esigui nuclei borghesi e piccoli borghesi temevano le rivolte contadine e ve-devano, quindi, del Piemonte la forza militare capa-ce di mantenere il cosl detto ordine pubblico, non ci fu resistenza. Nel mezzogiorno vi era, inoltre, una

burocrazia borbonica che andava eliminata e un'in* finita turba di aspiranti alia camera burocratica, aspiranti in grande parte incapaci. Si aggiunga il ca-rattere statolatra della corrente hegeliana, fiorente a Napoli e professata dai piu autorevoli patrioti meri-dionali: primo Bertrando Spaventa. L'unitarismo del Mazzini screditava, poi, tra i democratici meridionali 1'idea federalista.

La « nazione armata » nel 1860 era di difficile at-tuazione, specialmente a causa del brigantaggio, ar-ma della restaurazione borbonica. A ragione — mi pare — il Salvemini attribuisce alia paura del brigantaggio il ripiegamento unitario di Garibaldi.

II Cattaneo vide, dunque, crollare la speranza di vedere realizzate le sue idee politiche. Sulla ses-santina, malato di cuore, stanco e sfiduciato, si ri-tiro dalla vita politica, trovando conforto e stimo-lo nella compilazione del « Politecnico ». Rifiut6 nel gennaio e nel giugno del 1861 nuove candidature, ma i moderati non disarmarono, boicottando la sua ri-vista. I dissensi con 1'editore, disordinato e imbro-glione, l'obbligarono, nel 1863, ad abbandonare la direzione di quella rivista che era « sua ». Povero, impossibilitato al lavoro calmo e continuato, vide morire degli amici ed altri allontanarsi. Il pensiero della frammentariet& della propria opera lo angu-stiava piu vivamente. Alia White-Mario, una sera del '67, diceva: « Io mi faro egoista. mi dedicherd alia filosofia, condensero gli studi dell'intera mia vita, c lascerb qualche impronta sull'arena del tempo ». Ma a diventare egoista non riusciva, si fece appassionato propagandista della ferrovia del Gottardo, at-tirandosi attacchi violenti ed insinuazioni dai soste-nitori degli opposti progetti. Un diverbio, a questo proposito col presidente del Canton Ticino lo indus-se, nell'ottobre del 1865, a dimettersi da insegnante del Liceo cantonale. Crebbero, cosi, le ristret-tezze finanziarie, che la sua dignita celo sempre gelosamente anche ai piu intimi. Offertagli, nel feb-braio del 1867, un'aitra candidatura, la rifiuto, di-chiarando che, « inesperto di scherma parlamenta-re », non avrebbe saputo evitare « le transazioni e gli espedienti che la politica degli amici » verrebbc ogni istante ad imporgli. Ma nel marzo successivo si rassegno a farsi eleggere deputato. Andd a Firen-ze, allora capitale, vi rimase tre settimane e se ne tornd a casa senza aver messo piede alia Camera. Scriveva, in quei giorni. « Io non sono adatto ad in-golfarmi in sifatti labirinti; e percio il Parlamento non e la mia strada ». Ritorn6 a Firenze per la crisi di Mentana, nell'autunno del 1867, tenendosi sempre fuori della Camera e rifiutando di partecipare a pub-bliche adunanze. Alia fine del gennaio del 1869 mori-va. Nel delirio, parlava di Custoza, di Lissa, di Mentana, della tassa sul macinato, e non avendo ricono-sciuto un amico che gli toccava la destra, per strin-gergliela, corse col pensiero concitato al dubbio che potesse rimanere sulla sua fede politica, sicche riti-rando vivamente la mano, esclam6: « No, io non dft, io non diedi la mano, io non sono impegnato, sono libero, nulla ho promesso, io non giuro ». In questo sfogo di agonizzante awampava per 1'ultima volta quella passione, contenuta e diretta dalla sua « forma mentis » di scienziato, che spiega la sua indefes-sa laboriosit& di pubblicista e la sua adamantina coerenza di uomo politico.

Temeva, il Cattaneo, di non lasciare impronta di se. Questo tiraore di un orgoglio modesto appare sempre piu infondato. La sua opera e piii che mai attuale e studiata. Felice Momigliano col suo libno « Carlo Cattaneo e gli Stati Uniti d'Europa » e con articoli, Antonio Monti con il suo libro « L'idea fe-deralista nel Risorgimento italiano e Gaetano Sal-vemini con « Le piu belle pagine di C. Cattaneo », ottima raccolta preceduta da una prefazione che & un vero gioiello di chiarezza, di sintesi e di stile, han-no richiamato l'attenzione degli studiosi sul contf-nuatore di G.B. Vico e di G.D. Romagnosi. E, un notevole saggio, quello di Bruno Brunello, ha aper-ta la serie degli studi sistematici sul pensatore e sullo scienziato.

A diffondere e ad elaborare il pensiero federali-sta del Cattaneo ha particolarmente contribuito « La Critica Politica » di O. Zuccarini, e anche non pochi giornali repubblicani, primo « La Riscossa » di Tre-viso. Cio nonostante Cattaneo non & 3ncora abba-stanza ben conosciuto dai repubblicani, ed & in con-siderazione di questa lacuna che ho scritfo queste pagine, alia sommariet& delle quali e scusa, lo scopo di un'ampia divulgazione.

Non m'& possibile dilunearmi ad esporre quei ritocchi e quegli sviluppi che la nostra concezione politica e sociale conduce ad apportare al sistema fcderalista del Cattaneo. Quanto tale sistema ri-sponda ai tempi nostri, se contenga contraddizioni, se abbia costituzionali deficienze potr& essere materia di discussione. Ma, per conto mio, anche gli anarchici hanno da guadagnare, per la loro cultura politica non solo, ma anche per una chiara ed orga-nica visione dell'Italia linnovata dalla rivoluzione antifascista e socialista, dalla conoscenza dell'opera di questo sommo scrittore.

Se il suo federalismo non tiene conto, « e non lo pu6 », delle nuove forze direttive sorte e potenziate dalla grande industria, dalla vita sindacale, dal cooperativismo, e compito dei repubblicani di avan-guardia andare oltre i! Cattaneo, si che come egli, nel 1848, lascio i libri e le carte per farsi condottie-ro d'insorti e superb la propria posizione program-matica, cosl la sua opera aquisti una funzione rivo-luzionaria e ricostrutuice.

Cattaneo pu6 ancora contribuire a fare della storia. Egli, che diceva che per navigare non ci vuol solo lume di stelle ma ancbe forza di venti, sarebbe ben lieto nel vedere I'liaha condotca dal grande ven-to della rivoluzione sociale piu in la di quei limiti posti dalla sua pruden/a di positivista. E sarebbe ben lieto di vedere i repubblicani affrettarsi ad in-tegrare e a dare piu ampio respire al proprio pen-siero politico e sociaV, alia vigilia, che dobbiamo voiere prossima, di un nuovo '48, senza tradimenti di moderati ed illasioiii di temporeggiatori.

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